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Bruto Primo


al chiarissimo e libero uomo

IL GENERALE WASHINGTON.


Il Solo nome del liberator dell'America può stare in fronte della tragedia del liberatore di Roma.
A voi, egregio e rarissimo cittadino, la intitolo io perciò; senza mentovare né una pure delle tante lodi a voi debite, che tutte oramai nel sol nominarvi ristrette esser reputo. Né questo mio brevissimo dire potrá a voi parere di adulazione contaminato; poiché non conoscendovi io di persona, e vivendo noi dall'immenso oceano disgiunti, niuna cosa pur troppo abbiamo comune fra noi, che l'amor della gloria.
Felice voi, che alla tanta vostra avete potuto dar base sublime ed eterna! l'amor della patria dimostrato coi fatti. Io, benché nato non libero, avendo pure abbandonato in tempo i miei Lari; e non per altra cagione, che per potere altamente scrivere di libertá; spero di avere almeno per tal via dimostrato quale avrebbe potuto essere il mio amor per la patria, se una verace me ne fosse in sorte toccata. In questo solo aspetto, io non mi credo indegno del tutto di mescere al vostro il mio nome.

Parigi, 31 Decembre 1788.

Vittorio Alfieri.

Personaggi

Bruto;
Collatino;
Tito;
Tiberio;
Mamilio;
Valerio;
Popolo;
Senatori;
Congiurati;
Littori.

Scena, il foro ini Roma

ATTO PRIMO


SCENA PRIMA

Bruto, Collatino.


COLLATINO -Dove, deh! dove, a forza trarmi, o Bruto,
teco vuoi tu? Rendimi, or via, mel rendi
quel mio pugnal, che dell'amato sangue
gronda pur anco... Entro al mio petto...

BRUTO -Ah! pria
questo ferro, omai sacro, ad altri in petto
immergerassi, io 'l giuro. - Agli occhi intanto
di Roma intera, in questo foro, è d'uopo
che intero scoppi e il tuo dolore immenso,
ed il furor mio giusto.

COLLATINO -Ah! no: sottrarmi
ad ogni vista io voglio. Al fero atroce
mio caso, è vano ogni sollievo: il ferro,
quel ferro sol fia del mio pianger fine.

BRUTO -Ampia vendetta, o Collatin, ti fora
sollievo pure: e tu l'avrai; tel giuro. -
O casto sangue d'innocente e forte
Romana donna, alto principio a Roma
oggi sarai.

COLLATINO -Deh! tanto io pur potessi
sperare ancora! universal vendetta
pria di morir...

BRUTO -Sperare? omai certezza
abbine. Il giorno, il sospirato istante
ecco al fin giunge: aver può corpo e vita
oggi al fin l'alto mio disegno antico.
Tu, d'infelice offeso sposo, or farti
puoi cittadin vendicator: tu stesso
benedirai questo innocente sangue:
e, se allor dare il tuo vorrai, fia almeno
non sparso indarno per la patria vera...
Patria, sí; cui creare oggi vuol teco,
o morir teco in tanta impresa Bruto.

COLLATINO -Oh! qual pronunzi sacrosanto nome?
Sol per la patria vera, alla svenata
moglie mia sopravvivere potrei.

BRUTO -Deh! vivi dunque; e in ciò con me ti adopra.
Un Dio m'ispira; ardir mi presta un Dio,
che in cor mi grida: « A Collatino, e a Bruto,
spetta il dar vita e libertade a Roma ».

COLLATINO -Degna di Bruto, alta è tua speme: io vile
sarei, se la tradissi. O appien sottratta
la patria nostra dai Tarquinj iniqui,
abbia or da noi vita novella; o noi
(ma vendicati pria) cadiam con essa.

BRUTO -Liberi, o no, noi vendicati e grandi
cadremo omai. Tu ben udito forse
il giuramento orribil mio non hai;
quel ch'io fea nell'estrar dal palpitante
cor di Lucrezia il ferro, che ancor stringo.
Pel gran dolor tu sordo, mal l'udisti
in tua magion; qui rinnovarlo udrai
piú forte ancor, per bocca mia, di tutta
Roma al cospetto, e su l'estinto corpo
della infelice moglie tua. - Giá il foro,
col sol nascente, riempiendo vassi
di cittadini attoniti; giá corso
è per via di Valerio ai molti il grido
della orrenda catastrofe: ben altro
sará nei cor l'effetto, in veder morta
di propria man la giovin bella e casta.
Nel lor furor, quanto nel mio mi affido. -
Ma tu piú ch'uomo oggi esser dei: la vista
ritrar potrai dallo spettacol crudo;
ciò si concede al dolor tuo: ma pure
qui rimanerti dei: la immensa e muta
doglia tua, piú che il mio infiammato dire,
atta a destar compassionevol rabbia
fia nella plebe oppressa...

COLLATINO -Oh Bruto! il Dio
che parla in te, giá il mio dolore in alta
feroce ira cangiò. Gli estremi detti
di Lucrezia magnanima mi vanno
ripercotendo in piú terribil suono
l'orecchio e il core. Esser poss'io men forte
al vendicarla, che all'uccidersi ella?
Nel sangue solo dei Tarquinj infami
lavar poss'io la macchia anco del nome,
cui comune ho con essi.

BRUTO -Ah! nasco io pure
dell'impuro tirannico lor sangue:
ma, il vedrá Roma, ch'io di lei son figlio,
non della suora de' Tarquinj: e quanto
di non romano sangue entro mie vene
trascorre ancor, tutto cangiarlo io giuro,
per la patria versandolo. - Ma, cresce
giá del popolo folla: eccone stuolo
venir ver noi: di favellare è il tempo.

SCENA SECONDA

Bruto, Collatino, Popolo.

BRUTO -Romani, a me: Romani, assai gran cose
narrar vi deggio; a me venite.

POPOLO -O Bruto,
e fia pur ver, quel che si udí?...

BRUTO -Mirate:
questo è il pugnal, caldo, fumante ancora
dell'innocente sangue di pudica
Romana donna, di sua man svenata.
Ecco il marito suo; piange egli, e tace,
e freme. Ei vive ancor, ma di vendetta
vive soltanto, infin che a brani ei vegga
lacerato da voi quel Sesto infame,
violator, sacrilego, tiranno.
E vivo io pur; ma fino al dí soltanto,
che dei Tarquinj tutti appien disgombra
Roma libera io vegga.

POPOLO -Oh non piú intesa
dolorosa catastrofe!...

BRUTO -Voi tutti,
carchi di pianto e di stupor le ciglia,
su l'infelice sposo immoti io veggo!
Romani, sí miratelo; scolpita
mirate in lui, padri, e fratelli, e sposi,
la infamia vostra. A tal ridotto, ei darsi
morte or non debbe; e invendicato pure
viver non può... Ma intempestivo, e vano,
lo stupor cessi, e il pianto. - In me, Romani,
volgete in me pien di ferocia il guardo:
dagli occhi miei di libertade ardenti
favilla alcuna, che di lei v'infiammi,
forse (o ch'io spero) scintillar farovvi.
Giunio Bruto son io; quei, che gran tempo
stolto credeste, perch'io tal m'infinsi:
e tal m'infinsi, infra i tiranni ognora
servo vivendo, per sottrarre a un tratto
la patria, e me, dai lor feroci artigli.
Il giorno al fin, l'ora assegnata all'alto
disegno mio dai Numi, eccola, è giunta.
Giá di servi (che il foste) uomini farvi,
sta in voi, da questo punto. Io, per me, chieggo
sol di morir per voi; pur ch'io primiero
libero muoja, e cittadino in Roma.

POPOLO -Oh! che udiam noi? Qual maestá, qual forza
hanno i suoi detti!... Oh ciel! ma inermi siamo;
come affrontare i rei tiranni armati?...

BRUTO -Inermi voi? che dite? E che? voi dunque
sí mal voi stessi conoscete? In petto
stava a voi giá l'odio verace e giusto
contro agli empj Tarquinj: or or l'acerbo
ultimo orribil doloroso esemplo
della lor cruda illimitata possa,
tratto verravvi innanzi agli occhi. Al vostro
alto furor fia sprone, e scorta, e capo
oggi il furor di Collatino, e il mio.
Liberi farvi è il pensier vostro; e inermi
voi vi tenete? e riputate armati
i tiranni? qual forza hanno, qual'armi?
Romana forza, armi romane. Or, quale,
qual fia il Roman, che pria morir non voglia,
pria che in Roma o nel campo arme vestirsi
per gli oppressor di Roma? - Al campo è giunto,
tutto asperso del sangue della figlia,
Lucrezio omai, per mio consiglio; in questo
punto istesso giá visto e udito l'hanno
gli assediator d'Ardéa nemica: e al certo,
in vederlo, in udirlo, o l'armi han volte
ne' rei tiranni, o abbandonate almeno
lor empie insegne, a noi difender ratti
volano giá. Voi, cittadini, ad altri
ceder forse l'onor dell'armi prime
contra i tiranni, assentirestel voi?

POPOLO -Oh, di qual giusto alto furor tu infiammi
i nostri petti! - E che temiam, se tutti
vogliam lo stesso?

COLLATINO -Il nobil vostro sdegno,
l'impaziente fremer vostro, a vita
me richiamano appieno. Io, nulla dirvi
posso,... che il pianto... la voce... mi toglie...
Ma, per me parli il mio romano brando;
lo snudo io primo; e la guaína a terra
io ne scaglio per sempre. Ai re nel petto
giuro immergerti, o brando, o a me nel petto.
Primi a seguirmi, o voi, mariti e padri...
Ma, qual spettacol veggio!... Nel fondo della scena si vede il corpo di Lucrezia portato e seguito da una gran moltitudine.

POPOLO -Oh vista atroce!
Della svenata donna, ecco nel foro...

BRUTO -Sí, Romani; affissate, (ove pur forza
sia tanta in voi) nella svenata donna
gli occhi affissate. Il muto egregio corpo,
la generosa orribil piaga, il puro
sacro suo sangue, ah! tutto grida a noi:
« Oggi, o tornarvi in libertade, o morti
cader dovrete. Altro non resta ».

POPOLO -Ah! tutti
liberi, sí, sarem noi tutti, o morti.

BRUTO -Bruto udite voi dunque. - In su l'esangue
alta innocente donna, il ferro stesso,
cui trasse ei giá dal morente suo fianco,
innalza or Bruto; e a Roma tutta ei giura
ciò ch'ei giurò giá pria sul moribondo
suo corpo stesso. - Infin che spada io cingo,
finché respiro io l'aure, in Roma il piede
mai non porrá Tarquinjo nullo; io 'l giuro:
né di re mai l'abbominevol nome
null'uom piú avrá, né la possanza. - I Numi
lo inceneriscan qui, s'alto e verace
non è di Bruto il cuore. - Io giuro inoltre,
di far liberi, uguali, e cittadini,
quanti son or gli abitatori in Roma;
io cittadino, e nulla piú: le leggi
sole avran regno, e obbedirolle io primo.

POPOLO -Le leggi, sí; le sole leggi; ad una
voce noi tutti anco il giuriamo. E peggio
ne avvenga a noi, che a Collatin, se siamo
spergiuri mai.

BRUTO -Veri romani accenti
questi son, questi. Al sol concorde e intero
vostro voler, tirannide e tiranni,
tutto cessò. Nulla, per ora, è d'uopo,
che chiuder lor della cittá le porte;
poiché fortuna a noi propizia esclusi
gli ebbe da Roma pria.

POPOLO -Ma intanto, voi
consoli e padri ne sarete a un tempo.
Il senno voi, noi presteremvi il braccio,
il ferro, il core...

BRUTO -Al vostro augusto e sacro
cospetto, noi d'ogni alta causa sempre
deliberar vogliamo: esser non puovvi
nulla di ascoso a un popol re. Ma, è giusto,
che d'ogni cosa a parte entrin pur anco
e il senato, e i patrizj. Al nuovo grido
non son qui accorsi tutti: assai (pur troppo!)
il ferreo scettro ha infuso in lor terrore:
or di bell'opre alla sublime gara
gli appellerete voi. Qui dunque, in breve,
plebe e patrizj aduneremci: e data
fia stabil base a libertá per noi.

POPOLO -Il primo dí che vivrem noi, fia questo.


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Bruto, Tito.


TITO
-Come imponevi, ebber l'invito, o padre,
tutti i patrizj per consesso augusto.
Giá l'ora quarta appressa; intera Roma
tosto a' tuoi cenni avrai. Mi cape appena
entro la mente attonita il vederti
signor di Roma quasi...

BRUTO -Di me stesso
signor me vedi, e non di Roma, o Tito:
né alcun signor mai piú saravvi in Roma.
Io lo giurai per essa: io che finora
vil servo fui. Tal mi vedeste, o figli,
mentre coi figli del tiranno in corte
io v'educava a servitú. Tremante
padre avvilito, a libertá nudrirvi
io nol potea: cagione indi voi siete,
voi la cagion piú cara, ond'io mi abbelli
dell'acquistata libertá. Gli esempli
liberi e forti miei, scorta e virtude
saranvi omai, piú che il servir mio prisco
non vel fosse a viltá. Contento io muoio
per la patria quel dí che in Roma io lascio
fra cittadini liberi i miei figli.

TITO -Padre, all'alto tuo cor, che a noi pur sempre
tralucea, non minor campo era d'uopo
di quel che immenso la fortuna or t'apre.
Deh possiam noi nella tua forte impresa
giovarti! Ma, gli ostacoli son molti,
e terribili sono. È per se stessa
mobil cosa la plebe: oh quanti aiuti
ai Tarquinj ancor restano!...

BRUTO -Se nullo
ostacol piú non rimanesse, impresa
lieve fora, e di Bruto indi non degna:
ma, se Bruto gli ostacoli temesse,
degno non fora ei di compirla. - Al fero
immutabil del padre alto proposto,
tu il giovenile tuo bollore accoppia;
cosí di Bruto, e in un di Roma figlio,
Tito sarai. - Ma il tuo german si affretta...
Udiam quai nuove ei reca.



SCENA SECONDA

Tiberio, Bruto, Tito


TIBERIO -Amato padre,
mai non potea nel foro in miglior punto
incontrarti. Di gioja ebro mi vedi:
te ricercava. - Ansante io son, pel troppo
ratto venir: da non mai pria sentiti
moti agitato, palpitante, io sono.
Visti ho dappresso i rei Tarquinj or ora;
e non tremai...

TITO -Che fu?

BRUTO -Dove?...

TIBERIO -Convinto
con gli occhi miei mi son, ch'egli è il tiranno
l'uom fra tutti il minore. Il re superbo,
coll'infame suo Sesto, udita appena
Roma sommossa, abbandonava il campo;
e a sciolto fren ver la cittá correa
con stuolo eletto: e giunti eran giá quivi
presso alla porta Carmentale...

TITO -Appunto
v'eri tu a guardia.

TIBERIO -Oh me felice! io 'l brando
contro ai tiranni, io lo snudai primiero. -
Munita e chiusa la ferrata porta
sta: per difesa, alla esterior sua parte,
io con venti Romani, in sella tutti,
ci aggiriamo vegliando. Ecco il drappello,
doppio del nostro almen, ver noi si addrizza,
con grida, urli, e minacce. Udir, vederli,
ravvisargli, e co' ferri a loro addosso
scagliarci, è un solo istante. Altro è l'ardire,
altra è la rabbia in noi: tiranni a schiavi
credean venir; ma libertade e morte
ritrovan ei de' nostri brandi in punta.
Dieci e piú giá, morti ne abbiamo; il tergo
dan gli altri in fuga, ed è il tiranno il primo.
Gl'incalziamo gran tempo; invano; han l'ali.
Io riedo allora all'affidata porta;
e, caldo ancor della vittoria, ratto
a narrartela vengo.

BRUTO -Ancor che lieve,
esser de' pur di lieto augurio a Roma
tal principio di guerra. Avervi io parte
voluto avrei; che nulla al pari io bramo,
che di star loro a fronte. Oh! che non posso
e in foro, e in campo, e lingua, e senno, e brando,
tutto adoprare a un tempo? Ma, ben posso,
con tai figli, adempir piú parti in una.

TIBERIO -Altro a dirti mi resta. Allor che in fuga
ebbi posti quei vili, io, nel tornarne
verso le mura, il suon da tergo udiva
di destrier che correa su l'orme nostre;
volgomi addietro, ed ecco a noi venirne
del tirannico stuolo un uom soletto:
nuda ei la destra innalza; inerme ha il fianco;
tien con la manca un ramoscel d'olivo,
e grida, e accenna: io mi soffermo, ei giunge;
e in umil suon, messo di pace, ei chiede
l'ingresso in Roma. A propor patti e scuse
viene a Bruto, e al senato...

BRUTO -Al popol, dici:
che, o nulla è Bruto; o egli è del popol parte.
Ed era il messo?...

TIBERIO -Egli è Mamilio: io 'l fea
ben da' miei custodir fuor della porta;
quindi a saper che far sen debba io venni.

BRUTO -Giunge in punto costui. Non piú opportuno,
né piú solenne il dí potea mai scerre
per presentarsi de' tiranni il messo.
Vanne; riedi alla porta, il cerca, e teco
tosto lo adduci. Ei parlerá, se l'osa,
a Roma tutta in faccia: e udrá risposta
degna di Roma, io spero.

TIBERIO -A lui men volo.


SCENA TERZA

Bruto, Tito


BRUTO -Tu, vanne intanto ai senatori incontro;
fa che nel foro il piú eminente loco
a lor dia seggio. Ecco, giá cresce in folla
plebe; e assai de' senator pur veggo;
vanne; affrettati, o Tito.


SCENA QUARTA

Bruto, Popolo, Senatori e Patrizj,
che si van collocando nel foro


BRUTO - O tu, sovrano
scrutator dei piú ascosi umani affetti;
tu che il mio cor vedi ed infiammi; o Giove,
massimo, eterno protettor di Roma;
prestami, or deh! mente e linguaggio e spirti
alla gran causa eguali... Ah! sí, il farai;
s'egli è pur ver, che me stromento hai scelto
a libertá, vero e primier tuo dono.


SCENA QUINTA

Bruto, salito in ringhiera, Valerio, Tito
Popolo, Senatori, Patrizj.


BRUTO -A tutti voi, concittadini, io vengo
a dar dell'opre mie conto severo.
Ad una voce mi assumeste or dianzi
con Collatino a dignitá novella
del tutto in Roma: ed i littori, e i fasci,
e le scuri (fra voi giá regie insegne)
all'annual nostro elettivo incarco
attribuir vi piacque. In me non entra
per ciò di stolta ambizione il tarlo:
d'onori, no, (benché sien veri i vostri)
ebro non son: di libertade io 'l sono;
di amor per Roma; e d'implacabil fero
abborrimento pe' Tarquinj eterno.
Sol mio pregio fia questo; e ognun di voi
me pur soverchi in tale gara eccelsa;
ch'altro non bramo.

POPOLO -Il dignitoso e forte
tuo aspetto, o Bruto, e il favellar tuo franco,
tutto, sí, tutto in te ci annuncia il padre
dei Romani, e di Roma.

BRUTO -O figli, dunque;
veri miei figli, (poiché a voi pur piace
onorar me di un tanto nome) io spero
mostrarvi in breve, ed a non dubbie prove,
ch'oltre ogni cosa, oltre a me stesso, io v'amo. -
Con molti prodi il mio collega in armi
uscito è giá della cittade a campo,
per incontrar, e in securtá raccorre
quei che a ragion diserte han le bandiere
degli oppressori inique. Io tutti voi,
plebe, e patrizj, e cavalieri, e padri,
nel foro aduno; perché a tutti innanzi
trattar di tutti la gran causa io stimo.
Tanta è parte or di Roma ogni uom romano,
che nulla escluder dal consesso il puote,
se non l'oprar suo reo. - Patrizj illustri;
voi, pochi omai dal fero brando illesi
del re tiranno; e voi, di loro il fiore,
senatori; adunarvi infra una plebe
libera e giusta sdegnereste or forse?
Ah! no: troppo alti siete. Intorno intorno,
per quanto io giri intenti gli occhi, io veggo
Romani tutti; e nullo havvene indegno,
poiché fra noi re piú non havvi. - Il labro
a noi tremanti e mal sicuri han chiuso
finora i re: né rimaneaci scampo:
o infami farci, assenso dando infame
alle inique lor leggi; o noi primieri
cader dell'ira lor vittime infauste,
se in voi l'ardir di opporci invan, sorgea.

VALERIO
-Bruto, il vero tu narri. - A Roma io parlo
dei senatori in nome. - È ver, pur troppo!
Noi da gran tempo a invidíar ridotti
ogni piú oscuro cittadino; astretti
a dispregiar, piú ch'ogni reo, noi stessi;
che piú? sforzati, oltre il comune incarco
di servitú gravissimo, a tor parte
della infamia tirannica; ci femmo
minori assai noi della plebe; e il fummo:
né innocente parere al popol debbe
alcun di noi, tranne gli uccisi tanti
dalla regia empia scure. Altro non resta
oggi a noi dunque, che alla nobil plebe
riunir fidi il voler nostro intero;
né omai tentar di soverchiarla in altro,
che nell'odio dei re. Sublime, eterna
base di Roma, fia quest'odio sacro.
Noi dunque, noi, per gl'infernali Numi,
sul sangue nostro e quel dei figli nostri,
tutti il giuriam ferocemente, a un grido.

POPOLO -Oh grandi! Oh forti! Oh degni voi soltanto
di soverchiarci omai! La nobil gara
accettiam di virtú. Non che gl'iniqui
espulsi re, (da lor viltá giá vinti)
qual popol, quale, imprenderia far fronte
a noi Romani e cittadini a prova?

BRUTO -Divina gara! sovrumani accenti!...
Contento io moro: io, qual Romano il debbe,
ho parlato una volta; ed ho con questi
orecchi miei pure una volta udito
Romani sensi. - Or, poiché Roma in noi
per la difesa sua tutta si affida
fuor delle mura esco a momenti io pure;
e a voi giorno per giorno darem conto
d'ogni nostr'opra, o il mio collega, od io;
finché, deposte l'armi, in piena pace
darete voi stabil governo a Roma.

POPOLO -Romper, disfar, spegner del tutto in pria
tiranni fa d'uopo.

BRUTO -A ciò sarovvi,
ed a null'altro, io capo. - Udir vi piaccia
un loro messo brevemente intanto:
in nome lor di favellarvi ei chiede.
Il credereste voi? Tarquinjo, e seco
l'infame Sesto, ed altri pochi, or dianzi
fin presso a Roma a spron battuto ardiro
spingersi; quasi a un gregge vil venirne
stimando; ahi stolti! Ma, delusi assai
ne furo; a me l'onor dell'armi prime
furò Tiberio, il figliuol mio. Ne andaro
gl'iniqui a volo in fuga; all'arte quindi
dalla forza scendendo, osan mandarvi
ambasciator Mamilio. I patti indegni
piacevi udir quai sieno?

POPOLO -Altro non havvi
patto fra noi, che il morir loro, o il nostro.

BRUTO -Ciò dunque egli oda, e il riferisca.

POPOLO -A noi
venga su dunque il servo nunzio; i sensi
oda ei di Roma, e a chi l'invia li narri.


SCENA SESTA

Bruto, Tito, Tiberio, Mamilio. Valerio,
Popolo, Senatori e Patrizj.


BRUTO -Vieni, Mamilio, inoltrati; rimira
quanto intorno ti sta. Cresciuto in corte
de' Tarquinj, tu Roma non hai visto:
mirala; è questa. Eccola intera, e in atto
di ascoltarti. Favella.

MAMILIO -... Assai gran cose
dirti, o Bruto, dovrei: ma, in questo immenso
consesso,... esporre... all'improvviso...

BRUTO -Ad alta
voce favella; e non a me. Sublime
annunziator di regj cenni, ai padri,
alla plebe gli esponi: in un con gli altri,
Bruto anch'egli ti ascolta.

POPOLO -A tutti parla;
e udrai di tutti la risposta, in brevi
detti, per bocca del gran consol Bruto.
Vero interprete nostro egli è, sol degno
di appalesar nostr'alme. Or via, favella;
e sia breve il tuo dire: aperto e intero
sará il risponder nostro.

BRUTO -Udisti?

MAMILIO -Io tremo.
- Tarquinjo re...

POPOLO -Di Roma no.

MAMILIO -- Di Roma
Tarquinjo amico, e padre...

POPOLO -Egli è di Sesto
l'infame padre, e non di noi...

BRUTO -Vi piaccia,
quai che sian i suoi detti, udirlo in pieno
dignitoso silenzio.

MAMILIO -- A voi pur dianzi
venía Tarquinjo, al primo udir che Roma
tumultuava; e inerme, e solo ei quasi,
securo appien nella innocenza sua,
e nella vostra lealtá, veniva:
ma il respingeano l'armi. Indi ei m'invia
messaggero di pace; e per me chiede,
qual è il delitto, onde appo voi sí reo,
a perder abbia oggi ei di Roma il trono
a lui da voi concesso...

POPOLO -Oh rabbia! Oh ardire!
Spenta è Lucrezia, e del delitto ei chiede?...

MAMILIO -Fu Sesto il reo, non egli...

TIBERIO -E Sesto, al fianco
del padre, anch'ei veniva or dianzi in Roma:
e se con lui volto non era in fuga,
voi qui vedreste.

POPOLO -Ah! perché in Roma il passo
lor si vietò? giá in mille brani e in mille
fatti entrambi gli avremmo.

MAMILIO - È ver, col padre
Sesto anco v'era: ma Tarquinjo stesso,
piú re che padre, il suo figliuol traea,
per sottoporlo alla dovuta pena.

BRUTO -Menzogna è questa, e temeraria, e vile;
e me pur, mal mio grado, a furor tragge.
Se, per serbarsi il seggio, il padre iniquo
svenar lasciasse anco il suo proprio figlio,
forse il vorremmo noi? La uccisa donna
ha posto, è vero, al soffrir nostro il colmo:
ma, senz'essa, delitti altri a migliaja
mancano al padre, ed alla madre, e a tutta
la impura schiatta di quel Sesto infame?
Servio, l'ottimo re, suocero e padre,
dal scelerato genero è trafitto;
Tullia, orribile mostro, al soglio ascende
calpestando il cadavero recente
dell'ucciso suo padre: il regnar loro
intesto è poi di oppressioni e sangue;
senatori e i cittadin svenati;
spogliati appieno i non uccisi; tratto
dai servigi di Marte generosi,
(a cui sol nasce il roman popol prode)
tratto a cavar vilmente e ad erger sassi,
che rimarranno monumento eterno
del regio orgoglio e del di lui servaggio:
ed altre, ed altre iniquitá lor tante:...
quando mai fin, quando al mio dir porrei,
se ad uno ad uno annoverar volessi
de' Tarquinj i misfatti? Ultimo egli era,
Lucrezia uccisa; e oltr'esso omai non varca,
né la loro empietá, né il soffrir nostro.

POPOLO -L'ultimo è questo; ah! Roma tutta il giura...

VALERIO -Il giuriam tutti: morti cadrem tutti,
pria che in Roma Tarquinjo empio mai rieda.

BRUTO -- Mamilio, e che? muto, e confuso stai?
Ben la risposta antiveder potevi.
Vanne; recala or dunque al signor tuo,
poich'esser servo all'esser uom preponi.

MAMILIO -- Ragioni molte addur potrei;... ma, niuna...

POPOLO -No; fra un popolo oppresso e un re tiranno,
ragion non havvi, altra che l'armi. In trono,
pregno ei d'orgoglio e crudeltade, udiva,
udiva ei forse allor ragioni, o preghi?
Non rideva egli allor del pianger nostro?

MAMILIO -- Dunque, omai piú felici altri vi faccia
con miglior regno. - Ogni mio dire in una
sola domanda io stringo. - Assai tesori
Tarquinjo ha in Roma; e son ben suoi: fia giusto,
ch'oltre l'onore, oltre la patria e il seggio,
gli si tolgan gli averi?

POPOLO -- A ciò risponda
Bruto per noi.

BRUTO -Non vien la patria tolta
dai Romani a Tarquinjo: i re non hanno
patria mai; né la mertano: e costoro
di roman sangue non fur mai, né il sono.
L'onor loro a se stessi han da gran tempo
tolto essi giá. Spento è per sempre in Roma
e il regno, e il re, dal voler nostro; il seggio
preda alle fiamme, e in cener vil ridotto;
né di lui traccia pure omai piú resta.
In parte è ver, che i loro avi stranieri
seco in Roma arrecar tesori infami,
che, sparsi ad arte, ammorbatori in pria
fur dei semplici nostri almi costumi;
tolti eran poscia, e si accrescean col nostro
sudore e sangue: onde i Romani a dritto
ben potrian ripigliarseli. - Ma, Roma
degni ne stima oggi i Tarquinj soli;
e a lor li dona interi.

POPOLO -Oh cor sublime!
Un Nume, il genio tutelar di Roma
favella in Bruto. Il suo voler si adempia...
Abbia Tarquinjo i rei tesori...

BRUTO -Ed esca
coll'oro il vizio, e ogni regal lordura. -,
Vanne Mamilio; i loro averi aduna,
quanto piú a fretta il puoi: custodi e scorta
a ciò ti fian miei figli. Ite voi seco.


SCENA SETTIMA

Bruto, Popolo, Valerio, Senatori Patrizj.


BRUTO -Abbandonare, o cittadini, il foro
dovriasi, parmi; e uscire in armi a campo.
Vediam, vediam, s'altra risposta forse
chiederci ardisce or di Tarquinjo il brando.

POPOLO -Ecco i tuoi scelti, a tutto presti, o Bruto.

BRUTO -Andiam, su dunque, alla vittoria, o a morte.



ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Tiberio, Mamilio.


TIBERIO -Vieni, Mamilio, obbedir deggio al padre:
espressamente or or mandommi un messo,
che ciò m'impone: al tramontar del sole
fuori esser dei di Roma.

MAMILIO -Oh! come ardisce
ei rivocar ciò che con Roma intera
mi concedea stamane ei stesso?...

TIBERIO -Il solo
qui rimanerti a te si toglie: in breve
ti seguiran fuor delle porte i chiesti
e accordati tesori. Andiam...

MAMILIO -Che deggio
dunque recare all'infelice Aronte
in nome tuo?

TIBERIO -Dirai,... ch'ei sol non merta
di nascer figlio di Tarquinjo; e ch'io,
memore ancor dell'amistade nostra,
sento del suo destin pietá non poca.
Nulla per lui poss'io...

MAMILIO -Per te, puoi molto.

TIBERIO -Che dir vuoi tu?

MAMILIO -Che, se pietade ancora
l'ingresso ottiene entro al tuo giovin petto,
dei di te stesso, e in un de' tuoi, sentirla.

TIBERIO -Che parli?

MAMILIO -A te può la pietá d'Aronte
giovare, (e in breve) piú che a lui la tua.
Bollente or tu di libertá, non vedi
né perigli, né ostacoli; ma puoi
creder tu forse, che a sussister abbia
questo novello, e neppur nato appieno,
mero ideale popolar governo?

TIBERIO -Che libertade a te impossibil paia,
poiché tu servi, io 'l credo. Ma, di Roma
il concorde voler...

MAMILIO -Di un'altra Roma
ho il voler poscia udito: io te compiango;
te, che col padre al precipizio corri. -
Ma, Tito vien su l'orme nostre. Ah! forse,
meglio di me, potrá il fratel tuo stesso
il dubbio stato delle cose esporti.


SCENA SECONDA

Tito, Mamilio, Tiberio.


TITO -Te rintracciando andava; io favellarti...

TIBERIO -Per or nol posso.

MAMILIO -Immantinente trarmi
ei fuor di Roma debbe: uno assoluto
comando il vuol del vostro padre. - Oh quanto
di voi mi duole, o giovinetti!...

TIBERIO -Andiamo,
andiam frattanto. - Ad ascoltarti, o Tito,
or ora io riedo.

TITO -E che vuol dir costui?

MAMILIO -Andiam: narrarti io potrò forse in via
quanto il fratel dirti or volea.

TITO -T'arresta.
Saper da te...

MAMILIO -Piú che non sai, dirotti.
Tutto sta in me: da gran perigli io posso
scamparvi, io solo...

TIBERIO -Artificiosi detti
tu muovi...

TITO -E che sta in te?

MAMILIO -Tiberio, e Tito,
e Bruto vostro, e Collatino, e Roma.

TIBERIO -Folle, che parli?

TITO -Io so che la iniqua speme...

MAMILIO -Speme? certezza ell'è. Giá ferma e piena
a favor dei Tarquinj arde congiura:
né son gli Aquilj a congiurare i soli,
come tu il pensi, o Tito: Ottavj, e Marzj,
e cento e cento altri patrizj; e molti,
e i piú valenti, infra la plebe istessa...

TIBERIO -Oh ciel! che ascolto?...

TITO - È ver, pur troppo, in parte:
fero un bollor v'ha in Roma. A lungo, or dianzi,
presso gli Aquilj si adunò gran gente:
come amico e congiunto, alle lor case
mi appresentava io pure, e solo escluso
ne rimanea pur io. Grave sospetto
quindi in me nacque...

MAMILIO -Appo gli Aquilj io stava,
mentre escluso tu n'eri: è certa, è tale
la congiura, e sí forte, ch'io non temo
di svelarvela.

TIBERIO -Perfido...

TITO -Le vili
arti tue v'adoprasti...

MAMILIO -Udite, udite,
figli di Bruto, ciò che dirvi io voglio. -
S'arte mia fosse stata, ordir sí tosto
sí gran congiura, io non sarei per tanto
perfido mai. Per l'alta causa e giusta
di un legittimo re, tentati, e volti
a pentimento e ad equitade avrei
questi sudditi suoi da error compresi,
traviati dal ver; né mai sarebbe
perfidia ciò. Ma, né usurpar mi deggio,
né vo', l'onor di cosa che arte nulla,
né fatica, costavami. Disciolto
dianzi era appena il popolar consesso,
ch'io di nascosto ricevea l'invito
al secreto consiglio. Ivi stupore
prendea me stesso, in veder tanti, e tali,
e sí bollenti difensori unirsi
degli espulsi Tarquinj: e a gara tutti
mi promettean piú assai, ch'io chieder loro
non mi fora attentato. Il solo Sesto
chiamavan tutti alla dovuta pena.
Ed è colpevol Sesto; e irato il padre
contr'esso è piú, che nol sia Roma; e intera
ne giurava ei vendetta. Io lor fea noto
questo pensier del re: gridano allora
tutti a una voce: « A lui riporre in trono
darem la vita noi ». Fu questo il grido
della miglior, della piú nobil parte
di Roma. - Or voi, ben dal mio dir scorgete,
ch'arte in me non si annida: il tutto io svelo,
per voi salvar; e per salvare a un tempo,
ov'ei pur voglia, il vostro padre istesso.

TIBERIO -- Poiché giá tanto sai, serbarti in Roma
stimo il miglior, fino al tornar del padre.
Veggo or perché Bruto inviò sí ratto
il comando di espellerti; ma tardo
pur mi giungea...

TITO -Ben pensi: e ognor tu intanto
sovr'esso veglia. Il piú sicuro asilo
per custodir costui, la magion parmi
de' Vitellj cugini: io fuor di Roma
volo, il ritorno ad affrettar del padre.

MAMILIO -Franco parlai, perché di cor gentile
io vi tenni; tradirmi ora vi piace?
Fatelo: e s'anco a Bruto piace il sacro
diritto infranger delle genti, il faccia
nella persona mia: ma giá tant'oltre
la cosa è omai, che, per nessun mio danno,
util toccarne a voi non può, né a Bruto.
Giá piú inoltrata è la congiura assai,
che nol pensate or voi, Bruto, e il collega,
e dell'infima plebe la vil feccia,
sono il sol nerbo che al ribelle ardire
omai rimane. Al genitor tu vanne,
Tito, se il vuoi; piú di tornar lo affretti,
piú il suo destin tu affretti. - E tu, me tosto
appo i Vitellj traggi: ivi securo,
piú assai che tu, fra lor starommi.

TIBERIO -Or quale
empio sospetto?...

MAMILIO -Di evidenza io parlo;
non di sospetto. Anco i Vitellj, i fidi
quattro germani della madre vostra;
essi, che a Bruto di amistade astretti
eran quanto di sangue, anch'essi or vonno
ripor Tarquinjo in seggio.

TITO -Oh ciel!...

TIBERIO -Menzogna
fia questa...

MAMILIO -Il foglio, ove i piú illustri nomi
di propria man dei congiurati stanno,
convincer puovvi? - Eccolo: ad uno ad uno
leggete or voi, sotto agli Aquilj appunto,
scritti i quattro lor nomi.

TIBERIO -Ahi vista!

TITO -Oh cielo!
che mai sará del padre?...

TIBERIO -Oh giorno! Oh Roma!...

MAMILIO -- Né, perch'io meco or questo foglio arrechi,
crediate voi che al mio partir sia annesso
della congiura l'esito. Un mio fido
nascoso messo è giá di Roma uscito;
giá il tutto è omai noto a Tarquinjo appieno.
Dalla vicina Etruria a lui giá molti
corrono in armi ad ajutarlo; il forte
re di Chiusi è per lui; Tarquinja, Veia,
Etruria tutta in somma, e Roma tutta;
tranne i consoli, e voi. Questo mio foglio
null'altro importa, che in favor dei nomi
la clemenza del re. Col foglio a un tempo
me date in man del genitore: a rivi
scorrer farete dei congiunti vostri
forse il sangue per or; ma, o tosto, o tardi,
a certa morte il genitor trarrete:
e il re fia ognor Tarquinjo poscia in Roma.

TITO -Ah! ch'io pur troppo antivedea per tempo
quant'ora ascolto. Al padre io 'l dissi...

TIBERIO -A scabro
passo siam noi. Che far si dee? deh! parla...

TITO -Grave periglio al genitor sovrasta...

TIBERIO -E assai piú grave a Roma...

MAMILIO -Or via, che vale
il favellar segreto? O fuor di Roma
trar mi vogliate, o di catene avvinto
ritenermivi preso, a tutto io sono
presto omai: ma, se amor vero del padre,
e di Roma vi punge, e di voi stessi;
voi stessi, e il padre in un salvate, e Roma.
Ciò tutto è in voi.

TITO -Come?...

TIBERIO -Che speri?...

MAMILIO -Aggiunti
di propria mano i nomi vostri a questi,
fia salvo il tutto.

TIBERIO -Oh ciel! la patria, il padre
noi tradirem?...

MAMILIO -Tradiste e patria e padre,
e l'onor vostro, e i tutelari Numi,
allor che al re legittimo vi osaste
ribellar voi. Ma, se l'impresa a fine
vi avvenía di condurre, un frutto almeno
dal tradimento era per voi raccolto:
or che svanita è affatto, (ancor vel dico)
col piú persister voi trarrete, e invano,
la patria e il padre a fere stragi, e voi.

TITO -Ma dimmi; aggiunto ai tanti nomi il nostro,
a che ci mena? a che s'impegnan gli altri?

MAMILIO -A giuste cose. Ad ascoltar di bocca
propria del re le sue discolpe; a farvi
giudici voi, presente il re, del nuovo
misfatto orribil del suo figlio infame;
a vederlo punito; a ricomporre
sotto men duro freno in lustro e in pace
la patria vostra... Ah! sovra gli altri tutti,
liberatori della patria veri
nomar vi udrete; ove stromenti siate
voi d'amistade infra Tarquinjo e Bruto;
nodo, che sol porre or può in salvo Roma.

TITO -Certo, a ciò far noi pur potremmo...

TIBERIO -Ah! pensa...
Chi sa?... Forse altro...

TITO -E ch'altro a far ci resta?
Possente troppo è la congiura...

TIBERIO -Io d'anni
minor ti sono; in sí importante cosa
da te partirmi io non vorrei, né il posso:
troppo ognora ti amai: ma orribil sento
presagio al core...

TITO -Eppur, giá giá si appressa
la notte, e ancor coi loro prodi in Roma
né Collatin, né il padre, tornar veggio:
ito ai Tarquinj è di costui giá il messo:
stretti noi siam per ogni parte: almeno
per or ci è forza il re placare...

MAMILIO - È tarda
l'ora omai; risolvete: è vano il trarvi
da me in disparte. Ove in mio pro vogliate,
o (per piú vero dire) in util vostro
ove adoprarvi ora vogliate, il meglio
fia il piú tosto. Firmate; eccovi il foglio.
Me, di tai nomi ricco, uscir di Roma
tosto farete, affin che tosto in Roma
rieda la pace.

TITO -Il ciel ne attesto; ei legge
nel cor mio puro; ei sa, che a ciò mi sforza
solo il bene di tutti.

TIBERIO -Oh ciel! Che fai?...

TITO -Ecco il mio nome.

TIBERIO -- E sia, se il vuoi. - Firmato,
ecco, o Mamilio, il mio.

MAMILIO -Contento io parto.

TITO -Scortalo dunque tu; mentr'io...


SCENA TERZA

Littori, Collatino con numerosi soldati,
Tito, Mamilio, Tiberio.


COLLATINO -Che veggo?
Ancor Mamilio in Roma?

TIBERIO -Oh cielo!...

TITO -Oh vista!
Oh fero inciampo!

COLLATINO -E voi, cosí servaste
l'assoluto incalzante ordin del padre? -
Ma, donde tanto il turbamento in voi?
Perché ammutite? - Al ciel sia lode; in tempo
io giungo forse ancora. - Olá, littori,
Tito e Tiberio infra catene avvinti
sian tosto...

TITO -Deh! ci ascolta...

COLLATINO -In breve udravvi
Roma, e il console Bruto. Alla paterna
magion traete i due fratelli; e quivi
su lor vegliate.

TIBERIO -Ah Tito!


SCENA QUARTA

Collatino, Mamilio, Soldati.


COLLATINO -E voi, costui
fuor delle porte accompagnate...

MAMILIO -Io venni
sotto pubblica fede...

COLLATINO -E invíolato,
sotto pubblica fé, che pur non merti,
ne andrai. - Quinto, mi ascolta.


SCENA QUINTA

Collatino.


COLLATINO -Oh ciel! qual fia
il fin di tante orribili sventure?... -
Ma, pria che giunga Bruto, a tutto intanto
qui provveder, con ferreo cor, m'è forza.


ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

Littori, Bruto, Soldati.


BRUTO -Prodi Romani, assai per oggi abbiamo
combattuto per Roma. Ognun fra i suoi,
quanto riman della inoltrata notte,
può ricovrarsi placido. Se ardire
avrá il nemico di rivolger fronte
ver Roma ancor, ci adunerem di nuovo
a respingerlo noi.


SCENA SECONDA

Collatino, Littori, Bruto, Soldati.


COLLATINO -Ben giungi, o Bruto.
Giá, del tuo non tornare ansio, veniva
io fuor di Roma ad incontrarti.

BRUTO -Io tardi
riedo, ma pieno di speranza e gioja.
I miei forti a gran pena entro alle mura
potea ritrarre; in aspra zuffa ardenti
stringeansi addosso ad un regal drappello,
che, al primo aspetto, di valor fea mostra.
Su le regie orme eran d'Ardéa venuti,
né il re sapean respinto: al fuggir forse
altra strada ei teneva. A noi fra mani
cadean costoro; e sbaragliati e rotti
eran giá tutti, uccisi in copia, e in fuga
cacciati gli altri, anzi che il sol cadesse.
Dal piú incalzarli poscia i miei rattenni,
per le giá sorte tenebre, a gran stento.

COLLATINO -Nella mia uscita avventurato anch'io
non poco fui. Per altra porta al piano,
il sai, scendeva io primo: a torme a torme,
pressoché tutto lo sbandato nostro
prode esercito, in sorte a me fu dato
d'incontrare; deserte avean l'insegne
in Ardéa del tiranno. Oh! quai di pura
gioja sublime alte feroci grida
mandano al ciel, nell'incontrarsi, i forti
cittadini e soldati!... Entro sue mura,
da me scortati, or gli ha raccolti Roma;
e veglian tutti in sua difesa a gara.

BRUTO -Scacciato, al certo, come al figlio imposi,
fu il traditor Mamilio. Andiam noi dunque
tutti a breve riposo; assai ben, parmi,
noi cel mercammo. Al sol novello, il foro
ci rivedrá; che d'alte cose a lungo
trattar col popol dessi.

COLLATINO -- Oh Bruto!... Alquanto
sospendi ancora. - Or, fa in disparte trarsi,
ma in armi stare i tuoi soldati: io deggio
a solo a sol qui favellarti.

BRUTO -E quale?...

COLLATINO -L'util di Roma il vuol; ten prego...

BRUTO -In armi
all'ingresso del foro, in doppia schiera,
voi, soldati, aspettatemi. - Líttori,
scostatevi d'alquanto.

COLLATINO -- Ah Bruto!... Il sonno,
ancorché breve, infra i tuoi Lari, in questa
orribil notte, il cercheresti indarno.

BRUTO -Che mai mi annunzj?... Oh cielo! onde turbato,
inquieto, sollecito,... tremante?...

COLLATINO -Tremante, sí, per Bruto io sto; per Roma;
per tutti noi. - Tu questa mane, o Bruto,
alla recente profonda mia piaga,
pietoso tu, porgevi almen ristoro
di speranza e vendetta: ed io (me lasso!)
debbo in premio a te fare, oh ciel!... ben altra
piaga nel core or farti debbo io stesso.
Deh! perché vissi io tanto?... Ahi sventurato
misero padre! or dei da un infelice
orbo marito udirti narrar cosa,
che punta mortalissima nel petto
saratti!... Eppur; né a te tacerla io deggio;...
né indugiartela posso.

BRUTO -Oimè!... mi fanno
rabbrividire i detti tuoi... Ma pure
peggior del danno è l'aspettarlo. Narra.
Finora io sempre in servitú vissuto,
per le piú care cose mie son uso
a tremar sempre. Ogni sventura mia,
purché Roma sia libera del tutto,
udir poss'io: favella.

COLLATINO -In te (pur troppo!)
in te sta il far libera Roma appieno;
ma a tal costo, che quasi... Oh giorno!... Io prima,
a duro prezzo occasione io diedi
all'alta impresa; a trarla a fine, oh cielo!...
forza è che Bruto a Roma tutta appresti
un inaudito, crudo, orrido esemplo
di spietata fortezza. - Infra i tuoi Lari,
(il crederesti?) in securtá non stai.
Fera, possente, numerosa, bolle
una congiura in Roma.

BRUTO -Io giá 'l sospetto
n'ebbi, in udir del rio Mamilio i caldi
raggiri; e quindi ordine espresso a fretta,
pria di nona, a Tiberio ebbi spedito,
di farlo uscir tosto di Roma.

COLLATINO -Il sole
giungea giá quasi d'occidente al balzo,
quand'io qui ancor con i tuoi figli entrambi
ritrovava Mamilio. - Il dirtel duolmi;
ma vero è pur; male obbedito fosti.

BRUTO -Oh! qual desti in me sdegno a terror misto?...

COLLATINO -Misero Bruto!... Or che sará, quand'io
ti esporrò la congiura?... e quando il nome
dei congiurati udrai?... Primi, fra molti
de' piú stretti congiunti e amici tuoi,
anima son del tradimento, e parte,
primi i Vitellj stessi...

BRUTO -Oimè! i germani
della consorte mia?...

COLLATINO -Chi sa, se anch'essa
da lor sedotta or contra te non sia?
E,... gli stessi... tuoi figli?...

BRUTO -Oh ciel! Che ascolto?
Mi agghiacci il sangue entro ogni vena... I figli
miei, traditori?... Ah! no, nol credo...

COLLATINO -Oh Bruto!...
Cosí non fosse! - Ed io neppure il volli
creder da prima: agli occhi miei fu poscia
forza (oimè!) ch'io 'l credessi. - È questo un foglio
fatal per noi: leggilo.

BRUTO -... Il cor mi trema.
Che miro io qui? di propria man vergati
nomi su nomi: e son gli Aquilj i primi,
indi i Vitellj tutti; e i Marzi; ed altri;
ed altri; e in fin... Tito! Tiberio!... Ah! basta...
Non piú;... troppo vid'io. - Misero Bruto!...
Padre ormai piú non sei... - Ma, ancor di Roma
consol non men che cittadin, tu sei. -
Littori, olá, Tito e Tiberio tosto
guidinsi avanti al mio cospetto.

COLLATINO -Ah! meglio,
meglio era, o Bruto, che morir me solo
lasciassi tu...

BRUTO -Ma come in man ti cadde
questo terribil foglio?

COLLATINO -Io stesso il vidi,
bench'ei ratto il celasse, in mano io 'l vidi
del traditor Mamilio: il feci io quindi
torre a lui nell'espellerlo di Roma.
A fida guardia in tua magion commessi
ebbi intanto i tuoi figli; a ogni altra cosa
ebbi a un tratto provvisto: a vuoto, io spero,
tutti cadranno i tradimenti. In tempo
n'ebbi io l'avviso; e fu pietade al certo
di Giove, somma, che scoperto volle
un sí orribile arcano a me non padre.
Io, palpitando, e piangendo, a te il narro:
ma forza è pur, che te lo sveli io pria,
che in tua magion tu il piede...

BRUTO -Altra magione
piú non rimane all'infelice Bruto,
fuorché il foro, e la tomba. - È dover mio,
dar vita a Roma, anzi che a Bruto morte.

COLLATINO -Mi squarci il core. Il tuo dolor mi toglie
quasi il senso del mio... Ma, chi sa?... forse,
scolpar si ponno i figli tuoi... Gli udrai...
Io, fuorché a te, né pur parola ho fatto
finor della congiura: ogni piú saldo
mezzo adoprai, per impedir soltanto
ch'uom non si muova in questa notte: all'alba
convocato ho nel foro il popol tutto...

BRUTO -E il popol tutto, alla sorgente aurora,
il vero appien, qual ch'esser possa, e il solo
vero saprá, per bocca mia.

COLLATINO -Giá i passi
dei giovinetti miseri...

BRUTO -I miei figli!...
Tali stamane io li credea; nemici
or mi son fatti, e traditori a Roma?...


SCENA TERZA

Tito, Tiberio fra Littori, Bruto, Collatino.


BRUTO -In disparte ognun traggasi: voi soli
inoltratevi.

TITO -Ah padre!...

BRUTO -Il consol io
di Roma sono. - Io chieggo a voi, se siete
cittadini di Roma.

TIBERIO -Il siamo; e figli
ancor di Bruto...

TITO -E il proverem, se udirci
il consol degna.

COLLATINO -Ai loro detti, agli atti,
sento il cor lacerarmi.

BRUTO -- Un foglio è questo,
che ai proscritti Tarquinj riportava
il reo Mamilio. Oltre molti altri, i vostri
nomi vi stan, di vostro proprio pugno.
Voi, traditori della patria dunque
siete, non piú di Bruto figli omai;
figli voi de' tiranni infami siete.

TITO -Vero è (pur troppo!) ivi sott'altri molti
illustri nomi, il mio v'aggiunsi io primo;
e, strascinato dal mio esempio poscia,
firmò il fratello. Ei non è reo: la pena,
sia qual si vuol, soltanto a me si debbe.
Mi sconsigliava ei sempre...

TIBERIO -Eppur, non seppi
io mai proporti altro consiglio: e d'uopo
salvar pur n'era il giá tradito padre,
ad ogni costo. Al falso il ver commisto
avea sí ben Mamilio, che noi presi
dall'arti sue, da tutti abbandonato
credendo il padre, a lui tradir noi stessi
sforzati, noi, dal troppo amarlo fummo.
Ah! se delitto è il nostro, al par siam degni
noi d'ogni grave pena: ma la sola
che noi temiamo, e che insoffribil fora,
(l'odio paterno) il ciel ne attesto, e giuro,
che niun di noi la merta.

BRUTO -Oh rabbia! e in seggio
riporre il re, voi, con quest'altri infami,
pur prometteste?

TITO -Io, col firmar, sperava
render Tarquinjo a te piú mite...

BRUTO -A Bruto?
Mite a Bruto Tarquinjo? - E s'anco il fosse;
perfido tu, tradir la patria mai
dovevi tu per me? Voi forse, or dianzi,
voi non giuraste morir meco entrambi,
pria ch'a niun re mai piú sopporci noi?

TITO -Nol niego io, no...

BRUTO -Spergiuri sete or dunque,
e traditori... In questo foglio a un tempo
firmato avete il morir vostro;... e il mio!...

TIBERIO -Tu piangi, o padre?... Ah! se del padre il pianto,
sovra il ciglio del giudice severo,
attesta almen, che noi del tutto indegni
di tua pietá non siam, per Roma lieti
morremo noi.

TITO -Ma, benché reo, non era
né vil, né iniquo Tito...

BRUTO -Oh figli! oh figli!...
- Che dico io figli? il disonor mio primo
voi siete, e il solo. Una sprezzabil vita,
voi, voi serbarla al padre vostro, a costo
della sua gloria e libertá? ridurmi
a doppiamente viver con voi servo,
allor che stava in vostra man di andarne
liberi meco a generosa morte?
E, a trarre a fin sí sozza impresa, farvi
della patria nascente traditori?
Sordi all'onor, spergiuri ai Numi? - E s'anco
foss'io pur stato oggi da Roma intera
tradito; e s'anco, a esempio vostro, io sceso
fossi a implorar clemenza dal tiranno;
ahi stolti voi! piú ancor che iniqui, stolti!
creder poteste mai, che in cor d'espulso
vile tiranno, altro allignar potesse,
che fera sete di vendetta e sangue?
A morte certa, e lunga, e obbrobríosa,
voi, per salvarlo, or serbavate il padre.

TITO -Timor, nol niego, in legger tanti e tanti
possenti nomi entro quel foglio, il petto
invaso mi ebbe, ed impossibil femmi
l'alta impresa parere. Io giá, non lieve,
e per sé dubbia, e perigliosa (il sai)
la credea; benché in cor brama ne avessi.
Quindi, in veder cangiarsi affatto poscia
in sí brev'ora il tutto, e al re tornarne
cittadini, ed i piú illustri, in folla;
tremai per Roma, ove gran sangue, e invano,
scorrer dovrebbe, e il tuo primiero. Aggiunti
nomi nostri a quei tanti altri, in cuore
nasceami speme, che per noi sottratto
dalla regia vendetta cosí fora
il padre almeno: e in larghi detti, astuto
Mamilio a noi ciò promettea.

BRUTO -Che festi?
Che festi? oh cielo! - Ah! cittadin di Roma
non eri tu in quel punto; poiché Roma
per me tradivi... Né figliuol di Bruto
eri tu allor poiché il suo onor vendevi
al prezzo infame dei comuni ceppi.

TIBERIO -Il tuo giusto furor, deh! padre, in lui
non volger solo; al par lo merto anch'io.
Per te, il confesso, anch'io tremai; piú amato
da noi fu il padre, che la patria nostra:
sí, padre, il nostro unico error fu questo.

COLLATINO -Ahi giovinetti miseri!... Oh infelice
padre!...

BRUTO -Ah! pur troppo voi di Bruto foste,
piú che di Roma, figli! In rio servaggio
voi nati, ad ingannarvi io pur costretto
dai duri nostri tempi, a forti ed alti
liberi sensi io non potea nudrirvi,
qual debbe un padre cittadino... O figli,
del vostro errar cagion non altra io cerco.
Me, me ne incolpo, ed il servir mio prisco,
e il mio tacere; e, ancorché finto, il mio
stesso tremar, che a tremare insegnovvi.
Ah! non è muta entro al mio cor pietade;...
ma, in suon piú fero, mi grida tremenda
giustizia; e a dritto or la pretende Roma. -
Figli miei, figli amati, io son piú assai
infelice di voi... Deh! poiché a vostra
scelta era pure o il tradir Roma, o a morte
sottrarre il padre; oh ciel! perché scordarvi,
che a sottrar Bruto dall'infamia (sola,
vera sua morte) a lui bastava un ferro?
Ed ei lo aveva; ed il sapean suoi figli:
tremar potean mai quindi essi pel padre?

COLLATINO -Deh! per ora il dolore e l'ira alquanto
acqueta, o Bruto: ancor, chi sa?... salvarli
forse....

TITO -Ah! salvarmi or si vorrebbe indarno:
non io piú omai viver potrei; perduta
ho dell'amato genitor la stima,
e l'amor, forse... Ah! non fia mai, ch'io viva.
Ma il tristo esemplo mio bensí discolpi
l'innocente minor fratello; ei salvo...

TIBERIO -Orrido è molto il nostro fallo, o padre;
ma pari egli è; giusto non sei, se pari
non ne dai pena. Il tutelar celeste
Genio di Roma espressamente or forse
volea, che base a libertá perenne
fosse il severo esempio nostro.

BRUTO -Oh figli!...
Deh! per or basti... Il vostro egregio e vero
pentimento sublime, a brani a brani
lo cuor mi squarcia.. Ancor, pur troppo! io sono,
piú che console, padre... Entro ogni vena
scorrer mi sento orrido un gelo... Ah! tutto,
tutto il mio sangue per la patria sparso
sará fra poco... A far rinascer Roma,
l'ultimo sangue or necessario, è il mio:
pur ch'io liberi Roma, a voi, né un solo
giorno, o miei figli, io sopravviver giuro. -
Ch'io per l'ultima volta al sen vi stringa,
amati figli;... ancora il posso... Il pianto...
dir piú omai... non mi lascia... Addio,... miei figli. -
Consol di Roma, ecco a te rendo io 'l foglio.
Sacro dovere al dí novel t'impone
di appresentarlo a Roma tutta. I rei
stanno affidati alla tua guardia intanto.
Teco nel foro al sorger dell'aurora
anch'io verronne. - Or, sostener piú a lungo,
no, piú non posso cosí fera vista.


SCENA QUARTA

Collatino, Tito, Tiberio, Littori.


COLLATINO -Necessitá fatal.

TITO -Misero padre!...

TIBERIO -Purché salva sia Roma!

COLLATINO -Ognun me segua.


ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

Popolo, Valerio, Senatori, Patrizj, tutti collocati,
Collatino e Bruto in ringhiera.


COLLATINO - Romani, a voi lieto e raggiante il sole
jer sorgea; quando appunto in simil ora
di libertá le prime voci all'aura
echeggiavan per voi: nel dolor mio
sepolto intanto, io muto stava. In questo
orribil dí, parte tutt'altra (ahi lasso!)
toccami in sorte, poiché a voi pur piacque
consol gridarmi, col gran Bruto, ad una. -
Giurava ognun, (ben vel rimembra, io spero)
giurava ognun, ieri, nel foro, ai Numi
di pria morir che mai tornarne al vile
giogo del re. Né soli i rei Tarquinj,
ma ogni uom, che farsi delle leggi osasse
maggior, da voi, dal giuramento vostro
venía proscritto. - Il credereste or voi?
Alla presenza vostra, io debbo, io primo,
molti accusar tra i piú possenti e chiari
cittadini; che infami, empj, spergiuri,
han contra Roma, e contro a sé (pur troppo!)
congiurato pel re.

POPOLO -Pel re? Quai sono?
Quai son gl'iniqui traditori, indegni
d'esser Romani? Or via; nomali; spenti
li vogliam tutti...

COLLATINO -Ah!... nell'udirne i nomi,
forse,... chi sa?... Nel pronunziargli, io fremo...
Piú la clemenza assai, che la severa
giustizia vostra, implorerò. Son questi
pressoché tutti giovanetti: i mali
tanti, e sí feri, del civil servaggio
provato ancor, per poca etá, non hanno:
e i piú, cresciuti alla pestifer'ombra
della corrotta corte, in ozio molle,
di tirannia gustato han l'esca dolce,
ignari appien dell'atroce suo fiele.

POPOLO -Quai che pur sien, son traditor, spergiuri;
pietá non mertan; perano: corrotti
putridi membri di cittá novella,
vuol libertá che tronchi sieno i primi.
Nomali. Udiamo...

VALERIO -E noi, benché convinti
pur troppo omai, che alla patrizja gente
questo delitto rio (disnor perenne!)
si aspetta, or pure i loro nomi a prova
noi col popol chiediamo. - Oh nobil plebe
ad alte cose nata! oh te felice!
Tu almen della tirannide portavi
soltanto il peso; ma la infamia e l'onta
n'erano in noi vili patrizj aggiunte
al pondo ambíto dei mertati ferri.
Noi, piú presso al tiranno; assai piú schiavi,
e men dolenti d'esserlo, che voi;
noi quindi al certo di servir piú degni.
Io n'ho il presagio; a spergiurarsi i primi
erano i nostri. - O Collatin, tel chieggo
e del senato, e de' patrizj in nome;
svela i rei, quai ch'ei sieno. Oggi de' Roma
ad alta prova ravvisar, qual fera
brama ardente d'onor noi tutti invada.

POPOLO -Oh degni voi di miglior sorte!... - Ah! voglia
il ciel, che i pochi dal servir sedotti,
né di plebei né di patrizj il nome
abbian da noi! Chi è traditor spergiuro,
cessò d'esser Romano.

COLLATINO -I rei son molti:
ma, nol son tutti a un modo. Havvene, a cui
spiace il servaggio; e han cor gentile ed alto;
ma da Mamilio iniquo in guise mille
raggirati, ingannati...

POPOLO -Ov'è l'infame?
Oh rabbia! ov'è?

COLLATINO -Pria che sorgesser l'ombre,
fuor delle porte io trarre il fea: che salvo
il sacro dritto delle genti il volle,
bench'ei colpevol fosse. Il popol giusto
di Roma, osserva ogni diritto: è base
di nostra sacra libertá, la fede.

POPOLO -Ben festi, in vero, di sottrarre al nostro
primo furor colui: cosí macchiata
non è da noi giustizia. I Numi avremo
con noi schierati, e la virtude: avranno
rei tiranni a lor bandiere intorno
il tradimento, la viltade, e l'ira
giusta del ciel...

VALERIO -Ma i lor tesori infami
darem noi loro, affin che a danno espresso
se ne vaglian di Roma? Assai piú l'oro
fia da temersi or dei tiranni in mano,
che non il ferro.

POPOLO - È ver; prestar non vuolsi
tal arme a lor viltá: ma far vorremmo
nostro perciò l'altrui? che cal dell'oro
a noi, che al fianco brando, e al petto usbergo
di libertade abbiamo?...

VALERIO -Arsi sien, arsi
tutti i tesori dei tiranni; o assorti
sien del Tebro fra l'onde...

POPOLO -E in un perisca
ogni memoria dei tiranni...

VALERIO -E pera
del servir nostro ogni memoria a un tempo.

COLLATINO -- Degno è di voi, magnanimo, il partito;
eseguirassi il voler vostro, in breve.

POPOLO -Sí: ma frattanto, e la congiura, e i nomi
dei congiurati esponi.

COLLATINO -... Oh cielo!... Io tremo
nel dar principio a sí cruda opra...

POPOLO -E Bruto,
tacito, immobil, sta?... Di pianto pregni
par che abbia gli occhi; ancor che asciutto e fero
lo sguardo in terra affisso ei tenga. - Or via,
parla tu dunque, o Collatino.

COLLATINO -... Oh cielo!...

VALERIO -Ma che fia mai? Liberator di Roma,
di Lucrezia marito, e consol nostro
non sei tu, Collatino? Amico forse
dei traditor saresti? in te pietade,
per chi non l'ebbe della patria, senti?

COLLATINO - Quando parlar mi udrete, il dolor stesso
che il cuor mi squarcia e la mia lingua allaccia,
diffuso in voi fia tosto: io giá vi veggio,
d'orror compresi e di pietade, attoniti,
piangenti, muti. - Apportator ne andava
Mamilio al re di questo foglio: a lui,
pria ch'ei di Roma uscisse, io torre il fea:
e confessava il perfido, atterrito,
che avean giurato i cittadin qui inscritti
di aprire al re nella futura notte
della cittá le porte...

POPOLO -Oh tradimento!
Muoiano i rei, muoiano...

VALERIO -Al rio misfatto
lieve pena è la morte.

COLLATINO -Il fatal foglio
da Valerio a voi tutti omai si legga.
Eccolo; il prendi: io profferir non posso
questi nomi.

VALERIO -Che veggio?... Oh fera lista!...
Di propria man scritto ha ciascun suo nome?... -
Romani, udite. - Aquiljo il padre, e i sei
figli suoi, son della congiura i capi:
scritti son primi. Oh cielo!...

COLLATINO -... A ognun di loro
mostrato il foglio, il confessavan tutti:
giá in ceppi stanno; e a voi davanti, or ora,
trar li vedrete...

VALERIO -... Oimè! .. Seguon...

POPOLO -Chi segue?
Favella.

VALERIO -... Oimè!... Creder nol posso... Io leggo...
quattro nomi...

POPOLO -Quai son? su via...

VALERIO -Fratelli
della consorte eran di Bruto...

POPOLO -Oh cielo!
i Vitellj?

COLLATINO -Ah!... ben altri or or ne udrete.
Ad uno ad uno, a voi davante, or ora...

VALERIO -Che val, ch'io dunque ad uno ad un li nomi?
E Marzj, e Ottavj, e Fabj, e tanti e tanti
ne leggo; oimè!... Ma gli ultimi mi fanno
raccapricciar d'orror... Di mano... il foglio...
a tal vista... mi cade...

POPOLO -Oh! Chi mai fieno?

VALERIO -Oh ciel!... No... mai, nol credereste...


Silenzio universale.


BRUTO - I nomi
ultimi inscritti, eran Tiberio e Tito.

POPOLO -I figli tuoi?... Misero padre! Oh giorno
infausto!...

BRUTO -Oh giorno avventurato, a voi!
Bruto altri figli or non conosce in Roma,
che i cittadini; e piú nol son costoro.
Di versar tutto il sangue mio per Roma
ieri giurai; presto a ciò far son oggi:
e ad ogni costo...

POPOLO -Ahi sventurato padre!...


Silenzio universale.


BRUTO - Ma che? d'orror veggio agghiacciata, e muta
Roma intera? - per Bruto ognun tremante
si sta? - Ma a chi piú fero oggi il periglio
sovrasta? il dite: a Bruto, o a Roma? Ognuno
qui vuol pria d'ogni cosa, o voler debbe,
secura far, libera, e grande Roma;
e ad ogni patto il de'. Sovrastan ceppi,
e stragi rie; per Roma il consol trema;
quindi or tremar suoi cittadin non ponno
per un privato padre. I molli affetti,
ed il pianto, (che uscir da roman ciglio
mai nel foro non puote, ove per Roma
non si versi) racchiusi or nel profondo
del cor si stieno i molli affetti, e il pianto. -
Io primo a voi (cosí il destino impera)
dovrò mostrar, qual salda base ed alta
a perpetua cittá dar si convenga. -
Littori, olá; traggansi tosto avvinti
i rei nel foro. - Omai tu il sol, tu il vero
di Roma re, popol di Marte, sei.
Fu da costor la maestá tua lesa;
severa pena a lor si debbe; e spetta
il vendicarti, ai consoli... Bruto ammutolisce nel vedere ritornare i littori coi congiurati.


SCENA SECONDA

Bruto e Collatino in ringhiera.
Valerio, Popolo, Senatori, Patrizj. I Congiurati tutti in catene fra Littori; ultimi d'essi Tito e Tiberio.


POPOLO -Deh! quanti,
quanti mai fieno i traditori?... Oh cielo!
Ecco i figli di Bruto.

COLLATINO -Oimè!... non posso
rattener piú mie lagrime...

BRUTO -- Gran giorno,
gran giorno è questo: e memorando sempre
sará per Roma. - O voi, che, nata appena
la patria vera, iniquamente vili,
tradirla osaste; a Roma tutta innanzi
eccovi or tutti. Ognun di voi, se il puote,
si scolpi al suo cospetto. - Ognun si tace? -
Roma, e i consoli chieggono a voi stessi,
se a voi, convinti traditor, dovuta
sia la pena di morte?


Silenzio universale.


BRUTO -- Or dunque, a dritto,
a tutti voi morte si dá. Sentenza
irrevocabil pronunzionne, a un grido,
il popol re. Che piú s'indugia?


Silenzio universale.


BRUTO -Oh! muto
piange il collega mio?... tace il senato?...
Il popol tace?

POPOLO -Oh fatal punto!... Eppure,
e necessaria è la lor morte, e giusta.

TITO -Sol, fra noi tutti, uno innocente or muore:
ed è questi.

POPOLO -Oh pietá! Del fratel suo,
mirate, ei parla.

TIBERIO -Ah! nol crediate: o entrambi
siam del pari innocenti, o rei del pari:
scritto è nel foglio, appo il suo nome, il mio.

BRUTO -Niun degli inscritti in quel funesto foglio,
innocente può dirsi. Alcun può, forse,
in suo pensiero esser men reo; ma è noto
soltanto ai Numi il pensier nostro; e fora
arbitrario giudizio, e ingiusto quindi,
lo assolver rei, come il saria il dannarli,
su l'intenzion dell'opre. Iniquo e falso
giudizio fora; e quale a re si aspetta:
non qual da un giusto popolo si vuole.
Popol che solo alle tremende e sante
leggi soggiace, al giudicar, non d'altro
mai si preval, che della ignuda legge.

COLLATINO -... Romani, è ver, fra i congiurati stanno
questi infelici giovani; ma furo
dal traditor Mamilio raggirati,
delusi, avviluppati, e in error grave
indotti. Ei lor fea credere, che il tutto
dei Tarquinj era in preda: i loro nomi
quindi aggiunsero anch'essi, (il credereste?)
sol per sottrar da morte il padre...

POPOLO -Oh cielo!...
E fia vero? Salvar dobbiam noi dunque
questi duo soli...

BRUTO -Oimè! che ascolto?... ah! voce
di cittadin fia questa? Al farvi or voi
giusti, liberi, forti, e che? per base
una ingiustizia orribile di sangue
porreste voi? perché non pianga io padre,
pianger tanti altri cittadini padri,
figli, e fratei, fareste? alla mannaja
da lor mertata or porgeriano il collo
tanti e tanti altri; e n'anderiano esenti
duo soli rei, perché nol pajon tanto?
S'anco in fatti nol fossero, eran figli
del consol: scritti eran di proprio pugno
fra i congiurati: o morir tutti ei denno,
o niuno. Assolver tutti, è un perder Roma;
salvar due soli, iniquo fia, se il pare.
Piú assai che giusto, or Collatin pietoso,
questi due discolpò, col dir che il padre
volean salvar: forse era ver; ma gli altri
salvar, chi il padre, chi 'l fratel, chi i figli,
volean pur forse; e non perciò men rei
sono, poiché perder la patria, innanzi
che i lor congiunti, vollero. - Può il padre
piangerne in core; ma secura debbe
far la cittade il vero consol pria:...
ei poscia può, dal suo immenso dolore
vinto, cader sovra i suoi figli esangue. -
Fra poche ore il vedrete, a qual periglio
tratti v'abbian costoro: a farci appieno
l'un l'altro forti, e in libertade immoti,
è necessario un memorando esemplo;
crudel, ma giusto. - Ite, o littori; e avvinti
sieno i rei tutti alle colonne; e cada
la mannaja sovr'essi. - Alma di ferro
non ho...

Bruto cade seduto, e rivolge gli occhi dallo spettacolo.
Deh! Collatino, è questo il tempo

di tua pietá: per me tu il resto adempi.

Collatino fa disporre in ordine e legare i congiurati ai pali.

POPOLO -Oh fera vista!... Rimirar non gli osa,
misero! il padre... Eppur, lor morte è giusta.

BRUTO -- Giá il supplizio si appresta. - Udito i sensi
han del console i rei... L'orrido stato
mirate or voi, del padre... Ma, giá in alto
stan le taglienti scuri... Oh ciel! partirmi
giá sento il cor... Farmi del manto è forza
agli occhi un velo... Ah! ciò si doni al padre...
Ma voi, fissate in lor lo sguardo: eterna,
libera sorge or da quel sangue Roma.

COLLATINO -Oh sovrumana forza!...

VALERIO -Il padre, il Dio
di Roma, è Bruto...

POPOLO - È il Dio di Roma...

BRUTO -Io sono
l'uom piú infelice, che sia nato mai.

Cade il spiario, standfo i littori in procinto di ferire i congiurati.








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