Vittorio Alfieri - Opera Omnia >>  Agide




 

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[Dedica]

ALLA MAESTÀ DI CARLO PRIMO RE D'INGHILTERRA

Parmi, che senza viltà né arroganza, ad un re infelice e morto io possa dedicare il mio Agide.

Questo re di Sparta ebbe con voi comune la morte, per giudizio iniquo degli efori; come voi, per quello d´un ingiusto parlamento. Ma quanto fu simile l´effetto, altrettanto diversa n´era la cagione. Agide, col ristabilire l´uguaglianza e la libertà, volea restituire a Sparta le sue virtù, e il suo splendore; quindi egli pieno di gloria moriva, eterna di sé lasciando la fama. Voi, col tentare di rompere ogni limite all´autorità vostra, falsamente il privato vostro bene procacciarvi bramaste: nulla quindi rimane di voi; e la sola inutile altrui compassione vi accompagnò nella tomba.

I disegni d´Agide, generosi e sublimi, furono poi da Cleomène suo successore, che il tutto trovò preparato, felicemente e con grande sua gloria eseguiti. I vostri, comuni al volgo dei regnanti, da molti altri principi furono e sono tuttavia tentati, ed anche a compimento condotti, ma senza fama pur sempre. Della vostra tragica morte, non essendone sublime la cagione, in nessun modo, a mio avviso, se ne potrebbe fare tragedia: della morte d´Agide (ancorché tentata io non l´avessi) crederei pure ancora, attesa la grandezza vera dello spartano re, che tragedia tortissima ricavarsene potrebbe.

Sì l´uno che l´altro, ai popoli foste e sarete un memorabile esempio, e un terribile ai re: ma, colla somma differenza tra voi, che de´ simili alla MAESTÀ VOSTRA, molti altri re ne sono stati e saranno; ma de´ simili ad Agide, nessuno giammai.

Martinsborgo, 9 Maggio 1786
VITTORIO ALFIERI

PERSONAGGI

AGIDE
LEONIDA
AGESISTRATA
AGIZIADE
ANFARE
Efori
Senatori
Popolo
Soldati di Leonida

Scena, il foro, poi la prigione, di Sparta

ATTO I

SCENA I

LEONIDA, ANFARE

Anfare
Ecco, or di nuovo sul regal tuo seggio
stai, Leonida, assiso. Intera Sparta,
o d´essa almen la miglior parte, i veri
maturi savi, e gli amator dell´almo
pubblico bene, a te rivolti han gli occhi,
per ottener dei lunghi affanni pace.
Leonida
Di Sparta il re non io perciò mi estimo,
finché rimane Agide in vita. Ei vive
non pur, ma ei regna in cor de' molti. Asilo
gli è questo tempio, il cui vicino foro
empie ogni dì tumultuante ardita
plebe, che re lo vuol pur anco, e in trono
un'altra volta a me compagno il grida.
Anfare
E temi tu d'esserne or vinto? Io 'l giuro,
e gli altri efori tutti il giuran meco;
Agide mai non fia più re. Ma, vuolsi
oprar destrezza or, più che forza...
Leonida
Egli era
da tanto già, che co' raggiri suoi,
con le sue nuove mal sognate leggi,
tutto sossopra a forza aperta porre,
e me cacciarne ardia del soglio in bando:
ed io, da' miei fidi Spartani al soglio
richiamato, or dovrò con vie coperte
la vendetta pigliarne?
Anfare
Un velo è forza
porvi: ei genero t'è. Quel dì, che in crudo
esiglio, solo, abbandonato, e privo
del regio serto, fuor di Sparta andavi,
umano ei t'era. Ai percussor feroci
che Agesilào crudel su l'orme tue
a svenarti inviava, Agide a viva
forza si oppose; e di Tegèa (il rimembri)
salvo al confin ti trasse: in ciò soltanto
non figlio ei d'Agesìstrata, ed avverso
apertamente al rio di lei fratello.
Sol del pubblico bene or puoi far dunque
a tua vendetta velo.
Leonida
Infame dono
ei mi fea della vita, il dì ch'espulso
m'ebbe dal seggio; e a vie più grande oltraggio
recar mel debbo. Ei mi credea nemico
da non più mai temersi? oggi nel voglio
disingannare appieno. In me raddoppia
l'esser egli mio genero il dispetto.
Genero a me? deh! quale error fu il mio,
d'avere a lui donna dissimil tanto
data in consorte? Ammenda omai null'altra,
che lo spegnerlo, resta. Unica figlia,
Agizìade diletta, a me compagna,
sostegno a me nel duro esiglio l'ebbi.
Abbandonava ella il suo amato sposo,
perché al padre nemico; ella i legami
di natura tenea più sacri ancora
che quei d'amore: e al fianco mio trar vita
misera volle errante, anzi che al fianco
del mio indegno offensore in trono starsi.
Anfare
Pur, per quanto sia giusto in te io sdegno,
premilo in petto, se sbramarlo or vuoi.
Io men di te non odio Agide altero;
e la sua pompa di virtudi antiche,
finta in biasmo di noi. Sparta ridurre
qual già la fea Licurgo, è al par crudele,
che ambiziosa stolidezza: è tale
pure il disegno suo; quindi ebbe ei quasi
la città nostra all'ultimo ridotta:
e, sconvolta pur anco, in risse e affanni
egra ella sta. Ma, van cangiando i tempi:
quei traditori, efori allor, che schiavi
eran d'Agesilào, più a lui venduti
che ad Agide, con esso ora sbanditi
son tutti, o spenti; e sta in noi soli Sparta.
Ma il popol rio, mendico, e ognor di nuove
cose voglioso, Agide ancora elegge
mezzo a sue mire ingiuste. A schietta forza,
mal frenare il potremmo; ogni novello
governo erra adoprandola. Deluso,
pria che sforzato, il popol sia. Tal cura
che a cor mi sta non men che a te, mi lascia.
Ecco la madre d'Agide: gran donna
ogni dì più degli Spartani in core
si fa costei: temer si debbe anch'ella.

SCENA II

AGESISTRATA, LEONIDA, ANFARE

Agesistrata
Chi ne' miei passi trovo? oh! mentre io vado
di Sparta al re, cui sacro asil racchiude,
qui intorno io veggo irsi aggirando or l'altro
re di Sparta novello?
Leonida
E il fero giorno,
ch'io, re di Sparta, esul di Sparta usciva,
ebbi al mondo un asilo? Assai gran tempo
dal trono io vissi in bando; e reo, ch'è il peggio,
in apparenza io vissi. Avriami ucciso
il duol, se in un coll'usurpato seggio
restituita la innocenza mia
non m'era appieno da un miglior consiglio
di Sparta istessa. Il mio rival cacciato,
quel Cleòmbroto iniquo, a chi il mio scettro
signor del tutto allora Agide dava,
già mie discolpe ei fece. A far le sue,
che tarda Agide più? Collega ei fummi
sul trono; ancor mi è genero; e nemico
mi sia, se il vuole. ? Ma, cagion qual altra,
che il suo fallir, chiuso or nel tempio il tiene?
Agesistrata
A Sparta, e a me, Leonida, sei noto:
quai sieno i tuoi, quai sien d'Agide i falli,
è brevissimo a dirsi, Agide volle
libera Sparta; i cittadini uguali,
forti, arditi, terribili; Spartani
in somma: e a nullo sovrastare ei volle,
che in ardire e in virtude. In ozio vile,
ricca, serva, divisa, imbelle, quale
appunto ell'è, Leonida la volle.
Falli son l'opre d'Agide, perch'havvi
copia di rei, più che di buoni, in Sparta:
di Leonida l'opre or son virtudi,
perch'elle son dei tempi. Oggi rimembra
tu almen, se il puoi, che il mio figliuol mostrossi
nemico aperto del regnar tuo solo,
non di te mai; ch'or non vivresti, pensa,
se cittadino ei più che re, tua vita
non ti serbava, ed in suo danno forse.
Leonida
Vero è; nel dì, che il tuo crudo fratello
a trucidarmi gli assassin suoi vili
mandava, Agide, forse a tuo dispetto,
per altri suoi satelliti mi fea
vivo e illeso serbar: ma un re sbandito,
cui l'onor, l'innocenza, il soglio tolto
vien dal rival, fia ch'a pietade ascriva
la mal concessa vita?
Agesistrata
Al par che grande
era imprudente il dono: Agide stesso
tale il credea; ma innata è in quel gran core
ogni magnanim'opra. Agide eccelso
contaminar non volle col tuo sangue
la generosa ed inaudita impresa
di un re, che in piena libertà sua gente
restituir, spontaneo, si accinge.
Dal perdonarti io nol distolsi; e forse
tentato invano lo avrei: d'Agide madre,
mostrarmi io mai potea di cor minore
a quel di un tanto figlio? È ver; mi nacque
Agesilào fratello: or di un tal nome
indegno egli è. Con libera eloquenza,
e con finte virtù suoi vizi veri
adombrando, ei deluse Agide, Sparta,
e me con essi...
Leonida
Ma, non me, giammai.
Agesistrata
Noto e simile ei t'era. ? A tor per sempre
dei creditori e debitor, de' ricchi
e de' mendici, i non spartani nomi,
Agesilào, più ch'altri, Agide spinse.
Vistosi poi dal nostro esemplo astretto
di accomunar le sue ricchezze, ei vinto
dall'avarizia brutta, il sacro incarco
contaminando d'eforo, impediva
la sublime uguaglianza. Il popol quindi,
sconvolto e oppresso più, dubbio, tremante
fra il servir non estinto e la sturbata
sua libertade rinascente appena,
te richiamava al seggio: e te stromento
degno ei sceglieva al rincalzare i molli
non cangiabili in lui guasti costumi.
Il popol stesso, avvinto in man ti dava
qual Cleòmbroto re pur dianzi eletto:
e il popol stesso alla custodia or sola
di un asilo abbandona il già sì amato
Agide, il riverito idolo suo.
Anfare
Più custodito è dalle leggi assai,
che da questo suo asilo. Ei delle leggi
sovvertitore, annullator, pur debbe
ad esse e a noi la sua salvezza. E a noi
efori veri, a Sparta tutta innanzi,
ei darà di sé conto: ove non reo
vaglia a chiarirsi, ei non del re, né d'altri
temer de' mai.
Leonida
S'egli in suo cor se stesso
reo non stimasse, a che l'asilo? al giusto
giudizio aperto popolar me pria
perché non trarre?
Agesistrata
Perché d'armi e d'oro
tu ti fai scudo, ei di virtude ignuda:
perché tu pieno di vendetta riedi,
ed ei neppure la conosce: in somma,
perché i tuoi, non di Sparta, efori nuovi
suonan ben altro, che terror di leggi.
Nulla paventa Agide mio; ma torsi
vuol dalla infamia; e darla, ancor che breve,
altrui può sempre chi il poter si usurpa.
Leonida
Che farà dunque Agide tuo? più a lungo
racchiuso starsi omai non può, s'ei teme
la infamia vera.
Anfare
E molto men può Sparta
nelle presenti sue strane vicende
d'un de' suoi re star priva. Agide il nome
tuttor ne serba; e il necessario incarco
pur non ne adempie: mal sicura intanto
e dentro e fuori è la città; sossopra
gli ordini tutti; e manca...
Agesistrata
Agide manca;
e con lui tutto. Al par di noi ciò sanno
i nemici di Sparta, in cui novello
fea rinascer terror dell'armi nostre
Agide solo. Sì, gli Etoli feri,
cui disfar non sapea canuto duce
il grande Aràto co' suoi prodi Achei,
tremar d'Agide imberbe; antico tanto
spartano egli era. ? A non imprender cosa
or contro a lui, Leonida, ti esorto:
che se pur anco, ingiusto spesso, il fato
palma or ten desse, onta non lieve un giorno
ne trarresti dal tempo, e danno espresso
della patria. Non so, se patria un nome
sacro a te sia: ma primo, e forte tanto
nome è fra noi, che se in mio cor sorgesse
un leggier dubbio mai, ch'anco i pensieri,
non che d'Agide l'opre, al ben di Sparta
non fosser volti tutti, io madre, io prima,
il rigor pieno delle sante leggi
implorerei contra il mio figlio. ? Or dunque
opra a tuo senno tu: tremar non ponno
Agide mai, né chi a lui diè la vita,
che per la patria lor: tu, benché in armi
ed in prospera sorte, entro al tuo core
conscio di te, sol per te stesso tremi.
Leonida
Donna, sei madre; e d'uom ch'ebbe già scettro,
il sei; quind'io ti escuso. In voi temenza
non è; di' tu? meglio per voi: ma Sparta,
gli efori, ed io, vi diam sol uno intero
giorno, a mostrar questa innocenza vostra,
sempre esaltata e non provata mai.
Esca al fin egli, e sé difenda; e accusi
me stesso ei pur, se il vuol: tranne l'asilo
tutto or gli sta. Ma, se a celarsi ei segue,
digli, che al nuovo dì né Sparta il tien
più per suo re, né per collega io 'l tengo.

SCENA III

AGESISTRATA, ANFARE

Anfare
Dal fresco esiglio inacerbito ei parla:
ma, non ha Sparta l'ira sua. ? Dovresti,
tu cui son cari Agide e Sparta, il figlio
piegare ai tempi alquanto, e indurlo...
Agesistrata
A farsi
vile, non io, né voi, né Sparta indurlo
mai non potremmo. Che del re lo sdegno
non sia sdegno di Sparta, assai mel dice
l'immenso stuolo di Spartani in folla
presso all'asilo d'Agide ogni giorno
adunati, che il chiamano con fere
libere grida ad alta voce padre,
cittadin re, liberator secondo,
nuovo Licurgo. Assai pur alta e vera
esser de' in lui la sua virtù, poich'osa
laudarla ancor con suo periglio Sparta;
poiché, più del terror dell'armi vostre,
può in Sparta ancor la maraviglia d'essa.
Anfare
Si affolla e grida il popolo; ma nulla
opra ei perciò: né i ribellanti modi
altro faran, che inacerbir più sempre
contra il tuo figlio i buoni. Assai tu puoi,
d'Agide madre, entro a spartani petti,
e sovr'Agide più: quelli (a me il credi)
al cessar dai tumulti, e questo or traggi,
per poco almeno, all'adattarsi ai tempi.
Se il ben di tutti e il ben del figlio brami,
fra violenze e rabide contese,
mal si ritrova, il sai. Se in ciò tu nieghi
caldamente adoprarti, e Sparta, ed io,
e Leonida, a dritto allor nemici
crederem voi di Sparta; allor parranno,
a certa prova, i vostri ampi tesori
malignamente accomunati in prezzo,
non di uguaglianza, di comun servaggio.
Dell'alte imprese, ottima o trista, pende
dall'evento la fama. All'opre vostre
generose, magnanime (se il sono)
macchia non rechi il rio sospetto altrui,
che giustamente voi pentiti accusa
del tanto dono; e del volerne infame
traffico far, vi accusa. Io tutto appieno,
qual cittadin, qual eforo, ti espongo;
non qual nemico: a voi l'oprar poi spetta.

SCENA IV

AGESISTRATA

Agesistrata
? Tempo acquistar voglion costoro; e tempo
dar lor non vuolsi. Ah! di costui la finta
dolcezza, e di Leonida la rabbia
repressa a stento, indizi a me (pur troppo!)
son del destino e d'Agide, e di Sparta.
Tutto si tenti or per salvarli; e s'anco
irati i Numi della patria vonno
sol placarsi col sangue, Agide, ed io,
per la patria morremo; a lei siam nati. ?
Pur che risorga dal mio sangue Sparta.

ATTO II

SCENA I

AGIDE

Agide
Pietosi Numi, a cui finora piacque
dal furor di Leonida sottrarre
l'innocenza mia nota, omai non posso
più rimaner nel vostro tempio. Asilo
volli appo voi, perché la patria inferma
più violenze, e più tumulti, e stragi
a soffrir non avesse: or v'ha chi ardisce
a' miei delitti ascriverlo, al terrore
di giusta pena? ecco, l'asilo io lascio. ?
Oh Sparta, oh Sparta!... esser fatal dei sempre
ai veri tuoi liberatori? Ah! data
fosse a me pur la sorte, che al tuo primo
padre eccelso toccò! più che il perenne
bando, a se stesso da Licurgo imposto,
morte non degna anco scerrei, se al mio
cader vedessi almen rinascer teco
il vigor prisco di tue sacre leggi!...
Ma, chi sì ratto a questa volta?... Oh cielo!
Chi mai veggio? Agizìade? La figlia
di Leonida? oimè!... la mia già dolce
moglie, che pur mi abbandonò pel padre?

SCENA II

AGIDE, AGIZIADE

Agiziade
Che veggo! Agide mio, fuor dell'asilo
tu stai? ratta a trovarviti veniva...
Agide
Qual che ver me tu fossi, amata sempre
consorte mia, perché i tuoi passi or volgi
verso un misero sposo?...
Agiziade
Agide;... appena...
parlare io posso;... io riedo a te con l'aspra
mutata sorte: il tuo stato infelice
staccarmi sol potea dal padre. Il core
io strappar mi sentia, nel dì che i nostri
figli, e te, sposo, abbandonar dovea,
per non lasciar nel misero suo esiglio
irne solo il mio padre: né più vista
tu mai mi avresti in Sparta, or tel confesso,
se ai crudi strali di fortuna avversa
ei rimanea pur segno. In alto ei torna,
tu nel periglio stai: chi, chi potrebbe
tormi or da re? teco ritorno io tutta:
e te scongiuro, per l'amor mio vero;
(pel tuo, non so s'io l'abbia ancor) pe' figli
che tanto amavi, e per la patria tua,
(amor che tu tanto altamente intendi)
io ti scongiuro, almen per ora, a porre
tue nuove leggi in tregua. Amor di pace,
dei beni il primo, a ciò t'induca: il freno
ripigliar con Leonida ti piaccia
della città, qual per l'addietro ell'era...
Agide
Donna, d'amare il padre tuo, chi puote
biasmarten mai? conoscerlo, nol puoi;
l'arte tua non è questa: ottima ognora,
e costumata, e pia, tu raro esemplo
fra' guasti tempi di verace antico
e filiale e coniugale amore,
altro non sai, magnanima, che farti
fida compagna a chi più avverso ha il fato.
Se mai cara mi fosti, oggi il vederti
a me tornar, quando me lascian tutti,
certo più assai mi ti fa cara. Io meno
dal tuo gran cor non mi aspettai; null'altro
temea, fuorch'ebro di sua lieta sorte
Leonida non forse or ti vietasse
il ritornarne a me.
Agiziade
Tu ben temesti.
Tre giorni or son, ch'ei vincitore in Sparta
riposto ha il piè; tre giorni or son, ch'io seco
pugno per te. Né, per negar ch'ei fesse
a me l'assenso, era io perciò men ferma
di ritrovarti ad ogni costo. Ei stesso,
cangiato al fine, or dianzi a te mi volle
messo inviar di pace: ei, per mia bocca,
piena or te l'offre; e supplica, e scongiura,
che tu, lasciato omai l'asilo, in opra
vogli con lui porre ogni mezzo, ond'abbia
Sparta una volta e intera pace e salda.
Agide
Ei mi t'invia? sperare a me non lascia
nulla di lieto il suo cangiar sì ratto.
Ma, che dich'io? sperar, se in sé non spera,
Agide può? ch'altro a temer mi resta,
quando è più sempre la mia patria serva?
quando è più sempre dal poter suo prisco,
dalle già tante sue virtù lontana? ?
Io spontaneo (tu il vedi) avea l'asilo
abbandonato già: ragion tutt'altra
le astute brame or prevenir mi fea
di Leonida... Ah! sì: fia questo un giorno
grande a Sparta, ed a me; funesto forse
per te, se m'ami... O fida mia consorte,
dubitar non ne posso... Ma, se fede
presti al mio schietto dir, tu d'altro padre
degna, deh! invan non lo irritar; ten prego.
Serbati ai figli nostri; ad essi scudo
contro alla rabbia sii del padre fero:
gli alti pensieri, ond'io ti posi a parte,
e che sì ben sentivi, aggiunti agli alti
innati tuoi, che dell'amor di figlia
son la essenza sublime, in lor trasfondi
sì, ch'ei crescano a Sparta e al padre a un tempo.
Non assetato di vendetta io moro,
ma di virtù Spartana; ancor che tarda,
purch'ella un dì dai figli miei rinasca,
ne sarà paga l'ombra mia...
Agiziade
Mi squarci
il core... Oimè!... perché di morte...?
Agide
O donna;
Spartana sei, d'Agide moglie; il pianto
raffrena. Il sangue mio giovar può a Sparta;
non il mio pianto a te. Rasciuga il ciglio;
non mi sforzare a lagrimar...
Agiziade
So tutte
del tuo sublime, umano, ottimo core
l'atre tempeste; i generosi tuoi
retti disegni entro alla mente io porto
forte scolpiti; e se, a compirgli appieno,
del mio padre la intera alta rovina
d'uopo non era, ad eseguirli presta
me prima avevi, e del mio sangue a costo...
Oh quante volte il padre, sì diverso
da te, m'increbbe! oh quante volte io piansi
d'essergli figlia! ed io pur l'era; e il sono,
ahi lassa!... e fra voi due stommi infelice:
e fra voi debbo esser di pace io 'l mezzo,
o perir deggio.
Agide
Esser di Sparta figlia,
e di Spartani madre esser dovresti,
se in altri tempi e d'altro sangue nata
tu fossi in Sparta. Il non spartano padre
non io però voglio a delitto apporti.
L'indole tua ben nata, ottima, ed alta,
ma non diretta, udia di padre e sposo
sol ricordar, non della patria, i nomi:
qual fia stupor, se tu più figlia e sposa,
che cittadina, sei? Ma, qual sei, t'amo;
né al tuo pensar niente spartano io volli
forza usar niuna, che il mio esemplo, mai.
Pel nostro amor quindi ti prego, e, s'uopo
fia, tel comando; oggi a mostrar ti appresta,
che madre sei più ancor che sposa o figlia. ?
Ma, qual si appressa orribile tumulto?
Qual folla è questa? oh! quali grida? Oh cielo!
La madre? e in armi immenso stuol di plebe
segue i suoi passi?

SCENA III

AGIDE, AGESISTRATA, AGIZIADE, Popolo

Agesistrata
Figlio, e che? già fuori
stai dell'asilo? in chi t'affidi? in questa
rea figlia di Leonida? Ben io
più certo asilo, ecco, ti adduco; ognora
costor fien presti...
Agide
O madre, Agide meglio
tu conoscer dovresti: o in me mi affido,
o in nulla omai. Questa, che figlia appelli
di Leonida, è moglie, è amante, è parte
del figliuol tuo. ? Spartani, ove pur tali
vi siate voi, che minacciosi in armi
tumultuar qui di mia fama a danno
veggio; Spartani, or parla Agide a voi. ?
Io, contro a Sparta, in mio favor, non voglio
armi nessune; asil nessuno io cerco;
null'uomo io temo. A dimostrar la mia
piena innocenza, io basto: a vincitrice
farla davver della malizia altrui,
coll'arme no, ma con più fermi sensi,
potuto avreste un dì voi stessi darmi
giusto un soccorso: ma fia tardo, e vano,
e reo (ch'è il peggio) ogni presente aiuto.
Agesistrata
E inerme esporti alla maligna rabbia
d'un Leonida vuoi? d'efori compri
agl'iniqui raggiri? Ah! no, nol soffro;
né il soffriran questi Spartani veri,
che qui son presti a dar la vita or tutti
pel loro re.
Popolo
Per Agide, noi tutti
presti a morir veniamo.
Agide
Agide e Sparta
fur già sola una cosa; or ben distinti
gli ha in due la sorte; or, che a far salva Sparta,
forse è mestier ch'Agide pera. Il sangue
sparger non vuolsi mai; vie men, qualora
rigenerar virtù non puote il sangue.
Per me morir, voi nol potreste omai,
senza uccider molti altri: e in un le vostre
e le altrui vite in Sparta, al par son tutte
della patria, non vostre. Havvi, nol niego,
de' traviati cittadini molti:
ma, per ritrargli al dritto, alto un esemplo
memorabile appresto. A lor far forza
potrò con esso; e vie più sempre voi
farò con esso di fortezza amanti.
Agiziade
Misera me! tremar mi fai. Che dunque
disegni?...
Agesistrata
Donna; or per chi tremi? parla;
pel marito, o pel padre?
Agide
Ah! tu non sai,
madre, qual rechi a me dolor, l'udirti
trafigger la mia sposa! Ella, più cara
che mai nol fosse, appunto a me si è fatta,
per la sua vera filial pietade.
Madre, consorte, popolo, mi udite. ?
Ho fermo in core di convincer oggi
anco i maligni, e gli invidi, e i più rei,
ch'io della patria sono amator vero.
Ai cittadini, io cittadino e padre,
io cittadino e re, null'altro apparvi;
se non m'inganno io pur: ma in altri forse
da pria destai, con violenze, io stesso,
dubbio alcuno di me: fui quindi ascritto,
non a saviezza, a coscienza rea,
e a vil timor di meritata pena,
questo mio scelto asilo. Agide n'ebbe
di volgar re la insopportabil taccia?
Qual sia 'l mio core, oggi il vedranno. Oh dolce
periglio a me, quel che affrontar m'è d'uopo,
per ischiarir qual bene io far tentassi,
e l'empia invidia di chi il ben non brama!
Per la pubblica causa io re mostrarmi
seppi, ed osai; per la privata mia,
oso anch'esser privato: e, non ch'io creda
convincer ora i tanti iniqui; in core
essi già il son pur troppo; ma coprirli,
di Sparta tutta alla presenza, io deggio
di vergogna e d'infamia. Essi vorranno
accusar me, lo spero: io più coll'opre,
che non co' detti, a discolparmi imprendo:
soltanto a Sparta i miei disegni esporre
vo' schiettamente pria, soggiacer poscia...
Popolo
Tu soggiacer? no, mai non fia. Noi tutti
farem prestarti da quei vili orecchio...
Agide
Non voi, deh! no: sol per mia bocca il vero
farà prestarmi orecchio. E, se a voi cale
punto il mio onor; se presso a voi mai nulla
io meritai; se nulla in me, se nulla
nella memoria almen dell'opre mie
sperate poi, pregovi, esorto, impongo
di depor l'armi, e meco sottoporvi,
quai che sien essi, agli efori. Il tiranno
di Persia, allor che apertamente insorti
entro il suo regno a sé nemici ei trova,
col dispotico brando a lor favella:
ma il re di Sparta, a lor di sé dà conto;
e alla calunnia egli da pria ragioni
oppon; se invano, imperturbabil alma
vi oppon di re. ? Duolmi, e dorrammi ognora,
che lo stesso Leonida che assale
or me così, dalla cittade vostra
espulso andava, e inascoltato. Ei forse
mal di sé dato avria ragion; né il volle
pure tentar; ma glien doveva io 'l mezzo
ampio prestare. Agesilào la forza
volle adoprarvi; io mi v'opposi indarno:
non tutti il sanno: Agesilào vien quindi
meco indistinto. Io da quel dì, ma tardi,
vedea, ch'egli era uno Spartan mentito:
ma mi stringeano il tempo, e l'alta brama
d'oprare il bene, a cui l'ostacol tolto
di Leonida fero, il campo apriva.
Quindi l'esiglio suo, giusto, ma inflitto
in modo ingiusto, a pro di Sparta usai.
Popolo
E chi non sa, che a lui la vita hai salva?...
Agiziade
Sì, per lui sol l'aure di vita ancora
spira il mio padre. Io nel crudel periglio,
io stessa, il vidi; agli inumani messi
d'Agesilào già in mano ei stava quasi,
quando opportuni d'Agide gli amici
gli ebber fugati, e noi ritratti illesi
in securtà.
Agesistrata
Quindi pagar nel vuole
Leonida oggi, a lui togliendo, iniquo,
non che la vita, anco la fama...
Agide
E questa
mai non sta nel tiranno: in me, nel mio
solo operar, sta la mia fama.
Agesistrata
E nasce
sol dal tuo oprar l'altrui livore, e il fermo
empio pensier di opprimerti. Ma, viene
Anfare a noi? degno consiglio e amico
di Leonida...
Agide
Udiamlo.
Agiziade
Oh cielo! io tremo...

SCENA IV

AGIDE, AGESISTRATA, AGIZIADE, ANFARE, Popolo

Anfare
Fuor del tuo sacro asilo, Agide, in mezzo
d'una tal turba io non credea trovarti.
Ma pur, più grati testimon di questi
io bramar non potea. Vengo ad esporti
di Sparta i sensi.
Agide
E son?...
Anfare
Di pace.
Agide
E quale?
Anfare
Vera: ove pace alle tue mire avversa
non sia pur troppo; ove in tumulti e risse
securtà tu non cerchi e in un grandezza.
Agide
Io discolparmi or presso a te non deggio:
forse il farò presso a chi il deggio. Udiamo,
di Leonida udiam la pace intanto.
Anfare
Son io messo del re? Di Sparta io sono
eforo; e a te parlo di Sparta in nome.
Ove piegarti ai cittadin tu vogli,
(ai veri e saggi) e la città tranquilla
rifar, dannando ogni tua nuova legge
tu stesso; il seggio, onde scaduto sei
col tuo fuggirne, Sparta oggi ti rende.
Agesistrata
Agide...
Agide
Madre, a te son figlio; or posa
secura in me. ? Tu, che di Sparta in nome,
pur ch'io indegno men renda, il trono m'offri;
pregoti, al re Leonida in risposta
reca, ch'io seco favellar vorrei,
pria che in giudicio a Sparta innanzi io parli.
Agiziade
Io pur ten prego, Anfare, vanne al padre,
e a ciò lo induci: a lui ritorna in mente,
che senz'Agide in vita ei non sarebbe.
ch'ei la diletta unica figlia sua
diede ad Agide in moglie...
Agide
A lui null'altro
non rammentar, fuorché di Sparta entrambi
siam cittadini; e che il comun vantaggio
vuol, ch'ei mi ascolti.
Anfare
È dubbio assai, s'ei possa,
o venir voglia ad abboccarsi teco,
fin ch'ei non sa, se tu i proposti patti
nieghi, od accetti.
Agide
In guisa niuna ei puote
negar d'udirmi, e nol vorrà. L'asilo
io per sempre abbandono; a me dintorno
corteggio nullo io vo'. ? Spartani, ad alta
voce vel grido; io rimaner qui voglio,
solo, ed inerme, ed innocente. ?[1] Il vedi,
Anfare, il vedi; il tempo, il loco, il modo,
opportuno or fia tutto. Io fra brev'ora
tornerò in questo foro; e qui non sdegni
venirne il re. Solo sarovvi; egli abbia
al fianco i suoi satelliti: veduti
sarem da quanti cittadini ha Sparta,
ma non sarem da nessun d'essi uditi.
Anfare
Poiché tu il vuoi, tosto a recarne avviso
a Leonida volo.

SCENA V

AGIDE, AGESISTRATA, AGIZIADE

Agide
Io ben sapea
con qual esca allettarlo. ? Or, donne, intanto
io con voi riedo alla magione, e ai figli.
Godrò fra voi brevi momenti estremi
d'alcun privato dolce, infin ch'io torni
al fatal parlamento.
Agiziade
Oh cielo!...
Agesistrata
O figlio,
che speri tu dall'empio re?
Agide
La sorte
di Sparta ei tiene; e tu mi chiedi, o madre,
quel che da lui sperare Agide possa?

ATTO III

SCENA I

AGIDE

Agide
Non giunge ancor Leonida: l'invito
sdegna fors'ei? non l'ardiria: qui 'l debbe
trar, se non altro, or la vergogna. Udiva
il popol dianzi il generoso prego,
ch'io gl'inviai per Anfare: riguardi
possenti, e molti, ancor lo stringon; molto
timor si annida entro il suo cor, bench'egli
vIncitor sia. Potessi, ah! pur potessi
dal suo temer l'util di Sparta io trarre!...
Ma al fin vien egli: oh! di regal corteggio
si adorna? e ben gli sta. S'incontri.

SCENA II

AGIDE, LEONIDA, Soldati

Agide
A udirmi
ne vieni, o re, pria che ad altr'opre?...
Leonida
A udirti
or vengo io, sì...
Agide
Dunque, a te solo io chieggo
di favellar...
Leonida
Traetevi in disparte. ?
Eccomi solo: io t'odo.
Agide
A te non parlo,
quale a suocero genero; ancor ch'io
oltre ogni dire una consorte adori,
ch'è delle figlie esemplo.
Leonida
Alto legame
ell'era, è ver, fra noi, pria che di Sparta
tu mi cacciassi in bando.
Agide
Il so; né debbo
parlarten ora, poiché allor tel tacqui.
Non ch'io allor l'obliassi, e il sai; ma in core
Sparta allor favellavami, al cui grido
ogni altro affetto in me taceasi, e tace. ?
Di Sparta il re, di me il nemico sei:
ma, se nol sei di Sparta, oggi dai Numi
già protettori della patria chieggio,
e impetrar spero, un sì verace e forte
alto parlar, che da me stesso or vogli
apprender tu pronto e sicuro il modo,
onde ottenere oltre tue brame forse...
Leonida
Oltre mie brame? E ciò ch'io bramo, il sai?
Agide
Di me vendetta, a tutte cose innanzi,
brami, e l'avrai; dartela piena io voglio.
Durevol possa, è il tuo desir secondo;
e additar ten vogl'io la vera base.
Né basta; io t'offro alto infallibil mezzo,
onde acquistar cosa ben altra, a cui
forse il pensier mai non volgesti; e tale,
che pur (dov'ella ad acquistar sia lieve)
tu sprezzarla non puoi. Perenne, immensa
procacciartela ancora...
Leonida
E fia?...
Agide
La fama.
Leonida
? Meglio sai torla, che insegnarla altrui. ?
Meco il trono occupasti; al ben di Sparta
meco tu allor, per comun gloria nostra,
concorrer mai non assentivi: al tuo
privato ben tu sol pensavi, e a farti
su la rovina del mio nome un nome.
Quindi all'esiglio me, Sparta al suo rogo,
spingevi tu. Non io perciò disegno
far mie vendette; io ben di Sparta afflitta
farle or dovrei; ma il vieta a me di vera
pace l'amor: pace, cui presti ancora
sono a sturbare (abbenché invano) i tuoi
pessimi tanti. Amor di pace, in somma,
di Sparta a nome ora ad offrirti trammi
perdono intero...
Agide
Intero? è troppo. ? Or via,
nessun qui c'ode; il simular, che giova?
Ch'io non ti legga in cor, tu già nol credi;
che tu il cangiassi, creder nol mi fai.
Cred'io bensì, che il tormi e scettro e possa,
per or non basti a far sul trono appieno
securo te. Ben sai, che infin ch'io vivo,
un altro re collega tuo crearti
ligio non puoi: ma, né pur osi a un tempo
uccider me, perché dei molti in core
sai che tuttora io regno. Ecco i veraci
tuoi più ascosi pensieri: odi ora i miei. ?
Io, mal mio grado, entro all'asil mi chiusi;
spontaneo n'esco; e oppor poss'io, se il voglio,
alla forza la forza: all'arte opporre
l'arte, né il so, né il voglio. Omai convinto
esser tu dei, che in mio favor né stilla
versare io vo' di cittadino sangue.
Solo or mi vedi; in tuo poter mi pongo;
supplice me per la mia patria miri:
non che la vita, io son per essa presto
a darti la mia fama.
Leonida
E intatta l'hai,
questa tua fama che offerirmi ardisci?
Agide
Intatta, sì, del tutto; e non indegna
d'Agide; e troppa, agl'invidi tuoi sguardi. ?
Me tu abborrisci; adoro io Sparta: or odi
come al mio amor, e all'odio tuo, potresti
servire a un tempo. Io libertà, grandezza,
virtude impresi a ricondurre in Sparta,
col pareggiarne i cittadin fra loro.
Tu, coi più rei, di opporviti, ma indarno,
mai non cessasti; e non, che vero e immenso
tu non vedessi in ciò il comun vantaggio;
non, che virtù co' suoi divini raggi
via non s'aprisse entro il tuo chiuso petto,
senza pure infiammarlo: ma in tuo petto
l'amor dell'oro, e di soverchia ingiusta
possa, vincea d'assai l'util di Sparta,
di veritade il grido, e il folgorante
scintillar di virtù. Pubblica, e vera
Spartana voce dal tuo seggio allora
te rimovea, chiamandoti nemico
di Sparta: e tu la insopportabil taccia
né smentir pur tentavi. In bando poscia,
proscritto, errante (il sai) vilmente ucciso
stato saresti; io nol soffria: né il dico
per rinfacciartel ora; ma per darti
prova non dubbia, ch'io base posava
ai disegni alti miei l'alte spartane
opre bensì, non la rovina tua.
Leonida
E in ciò pur, mal accorto, error non lieve
tu salvandomi festi.
Agide
E chiara ammenda
tu ne farai, me trucidando. I mezzi
sol ne impara da me. ? Sparta più inclina
a libertà, che a tirannia: per certo
tienlo, ancorché per ora imposto il freno
aspro di re tu le abbi. Un breve sdegno
dei più contro all'infame Agesilào,
or ti ha riposto in trono, e lui cacciato
d'eforo: or me de' suoi delitti a parte
havvi chi pone, e non a torto affatto,
finch'io pur taccio. A disgombrar del tutto
su me tal dubbio, or tu non trarmi; è lieve
troppo il mostrar, che Agesilào tradiva
Agide e Sparta a un tratto; ove ciò chiaro
a tutti io faccia, allor tu forza usarmi
non puoi, senza a te nuocere.
Leonida
Tu il credi?
Agide
Tu il sai. Ma, non temere. Io di Spartani
Spartano re volli essere; te lascio
re di costoro. A far me reo non basta
niuna tua forza: in faccia a Sparta, io voglio,
io, colpevole farmi; io darti intera
palma di me; pur che tu stesso farti
grande ti attenti, e di grandezza vera,
contra tua voglia.
Leonida
Invan mi oltraggi...
Agide
Adempi
tu stesso, or sì, quant'io già audace impresi
a pro di Sparta e di sua gloria. In seggio
riponi or tu, non le mie, no, ma l'alte,
libere, maschie, sacrosante leggi
del gran Licurgo: povertà sbandisci
in un coll'oro; ella dell'oro è figlia:
del tuo ti spoglia: i cittadin pareggia:
te fa' Spartano, e in un, Spartani crea:...
Ciò far voll'io; tu il compi, e a me ne involi
la gloria eterna. ? Ove ciò far mi giuri,
a Sparta innanzi or mi puoi trar qual reo;
e dir, ch'io velo a mie private mire
fea del pubblico bene; e dir, che iniquo
era il mio fin, non le mie leggi. A questo
aggiungerai, che rinnovar tu stesso
vuoi con mente migliore e cor più schietto,
di tua città la gloria. Intera Sparta
udrammi allor di meritata morte
accusar reo me stesso; e dir, che mie
eran le ingiurie e violenze usate
da Agesilào; dirò, ch'io in lui creava
un precursor di tirannia; che un saggio
voll'io per lui della viltà Spartana.
Ciò basterà, cred'io. Morte, che darmi
or tu non puoi, che a tradimento, (il vedi)
l'avrò così dai cittadini miei,
e parrà lor giustissima. La fama,
che in me ti offende, e che a me tor non puoi,
io me la tolgo, e a te la dono. Io moro,
tu regni; ambo contenti: a te non toglie
fama il regnare; a me l'infamia in tomba
portar pur lascia l'unica mia speme,
che a nuova vita abbia a risorger Sparta.
Leonida
? Vil m'estimi così?
Agide
Grande t'estimo;
poich'atto a compier la mia grande impresa
te credo...
Leonida
A' tuoi disegni empi, dannosi,
io por mano?...
Agide
Me spento, appien tu scarco
d'invidia resti: e gli alti miei disegni,
con tuo vantaggio, e in un, con quel di Sparta,
puoi compier tu. Di mia grandezza ardisci
grande apparir tu stesso: invido fosti;
or, col mio sangue la viltà tua prisca
tu ammanti appieno. A non sperata altezza
l'animo estolli, e al trono tuo ti agguaglia.
Leonida
Maggior di te, dei cittadini il grido
già abbastanza mi fea; ma il perdonarti,
se a me il concede Sparta, assai darammi
piena palma di te. Ch'io a Sparta intanto
ti appresenti, m'è d'uopo. ? Altro hai che dirmi?
Agide
A dirti ho sol, ch'esser non sai tu iniquo,
né sai fingerti buono.
Leonida
Or, che i tuoi sensi
tutti esponesti, anzi che a Sparta involi
te di bel nuovo il tempio, in carcer stimo
doverti io trarre. ? Olà, soldati...
Agide
Io vado
securo in carcere, qual non sei tu in trono.
Sparta entrambi ci udrà; né meco a fronte
star potrai tu. ? Se in carcere mi uccidi,
te stesso perdi; e il sai. Pensa, e ripensa;
a te salvare, a uccider me, niun mezzo,
che quel ch'io dianzi t'additai, ti resta.

SCENA III

LEONIDA

Leonida
Io 'l tengo al fine. Inciampi molti, è vero,
e gran perigli incontro: eppur, vogl'io
quest'orgoglioso insultator modesto,
spegnere il voglio, anco in mio danno espresso.
Ma il trucidarlo è nulla, ove la fama
non gli si tolga pria: ciò sol può darmi
securo regno. ? Ah! che pur troppo io 'l sento!
Né so dir come; anche al mio core un raggio
vero divino al suo parlar traluce,
e mel conquide quasi... Ah! no: mi squarcia,
mi sbrana il cuor, quella insoffribil pompa
di abborrita virtù. Pera ei: si uccida;...
s'anco è mestier, per spegner lui, ch'io pera.

SCENA IV

AGIZIADE, LEONIDA, AGESISTRATA

Agiziade
Padre, e fia vero?... a tradimento... Oh cielo!
Infra soldati il mio consorte?...
Agesistrata
È questa
la tua fede, o Leonida?
Leonida
Qual fede?
Che promisi? Giurato a Sparta ho fede,
non ad Agide mai.
Agiziade
Deh! padre amato,
alla tua figlia,... oimè!
Agesistrata
Spontaneo forse
non uscia dell'asilo? e solo, e inerme,
e di sua voglia, ei non venìa di pace
a parlamento or teco? E tu, dagli empi
tuoi sgherri il fai nel carcer trarre? e contra
il decoro di re, contra il volere
di Sparta stessa?... Iniquo...
Leonida
E pianti, e oltraggi,
vani del par sono a piegarmi, o donne.
Il primo io son de' magistrati in Sparta,
non di Sparta il tiranno. Agide reo,
gli efori e Sparta giudicarne or denno;
innocente, tornarlo al seggio prisco
gli efori e Sparta il ponno. Ov'ei si fesse
del tempio asilo, o della plebe scudo,
né innocente né reo possibil fora
chiarirlo mai. Tempo è, ben parmi, tempo,
che Sparta esca dall'orrido travaglio
del non saper s'ella ha due re, qual debbe,
o s'un glien manca.
Agiziade
Ah padre!... Agide in vita
ti serba, e tu in catene Agide traggi?
Gli dai tua figlia, e torgli vuoi sua fama?
Anco reo, (ch'ei non l'è) tu ne dovresti
pigliar, tu primo, or le difese. Io diedi
non dubbia a te dell'amor mio la prova,
nell'avversa tua sorte; or, nell'avversa
d'Agide, a lui nulla può tormi: o in ceppi
col tuo genero porre anco tua figlia,
o trarne lui, ti è forza: abbandonarlo
per preghi mai, né per minacce io mai
non vo'. Di lui non piglierai vendetta,
che sopra me del par non caggia: il sangue
versar tu dei di quella figlia istessa,
che abbandonava, per seguirti in bando,
la patria, e il trono, ed il marito, e i figli.
Agesistrata
Oh vera figlia mia, non di costui!...
Spartana figlia e moglie, a non spartano
padre indarno tu parli. ? Invidia vile,
vil desio di vendetta il cor gli chiude,
e il labro a un tempo. ? E che diresti?... In core
tu giurasti, o Leonida, l'intero
scempio d'Agide, il so; tutti conosco
gli empi raggiri tuoi. Ma, se pur darci
morte potrai, (che la mia vita e quella
del mio figlio son una) invan tu speri
torre a noi nostra fama. A te la tua...
Ma, che dich'io? l'hai tu? ? Scopo non altro
fu in te giammai, che di serbar col regno
le tue ricchezze, e accrescerle. Dell'oro
l'arte imparasti di Seleuco in corte,
e l'arte in un di sparger sangue. In Sparta
persian tu regni; e la uguaglianza quindi
dei cittadin paventi, onde ben tosto
ne sorgeria virtute; onde dal trono
di nuovo espulso appien per sempre andresti:
né il tuo cor osa a più che al trono alzarsi.
Leonida
Né le tue ingiurie l'animo innasprirmi,
né le tue giuste lagrime ammollirlo
possono omai. Sparta, non io, si duole
d'Agide, e a darle di sé conto il chiama.
Forza non altra usar gli vo', (né s'anco
il volessi, il potrei) fuorché di torgli
ogni via di sottrarsi al meritato
giusto gastigo...
Agesistrata
Giusto? ? Oserai, dimmi,
qui appresentarlo, in questo foro, a Sparta
tutta adunata, e libera dal fiero
terror dell'armi tue?
Leonida
Noto finora
non m'è il voler degli efori; ma...
Agesistrata
Noto
mi è dunque il tuo, pur troppo! Agide innanzi,
non agli efori compri, a Sparta intera
tratto esser debbe; o verrà Sparta a lui.
Ciò ti prometto, ancor che inerme donna;
se pria del figlio me svenar non fai.

SCENA V

LEONIDA, AGIZIADE

Agiziade
Io dal tuo fianco non mi stacco, o padre;
non cesso io, no, di atterrarmi a' tuoi piedi,
non tue ginocchia d'abbracciar, se pria
lo sposo a me non rendi; o se con esso
me di tua man tu non uccidi.
Leonida
O figlia
diletta mia; deh! sorgi; a me dal fianco
non ti partir, null'altro io bramo. Hai meco
generosa diviso i tanti oltraggi
di rea fortuna, è ben dover, che a parte
della prospera sii: niun più possente
sarà di te sovra il mio cor: te voglio,
sotto il mio nome, arbitra far di Sparta:
né cosa mai...
Agiziade
Che parli? Agide chieggo;
null'altro io voglio. A me tu il desti; e torre,
no, non mel puoi, se vita a me non togli;
né torlo a Sparta, senza orribil taccia
d'ingiusto re, d'uom snaturato e atroce.
Leonida
Come acciecarti or tanto puoi? Non vedi,
ch'Agide è reo? ma fosse anche innocente;
non vedi, ch'egli in mio poter non stassi?
Gli efori udirlo, giudicare il denno
gli efori: nulla io per me sol non posso,
né a pro, né a danno suo.
Agiziade
Sei padre; m'ami;
a fera prova il filial mio amore
hai conosciuto; e simular vuoi pure
con la tua figlia? ? A tradimento, or dianzi,
il potevi tu solo al carcer trarre,
e innocente salvarlo or non potresti?
Deh! non sforzarmi a crederti...
Leonida
Che vale?
Nulla in ciò posso: anzi, è mestier ch'io tosto
d'Agide conto, e del mio oprar a un tempo,
renda agli efori.
Agiziade
Ah, no! più non ti lascio:
né crudo ordin puoi dar, che in parte anch'egli
su la tua figlia non ricada...
Leonida
Or cessa;
torna alla reggia mia...
Agiziade
Teco men vengo.
Tutto farai, tutto dei fare, o padre,
pel tuo innocente genero, che salva
t'ebbe la vita... Ah! no, svenar nol puoi,
se la tua propria figlia non uccidi.

ATTO IV

SCENA I

Limitare del carcere di Sparta LEONIDA, ANFARE, Popolo che si va introducendo

Anfare
Tardo assai giungi; e il tempo stringe.
Leonida
Al padre
l'indugio dona: mi fu forza or dianzi
fin nella reggia accompagnar la figlia.
Io dal fianco spiccarmela a gran pena
potea, sì forte ella in pianto stempravasi
per lo suo sposo. Assai gran doglia in core
il suo pianto mi lascia.
Anfare
E che? turbato,
commosso sei? Più della figlia forse
ti cal, che non di tua vendetta?
Leonida
Abborro
Agide più, che non m'è caro il trono:
ma pure, i detti della figlia, e i pianti,
duri a me sono. ? Eccomi all'opra: il tutto
disposto hai tu?
Anfare
Nol vedi? In questo vasto
limitar delle carceri mi parve
fosser da porsi i seggi nostri; il loco,
men capace che il foro, assai men feccia
ragunerà di plebe: ma pur tanta
introdur qui sen può, quanta n'è d'uopo
a nostre mire. Havvi all'entrar chi veglia,
e in copia ammette i nostri fidi. ? Or mira;
già più che mezzo è riempiuto il loco;
né alcun v'ha quasi degli avversi a noi.
Per anco il grido non s'è sparso appieno
del gran giudizio: e spero, anzi che giunga
a intorbidarlo con sua fera scorta
l'ardita madre, avrem compito il tutto.
Leonida
Ma, sei tu certo, che tornarne a danno
or non possa tal fretta?
Anfare
Oltre la nostra
dignità, stan per noi forze non poche.
Grande accortezza, or nell'espor le accuse,
vuolsi; e giusti mostrarci ai nostri stessi
dobbiamo, e del lor ben, più che del nostro,
caldi amatori. Alcun tumulto forse
insorger può; previsto è già. Ma basta
per noi, che più non esca Agide vivo
di queste mura. Al primo impeto audace
della plebe far fronte i tuoi soldati,
e i cittadini nostri appien potranno,
e degli efori il nome, e l'ardir tuo.
Tempo intanto si acquista; e avrem dal tempo
piena poi la vittoria...
Leonida
Ecco il senato;
ecco gli efori tutti: il popol molto
li segue, e par non torbido in aspetto;
lieto anzi par di assistere all'accusa
di un re sovvertitore. Ardire, ardire.
Mentr'io gli animi lor, con opportune
lusinghe adesco, al carcer entra, e in breve
Agide a noi ben custodito traggi.

SCENA II

LEONIDA, Popolo, Efori, Senatori, ciascuno collocato ordinatamente

Leonida
? Lode agli Dei! qui radunarsi veggio
cittadini veri; e non frammisti
con la torbida, audace, e sozza plebe,
che col numero suo voi ne strascina
negli error suoi, mal grado vostro. ? A Sparta
inaudito spettacolo si appresta;
il maggior, che ad uom libero mai possa
appresentarsi: un vostro re, dai vostri
efori tratto, ed accusato, innanzi
a voi. Gli error ne udrete, e le discolpe,
e il giudizio, di cui voi stessi parte
sarete, spero. Io, benché re, con gioia
pur ve l'annunzio. Ah! non ebb'io tal sorte
in quel funesto a me, non fausto a Sparta,
orribil giorno, in cui dal trono in bando
cacciato, in forse della vita io stetti.
Non accusato, e non udito, a ria
forza soggiacqui allora; eppur, più doglia
che l'ingiusto mio esiglio, erami al core
il sovvertito ordin di leggi, e il fero
periglio in cui lasciava io Sparta. Instrutti
voi stessi al fin dai vostri danni appieno,
me richiamaste, e in un le leggi, in trono:
Agesilào, Cleòmbroto, e i lor fidi
efori, a Sparta traditori, in bando
cacciaste. Agide resta: havvi chi reo
nol vuole; e forse, ei reo non è. Ma intanto,
io preso il volli, e ad altro fin nol tengo,
che per chiarirlo in faccia a voi. S'ei fosse
reo convinto pur mai, primier mi udreste
implorar pel mio genero perdono:
che agli occhi vostri, e ai miei, sua giovinezza
nol rende affatto or di pietade indegno. ?
Efori, senatori, cittadini,
la vera vostra maestà non sorse
a dritto mai più nobile di questo:
conoscer oggi, e perdonare i falli
dei vostri re: che sottopongo io pure
oggi a voi l'opre mie. Prova non lieve
del cor mio puro, e del regnar mio giusto,
parmi, fia questa; ed io di darla anelo.
A tremar delle leggi Agide insegni
a Leonida re. ? Ma, già si appressa
Agide al vostro tribunale: ed ecco
ch'io taccio, e seggo; io, cittadino, attendo
dai cittadin dell'alta lite il fine.
Ben sostener d'ogni mia forza io giuro,
qual ch'esser possa, la immutabil santa
libera vostra unanime sentenza.

SCENA III

ANFARE, AGIDE fra guardie, LEONIDA, Popolo, Efori, Senatori

Anfare
Spartani, efori, re, costui ch'io traggo
davanti al vero tribunal di Sparta,
Agide egli è d'Eudàmida. Già il regno
con Leonida ei tenne; il cacciò poscia
dal trono, a cui nuovo collega assunse
Cleòmbroto. A voi piacque, indi a non molto,
ridomandar Leonida, che il seggio
ritoglieva a Cleòmbroto. Nel sacro
asilo allor quest'Agide fuggiva:
perché fuggisse, ei vel dirà. Fin ch'egli
là ricovrava, ei re non era; il trono
abbandonato avea: ma non privato
era ei perciò; che non avea deposta
sua dignità, né stata eragli tolta:
non innocente, poiché asil sceglieva;
non reo, poiché niun l'accusava. In vostra
possanza il diero oggi di Sparta i Numi,
senza che violato il santo asilo
fosse da alcun di noi. Lo accuso io quindi
ora, a voi tutti, di mutate, infrante,
tradite leggi; di tiranniche armi
in Leonida e gli efori adoprate;
di tiranniche mire, a cui fea base
la ribellante compra infima plebe:
e, per stringere in fin tutti i suoi tanti
delitti in un, di aver tradita e lesa
la maestà di Sparta, a voi lo accuso.
Agide
? Solenne in vero, e dignitosa pompa
questa fia: ma, perché di affar tant'alto
Sparta non è qui testimonio intera?
Perché, qual suolsi ogni accusato, al foro
non son io tratto? ? È ver, gli efori veggio,
e un re qui stassi, e del senato un ombra:
ma pur per quanto l'occhio intorno io giri,
non vegg'io cittadini, altri che pochi,
potenti, e misti infra gli armati sgherri.
La maestà del popolo di Sparta
fia questa or forse? Io, non che Sparta tutta,
Grecia vorrei qui tutta a udire intenta
e le tue accuse, e le discolpe mie.
Or, poiché tanta è in voi de' miei delitti
l'ampia certezza, or dite: a che pur tormi,
con sì gran parte d'ascoltanti, a un tempo
della vergogna mia così gran parte?
Leonida
Per quanto il soffra il loco, assai gran folla
di cittadini or vedi, Agide, accolta.
Trarti dal limitar del carcer tuo,
tu il sai, che fora un cimentar pur troppo
la dignità degli efori, e la stessa
tua innocenza, ove l'abbi. Udiati Sparta,
del tuo asilo in discolpa, addur finora,
che tor così tu stesso alla tua plebe
de' tumulti volevi ogni pretesto,
e ogni mezzo di sangue: infra sue grida,
come or vorresti al suo cospetto andarne,
e un giudicio ottener libero e queto?
Agide
Questo giudicio, e il men dannoso a voi,
stato sarebbe il percussor mandarmi
tosto al carcer: ma questo, assai men queto
fia di quel che sperate. In me non parla
il timor, no; del mio destin già certo,
securo qui, del par che al foro io vengo.
Già la sentenza mia so senza udirla:
ma, non ne avrò pur danno altro giammai,
che quel ch'io da gran tempo ho fermo in core
di aver da voi. ? Giudici; e, quai che siate,
voi spettatori; io vi prevengo or tutti,
ch'io, condannato in queste mura e ucciso,
non perciò pace col morir vi rendo,
com'io il vorrei: né voi, col trarmi a morte,
in sicurtà vi rimanete. ? Or sia
ciò ch'esser vuole. Udiam le accuse.
Anfare
In nome
io ti parlo degli efori; me ascolta. ?
Agide, hai tu, senza né udirlo, astretto
all'esiglio Leonida?
Agide
Chiamato
ei fu in giudicio; e sen fuggia.
Leonida
Chiamato
io fui, nol niego, ma davanti a fera
tumultuante plebe. Esser potea
giudicio, quello?...
Agide
Al par di questo, almeno.
Ma, il fuggir ti fu dato: in carcer dunque
non eri tu. Mezzi a me pur di fuga
non mancavan finora; e al carcer venni,
ed in giudicio stommi: e, qual ch'ei fia,
no, nol pavento. Io 'l desiava, e godo
di udire al fin; di farmi udire io godo.
Anfare
Infrante hai tu le patrie leggi?
Agide
Intere
restituir le sacre leggi io volli
del gran Licurgo: elle non fur mai tolte,
ma inosservate, or da gran tempo. Opporsi
volle a sì giusta e generosa impresa
Leonida: pria l'arte, indi la forza
oprava in ciò; ma entrambe invano: allora
vinto ei più dalla propria sua vergogna,
che dalla forza altrui, per minor pena
ei s'imponea l'esiglio. Ei stesso il dica,
se danno io poscia, o securtade e vita
a lui recassi. Al suo fuggir, sol uno,
di Sparta un grido, ogni oprar suo biasmava,
ogni mio benediva. Allora spenti
eran gl'iniqui crediti; comuni
feansi allor le ricchezze; allora in bando
uscian di Sparta il lusso, e i vizi insieme,
e il torpid'ozio: e risorgeano, in somma,
virtude allora, e libertade. Avreste
voi di negarlo ardire? ? Ecco i delitti
del mio breve regnar, dopo la fuga
di Leonida vostro.
Anfare
Osi tu forse
negare ancor, che di tai beni all'esca
colti e delusi i cittadini, in breve
non fosser tratti a fero strazio? I campi
promessi ognora, e non divisi mai;
fatti i ricchi, mendici; entrambi oppressi;
negherai tu, che a trasgredite leggi,
quai tu nomi le nostre, allor la cruda
tirannia di te sol non sottentrasse?
E tirannide, in ciò più ria di tanto,
che a sé di leggi fea mendace velo.
Agide
Mentr'io per voi di Sparta in campo usciva,
mentre agli Etoli in armi io pur mostrava,
con danno lor, nuovi Spartani in armi;
d'eforo fatto Agesilào tiranno,
ei commettea molt'opre in Sparta inique.
Volete voi del suo fallir me reo?
Io la pena ne accetto; ove pur colga
d'alcune mie virtudi il frutto Sparta:
virtù, che voi, di mal talento pieni,
pur negar non mi ardite. ? Offeso v'hanno,
non di Licurgo le tornate leggi,
(tant'io feci, e non più) ma i crudi modi
d'Agesilào? che fare altro vi resta,
che me svenare, e proseguir mie imprese?
Anfare
E a disfar Sparta Agesilào ti mosse?
Agide
A rifar Sparta, io da me sol mi mossi,
perché Spartan son io.
Anfare
Di'; riconosci
per vero re Leonida?
Agide
Conosco
un spartano Leonida, che cadde
in Termopile morto, con trecento
Spartani, a pro di Sparta.
Anfare
In cotal guisa
rispondi tu? La maestà sì poco
del senato e degli efori rispetti?
Agide
La maestà di Sparta osservo, e adoro,
nel risponder così.
Anfare
Colpevol dunque
tu ti confessi?
Agide
E me colpevol tieni
tu, che mi accusi? ? Omai si ponga, omai
fine si ponga al simulato gioco.
Discolpe io do pari all'accuse. Io venni
qui, per mostrare anco ai nemici miei,
ch'io cittadino re, per quanto il possa
soffrir l'altezza d'animo innocente,
spontaneo me sottomettea pur anco
delle leggi all'abuso. ? Or, quai che siate,
udite, o voi, le mie parole estreme.
Anfare
A udir, che resta?
Agide
Assai, ma in brevi detti.
Anfare
Nulla dei dire...
Agide
Eforo tu, le leggi
non rimembri, o non sai? Parlano a Sparta
gli accusati, se il vonno. Odimi dunque
tu stesso, e taci. ? E voi, Spartani, udite. ?
In error sete or da più cose indotti:
d'Agesilào l'oprar, d'Anfare i gridi,
di Leonida l'arte, il tacer mio,
tutto a gara ingannovvi. A tal siam giunti
noi tutti omai, che a trar d'error ciascuno,
egli è mestier ch'Agide pera. Io stesso
già potea di mia mano a me dar morte
libera e degna; ma, il fuggir di vita,
reo presso voi fatto mi avria. Ben certo
era, e sono, in mio cor, che infamia nulla,
bench'io soggiaccia a giudici qualunque,
mai non fia per tornarmene. Lasciarmi
trar vivo io quindi a' miei nemici innanzi
sceglieva, e stovvi. Che il morir non temo,
vedretel voi: ch'io vendervi ancor cara
potrei mia vita ove il volessi, noto
faravvel tosto di adirata plebe
il terribile grido: in fin, ch'io tengo
più in pregio assai, che non me stesso, Sparta,
ven farà certi il morir mio. ? Vi esorto,
e vi scongiuro, a trarre dal mio sangue
l'util di Sparta, e il vostro. I campi, e l'oro,
che la mente or vi acciecano, e di pochi
in man ridotti, ai possessori al pari
fan danno, e a chi n'è privo; i campi, e l'oro,
per non voler dividerli coi vostri
concittadini, a voi fian tolti, e in breve,
dai nemici. La plebe, a voi sì vile
perché mendìca; la spartana plebe,
che abborre voi ricchi possenti e forti
più delle leggi, è molta; aspra la stringe
necessità feroce. Ove a voi giovi
rimembrar, che di Sparta e di Licurgo
figli son essi al par di voi, ben ponno
splendor di Sparta esser costoro ancora,
e in un, di voi salvezza. In altra guisa,
Sparta e se stessi annulleranno, e voi.
Maturo è omai, credete a me, maturo
è il cangiamento: il ciel non vuol ch'io 'l vegga;
ma vuol ch'ei segua: ad affrettarlo è d'uopo
d'Agide il sangue, e il sangue Agide dona.
Di voi pietà, non di me, sento: e queste,
parole son d'uom che morir sol brama,
e che non reca altro desire in tomba,
che di salvar la patria sua. Già posto
d'Agide in salvo il nome: a far me grande,
ch'altri ad effetto i miei disegni adduca
non fia mestier; anzi, gran parte invola
a me di gloria il riuscir d'altrui,
dopo il tentar mio vano. Ultimo sfogo
di vostra rabbia, il mio morir sia dunque;
di vostra invidia spenta il frutto primo
sia la virtù ripatriata, e l'alte
divine leggi di Licurgo in forza
tornate, e la spartana eccelsa gara
di patrio amor, di libertade, e d'armi.
Popolo
Grande è l'animo d'Agide: ingannati
forse noi fummo...
Anfare
Il sete, ora, da questi
sediziosi detti...
Agide
Efori, or quanto
vi avanza a dir, m'è noto. ? Appien compito
ho di un re cittadin l'ufficio estremo.
Io riedo al carcer mio, dalle cui mura
nulla uscirà d'Agide omai, che il nome.

SCENA IV

LEONIDA, ANFARE, Popolo, Efori, Senatori

Popolo
Ei qual reo non favella: è forza averne
maraviglia, e pietade.
Leonida
È ver, Spartani:
sedotto ei fui da Agesilào; par degno
di perdono il suo errore. Il chieggo io stesso
da voi, per lo mio genero; per quello,
che la vita salvommi...
Anfare
Or stai davanti
al senato ed agli efori: con essi
parlar tu dei, Leonida. Le tue
ragion private ai pubblici delitti
non tolgon pena; né il perdon precede
mai la condanna.
Leonida
Io, non che darla, udirla
né pur vo' dunque. Agide a morte porre
non volli io, no, benché morire ei merti.
Trarlo fuor dell'asilo, udirlo, e innanzi
ai giudici convincerlo; ciò solo
importava, ed io 'l feci: altro non resta
a far contr'esso. ? Ah! se del popol voce,
se del re preghi vagliono al cospetto
del senato e degli efori, da loro
vedrassi (io spero) di clemenza, in breve,
nobile al par che memorando esemplo.

SCENA V

ANFARE, Popolo, Efori, Senatori

Anfare
Generoso nemico, ottimo padre,
buon cittadin, Leonida; compiute
egli ha sue parti tutte: a noi le nostre
di compier resta. ? Agide è reo convinto
di maestade lesa: a lui, qual pena
giusta si aspetti, efori, il dite.
EFORI
Morte.
Popolo
Efori, ah! grazia or vi chieggiam noi tutti:
purch'ei lo stato omai non turbi...
Anfare
Udite?...
Lo udite voi, questo fragor tremendo,
che a noi si appressa? In suo favor di nuovo
già tumultua la plebe. Agide vivo,
e queta Sparta? ella è lusinga stolta.
EFORI
A morte, a morte il traditor ribelle;
Agide muoia...
Anfare
Ei morto fia, vel giuro. ?
Con la rea sozza plebe ogni aspro incontro
sfuggite intanto, o cittadini. E noi,
efori, noi la maestà di Sparta
con giusto ardir mostriamo. ? Olà, schiudete,
soldati, il passo. Andiam; né vil, né altero
sia il nostro aspetto. Il non temer la plebe,
tosto in se stessa a rientrar la sforza.

ATTO V

SCENA I

Interno del carcere di Sparta AGIDE

Agide
Fere urla io sento, e un immenso frastuono
intorno al carcer mio. ? Numi di Sparta,
deh! salvatela voi. ? Duolmi, che un ferro
io non serbava, onde troncare a un tempo
con la mia vita ogni tumulto. A lungo
pur tardar non dovrian quei che a svenarmi
mandati avrà Leonida. ? Consorte,...
diletti figli,... amata madre,... addio...
Più non vedrovvi!... A voi, memoria cara
lascio di me... Ma, per la madre io tremo:
sta in poter di Leonida... Che ascolto?
Chi vien? Si schiude il carcere!... Che miro?...
O mia sposa...

SCENA II

AGIDE, AGIZIADE

Agiziade
Son teco, Agide amato...
Dalla reggia del padre or mi sottraggo,
ove a custodia ei mi tenea. La plebe,
del tuo carcer la strada hammi disgombra;
e di vietarmen l'adito i soldati
non ebber core. ? Al fin son teco. ? Io vengo,
sposo, a salvarti, ove salvarti io possa;
o a morir teco io vengo.
Agide
Oh dolce sposa!...
Il cor mi squarci... Oh quanto il rivederti
mi è gioia,... e pena!... A conservar mia vita,
(ch'io 'l potrei, se il volessi, con la morte
di cittadini assai) l'amor tuo vero
trarmi or solo potria. Ma, il sai, che amarti
più che la patria mia, donna, nol deggio,
e tu stessa nol vuoi. Me dunque lascia
morire; e tu, serbati in vita; i cari
pegni tu salva, i figli nostri...
Agiziade
Invano
di Leonida al fero odio sottrargli
io tenterei: barbaro padre; appieno
nella prospera sorte ora il conosco;
nell'avversa ingannommi. A me null'arme
riman, che il pianto; egli nol cura: i nostri
figli salvar dalla sua rabbia, o il puote
Sparta con l'armi, o nulla il può. ? Ma padre
dovresti almen mostrarti; e, pe' tuoi figli,
serbar tua vita...
Agide
Oh ciel! qual mai mi porti
terribil guerra in questo punto estremo?
Amo i figli, e tu il sai: ma, non ben certo
è il morir loro; e certo fia, che a rivi
dei cittadini scorrerebbe il sangue,
s'io di forza mi armassi. E questi, e quelli,
son figli miei; ma i cittadini sono
di un giusto re figli primieri. ? O donna,
meglio di me, se sopravviver m'osi,
tu puoi salvarli. Quel sublime, a un tempo
tenero ardir, con cui seguivi il padre;
quello, con cui del mio destin ti eleggi
farti or compagna; quell'ardir sia scorta
a te, per porre i figli nostri in salvo.
Per quanto reo Leonida e crudele
esser possa, ei t'è padre: ove i tuoi figli
fra tue braccia tu stringa; ove il tuo petto
agli innocenti miseri sia scudo;
cuor non avrà di trucidarli. Ah! corri
vola al lor fianco, in lor difesa veglia;
per essi vivi, o sol con essi muori;
che al viver più, nulla ti sforza allora.
Agiziade
Lassa me!... che farò?... S'io te lasciassi,...
serbarmi a forza il duro padre in vita
vorria;... qual vita! orba di te... Ma, s'anco
vivi ei pur lascia i figli nostri,... il trono
a lor fia tolto... Ah! morir teco io voglio...
Agide
Donna, deh! m'odi, e acquetati... Saresti
madre or men forte, che già figlia t'eri?
L'ira mia non temevi, il dì che il padre
seguivi; e i figli, e il tuo consorte amato
per lui lasciavi; or, di quel padre istesso
tremerai tu, quando pe' figli il lasci?
Fuggir tu puoi con essi: assai grand'arme
hai contra lui; la tua virtude: hai mille
mezzi a tentar, pria di morire. Ah sposa!
te ne scongiuro, tentali; ripiglia
l'alto tuo core, e non mi torre il mio,
coi non maschi lamenti. Or, deh! vorresti
ch'io morissi piangendo? ah! no. ? Se degna
d'Agide sei, non mi sforzare a cosa
che sia d'Agide indegna.
Agiziade
E di qual padre
fu indegno mai l'amar suoi figli, il porgli
a sé medesmo innanzi?
Agide
Ai figli innanzi
la patria va. Sacro il mio sangue ad essa
ho da gran tempo; ai nostri figli amati
tu dei, s'è d'uopo, il tuo donar: ma prova
d'amor ben altro ad essi e a me tu dai,
se a lor ti serbi in vita. Ancor può molto,
più che nol pensi, il pianger tuo: la plebe,
se Leonida no, pietade avranne;
e senza spander sangue, a lei fia lieve
porre in salvo i miei figli. In somma, pensa,
che, te viva, non muore Agide intero.
In volgar donna ammirerei, qual prova
d'amore immenso e di valor sublime,
il non voler sorvivere al consorte;
ma da te spero, e da te chieggio, e il dei
d'Agide moglie, ad infelice vita
tu dei serbarti, intrepida, pe' figli...
Piangendo io 'l chieggo; e ti rimanga in core
questo mio pianto... Ah! per te sola al fine,
e pe' fanciulli nostri, Agide hai visto
lagrimar oggi.
Agiziade
Irrevocabil dunque
fia il tuo morir?...
Agide
La mia innocenza è certa. ?
Prendi l'ultimo amplesso; e ai cari pegni
recalo, in nome mio. Di' lor, ch'io moro
per la patria; di' lor, ch'ove al mio seggio
pervenissero adulti, altra vendetta
non faccian mai della morte del padre,
che rinnovar su l'orme sue le leggi
del gran Licurgo: e se in ciò pur, com'io,
hanno avverso il destin, com'io da forti,
nell'alta impresa perdano la vita.
Agiziade
Parlar non posso... Io... di lasciarti...
Agide
Un fido
consiglio avrai, nella mia degna madre;...
s'ella pur resta! ? Or via; lasciami; vanne.
Moglie, regina, madre, cittadina,
Spartana sei; tuoi dover tutti adempi.
Agiziade
Per sempre?... oh ciel!...
Agide
Deh! cessa.
Agiziade
Il piè tremante
mal mi regge...
Agide
Deh! vieni: uscita appena,
troverai scorta, e appoggio.
Agiziade
Oimè!... Si schiude
la ferrea porta...
Agide
Guardie, a voi la figlia
del vostro re consegno.
Agiziade
Agide... Ah crudi!...
Lasciar nol voglio... Agide!... addio...

SCENA III

AGIDE

Agide
? Me lasso!...
Misero me!... quante mai morti in una
aver degg'io?... Dolor qual mai si agguaglia
al duol di padre, e di marito? ? O Sparta,
quanto mi costi!... Eppur, Leonid'anco
è padre: in cor grato un presagio accolgo,
che alla sua figlia ei donerà i miei figli. ?
Or basta il pianto. ? Al mio morir mi appresso:
da re innocente, e da Spartano, io deggio
morire... Oh come vien lenta la morte! ?
Ma un'altra volta, ecco, ch'io strider sento
del mio carcer la porta?... e raddoppiarsi
odo anco gli urli a queste mura intorno?...
Che mai sarà?... Chi veggio?

SCENA IV

AGESISTRATA, AGIDE

Agide
O madre... Oh cielo!...
Agesistrata
Figlio, mancarti all'ultim'uopo mai
non ti potea la madre. Io qui ti arreco
libertà, di noi degna. ? In altra guisa
dartela volli; ma quand'era il tempo,
ogni mezzo tu stesso a me n'hai tolto.
Agide
E che? vuoi tu con le spartane grida?...
Agesistrata
Sparta invan grida. Il traditor tiranno
sì ben munito ha di soldati il loco,
che nulla or ponno i fidi nostri: indarno
tentan sforzarli; perditor respinti
sono, ed inerti, ed avviliti. Innanzi
io mi spingeva a' rei soldati in mezzo;
fere voci suonavanmi da tergo,
per me gridando: «Empi, alla madre ardite
tor l'accesso?». Mi vide Anfare allora;
loco fe' darmi, e qui son tratta.
Agide
Iniquo!
Te pur fra lacci ei volle. Ahi madre! a quale
rischio inutil per me?...
Agesistrata
Rischio? che parli?
Appo il mio figlio, a certa morte io vengo.
Vedine, in prova, il don ch'io reco.
Agide
Un ferro? ?
Oh madre vera! ? Altro desio, che un ferro,
per salvar Sparta, e me sottrarre al colpo
d'infame man, non accogliea nel petto:
e tu mel rechi? oh gioia! ? Or dammi...
Agesistrata
Scegli:
due ferri son; quel che tu lasci, è il mio.
Agide
Oh cielo!... E vuoi?...
Agesistrata
Donna mi estimi, o madre
d'Agide, tu? Pochi mi avanzan gli anni
di vita: Sparta, che invan salva speri,
serva è già: la tua madre, ov'ella resti,
di Leonida è serva. Or parla; io t'odo:
osi tu dirmi, che a tai patti io viva?
Agide
Che posso io dir? son figlio. ? O madre, almeno
soffri che primo io pera: ancor che serva,
Sparta estinta non è; quindi ancor salva,
altri può farla. In libertà il mio sangue
potrà ridurla forse: ma s'io, vile,
per non versare il mio, lasciato avessi
sparger per me dei cittadini il sangue,
già più Sparta or non fora.
Agesistrata
In te (pur troppo!)
Sparta or si estingue. ? Ed alla patria, al figlio
sopravviver vorrà spartana madre? ?
Figlio, abbracciami.
Agide
Oh madre!... Anco m'avanzi
nell'altezza dei sensi. ? Or dammi, e prendi
l'ultimo amplesso. Io lagrimar non oso
nell'abbracciarti; che il tuo pianto io veggo
da viril forza raffrenato starsi
sopra il tuo ciglio.
Agesistrata
Agide mio,... sei degno
di Sparta in vero;... ed io di te son degna.
Ch'io ancor ti abbracci... Oh! qual fragore?...

SCENA V

LEONIDA, ANFARE, Soldati col brando ignudo, AGIDE, AGESISTRATA

Leonida
Al fine
vinto abbiam noi.
Agesistrata
Che fia?
Agide
Deh! non scostarti
da me.
Anfare
Soldati, ucciso Agide sia,
pria della madre.[2]
Agide
Il tuo pugnal nascondi,
com'io, per poco; ed aspettiamgli; e taci.[3]
Anfare
Or, chi v'arresta? a che indugiate? A forza
disgiungeteli tosto.
Agide
In noi por mano
qual di voi, qual, si attenterebbe? ? Il vedi,
re Leonida, il vedi? anco i tuoi stessi
compri soldati, instupiditi stanno
d'Agide a fronte immobili. ? Ma, voglio
trarti tosto d'angoscia. A te sol'una
cosa richieggo.
Leonida
E fia?
Agide
Che intento vegli
su la tua figlia, affin che me non segua.
Leonida
T'ama ella tanto?
Agide
Più che non mi abborri. ?
Ma te pur ama, e ten diè prova; e in somma,
tu sei pur padre: i detti ultimi miei
fur questi.[4] ? Io moro. ? Pur... che... a Sparta giovi.
Anfare
Un ferro egli ha?
Agesistrata
Due ne recai.[5] ? Ti seguo,...
o figlio;... e morta... sul tuo... corpo... io cado.
Leonida
Di maraviglia, e di terror son pieno...
Che dirà Sparta?...
Anfare
I corpi lor si denno
alla plebe sottrarre...
Leonida
Ah! mai sottrarli,
mai non potrem, dagli occhi nostri, noi.






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