Vittorio Alfieri - Opera Omnia >>  Filippo




 

lalfieri testo integrale, brano completo, citazione delle fonti, commedie opere storiche opere teatrali, in prosa e in versi, operaomnia #



Filippo


Personaggi

Filippo;
Isabella;
Carlo;
Gomez;
Perez;
Leonardo;
Consiglieri;
Guardie.


Scena, La Reggia in Madrid
ATTO PRIMO


SCENA PRIMA

Isabella.


- Desio, timor, dubbia ed iniqua speme,
fuor del mio petto omai. ? Consorte infida
io di Filippo, di Filippo il figlio
oso amar, io?... Ma chi 'l vede, e non l'ama?
Ardito umano cor, nobil fierezza,
sublime ingegno, e in avvenenti spoglie
bellissim'alma; ah! perché tal ti fero
natura e il cielo?... Oimè! che dico? imprendo
cosí a strapparmi la sua dolce immago
dal cor profondo? Oh! se palese mai
fosse tal fiamma ad uom vivente! Oh! s'egli
ne sospettasse! Mesta ognor mi vede...
Mesta, è vero, ma in un dal suo cospetto
fuggir mi vede; e sa che in bando è posta
da ispana reggia ogni letizia. In core
chi legger puommi? Ah! nol sapess'io, come
altri nol sa! Cosí ingannar potessi,
sfuggir cosí me stessa, come altrui!...
Misera me! sollievo a me non resta
altro che il pianto; ed il pianto è delitto. ?
Ma, riportare alle piú interne stanze
vo' il dolor mio; piú libera... Che veggio?
Carlo? Ah! si sfugga: ogni mio detto o sguardo
tradir potriami: oh ciel! sfuggasi.


SCENA SECONDA

Carlo, Isabella.


CARLO - Oh vista! ?
Regina, e che? tu pure a me t'involi?
Sfuggi tu pure uno infelice oppresso?

ISABELLA - Prence...

CARLO - Nemica la paterna corte
mi è tutta, il so; l'odio, il livor, la vile
e mal celata invidia, entro ogni volto
qual maraviglia fia se impressa io leggo,
io, mal gradito al mio padre e signore?
Ma tu, non usa a incrudelir; tu nata
sotto men duro cielo, e non per anche
corrotta il core infra quest'aure inique;
sotto sí dolce maestoso aspetto
crederò che nemica anima alberghi
tu di pietade?

ISABELLA - Il sai, qual vita io tragga,
in queste soglie: di una corte austera
gli usi, per me novelli, ancor di mente
tratto non mi hanno appien quel dolce primo
amor del suol natio, che in noi può tanto.
So le tue pene, e i non mertati oltraggi
che tu sopporti; e duolmene...

CARLO - Ten duole?
Oh gioja! Or ecco, ogni mia cura asperge
di dolce oblio tal detto. E il dolor tuo
divido io pure; e i miei tormenti io spesso
lascio in disparte; e di tua dura sorte
piango; e vorrei...

ISABELLA - Men dura sorte avrommi,
spero, dal tempo: i mali miei non sono
da pareggiarsi a' tuoi; dolor sí caldo
dunque non n'abbi.

CARLO - In me pietá ti offende,
quando la tua mi è vita?

ISABELLA - In pregio hai troppo
la mia pietá.

CARLO - Troppo? ah! che dici? E quale,
qual havvi affetto, che pareggi, o vinca
quel dolce fremer di pietá, che ogni alto
cor prova in se? che a vendicar gli oltraggi
val di fortuna; e piú nomar non lascia
infelici color, che al comun duolo
porgon sollievo di comune pianto?

ISABELLA - Che parli?... Io, sí, pietá di te... Ma... oh cielo!...
Certo, madrigna io non ti son: se osassi
per l'innocente figlio al padre irato
parlar, vedresti...

CARLO - E chi tant'osa? E s'anco
pur tu l'osassi, a te sconviensi. Oh dura
necessità!... d'ogni sventura mia
cagion sei tu, benché innocente, sola:
eppur, tu nulla a favor mio...

ISABELLA - Cagione
io delle angosce tue?

CARLO - Sí: le mie angosce
principio han tutte dal funesto giorno,
che sposa in un data mi fosti, e tolta.

ISABELLA - De! che rimembri?... Passeggera troppo
fu quella speme.

CARLO - In me cogli anni crebbe
parte miglior di me: nudriala il padre;
quel padre sí, cui piacque romper poscia
nodi solenni...

ISABELLA - E che?...

CARLO - Suddito, e figlio
di assoluto signor, soffersi, tacqui,
piansi, ma in core; al mio voler fu legge
il suo volere: ei ti fu sposo: e quanto
io del tacer, dell'obbedir, fremessi,
chi 'l può saper, com'io? Di tal virtude
(e virtude era, e piú che umano sforzo)
altero in cor men giva, e tristo a un tempo.
Innanzi agli occhi ogni dover mio grave
stavami sempre; e s'io, pur del pensiero,
fossi reo, sallo il ciel, che tutti vede
i piú interni pensieri. In pianto i giorni,
le lunghe notti in pianto io trapassava:
che pro? l'odio di me nel cor del padre,
quanto il dolore entro al mio cor, crescea.

ISABELLA - L'odio non cape in cor di padre, il credi;
ma il sospetto bensí. L'aulica turba,
che t'odia, e del tuo spregio piú si adira
quanto piú il merta, entro al paterno seno
forse versò il sospetto...

CARLO - Ah! tu non sai,
qual padre io m'abbia: e voglia il ciel, che sempre
lo ignori tu! gli avvolgimenti infami
d'empia corte non sai: né dritto cuore
creder li può, non che pensarli. Crudo,
piú d'ogni crudo che dintorno egli abbia,
Filippo è quei che m'odia; egli dà norma
alla servil sua turba; ei d'esser padre,
se pure il sa, si adira. Io d'esser figlio
giá non oblio perciò; ma, se obliarlo
un dí potessi, ed allentare il freno
ai repressi lamenti; ei non mi udrebbe
doler, no mai, né dei rapiti onori,
né della offesa fama, e non del suo
snaturato inaudito odio paterno;
d'altro maggior mio danno io mi dorrei...
Tutto ei mi ha tolto il dí, che te mi tolse.

ISABELLA - Prence, ch'ei t'è padre e signor rammenti
sí poco?...

CARLO - Ah! scusa involontario sfogo
di un cor ripieno troppo: intera aprirti
l'alma pria d'or, mai nol potea..

ISABELLA - Né aprirla
tu mai dovevi a me; né udir...

CARLO - T'arresta;
deh! se del mio dolore udito hai parte,
odilo tutto. A dir mi sforza...

ISABELLA - Ah! taci;
lasciami.

CARLO - Ahi lasso! Io tacerò; ma, ho quanto
a dir mi resta! Ultima speme...

ISABELLA - E quale
speme ha, che in te non sia delitto?

CARLO - ... Speme,...
che tu non m'odj.

ISABELLA - Odiarti deggio, e il sai,...
se amarmi ardisci.

CARLO - Odiami dunque; innanzi
al tuo consorte accusami tu stessa...

ISABELLA - Io profferire innanzi al re il tuo nome?

CARLO - Sí reo m'hai tu?

ISABELLA - Sei reo tu solo?

CARLO - In core
dunque tu pure?...

ISABELLA - Ahi! che diss'io?... Me lassa!...
O troppo io dissi, o tu intendesti troppo.
Pensa, deh! chi son io; pensa, chi sei.
L'ira del re mertiamo; io, se ti ascolto;
tu, se prosiegui.

CARLO - Ah! se in tuo cor tu ardessi,
com'ardo e mi struggo io; se ad altri in braccio
ben mille volte il dí l'amato oggetto
tu rimirassi: ah! lieve error diresti
lo andar seguendo il suo perduto bene;
e sbramar gli occhi; e desiar talvolta,
qual io mi fo, di pochi accenti un breve
sfogo innocente all'affannato core.

ISABELLA - Sfuggimi, deh!... Queste fatali soglie,
fin ch'io respiro, anco abbandona; e fia
per poco...

CARLO - Oh cielo! E al genitor sottrarmi
potrei cosí? Fallo novel mi fora
la mal tentata fuga: e assai giá falli
mi appone il padre. Il solo, ond'io son reo,
nol sa.

ISABELLA - Nol sapess'io!

CARLO - Se in ciò ti offesi,
ne avrai vendetta, e tosto. In queste soglie
lasciami: a morte se il duol non mi tragge,
l'odio, il rancor mi vi trarrá del padre,
che ha in se giurato, entro al suo cor di sangue,
il mio morire. In questa orribil reggia,
pur cara a me poiché ti alberga, ah! soffri,
che l'alma io spiri a te dappresso...

ISABELLA - Ahi vista!...
Finché qui stai, per te pur troppo io tremo.
Presaga in cor del tristo tuo destino
una voce mi suona... ? Odi; la prima,
e in un di amor l'ultima prova è questa,
ch'io ti chieggio, se m'ami; al crudo padre
sottratti.

CARLO - Oh donna!... ell'è impossibil cosa.

ISABELLA - Sfuggi me dunque, or piú di pria. Deh! serba
mia fama intatta, e serba in un la tua.
Scolpati, sí, delle mentite colpe,
onde ti accusa invida rabbia: vivi,
io tel comando, vivi. Illesa resti
la mia virtú con me: teco i pensieri,
teco il mio core, e l'alma mia, mal grado
di me, sian teco: ma de' passi miei
perdi la traccia; e fa', ch'io piú non t'oda,
mai piú. Del fallo è testimon finora
soltanto il ciel; si asconda al mondo intero;
a noi si asconda: e dal tuo cor ne svelli
fin da radice il sovvenir,... se il puoi.

CARLO - Piú non mi udrai? mai piú?...
(() Volendola seguire; ella assolutamente glie lo vieta.)


SCENA TERZA

Carlo.


CARLO - Me lasso!... Oh giorno!...
Cosí mi lascia?... Oh barbara mia sorte!
Felice io sono, e misero, in un punto...


SCENA QUARTA

Carlo, Perez.


PEREZ - Su l'orme tue, signor... Ma, oh ciel! turbato
donde sei tanto? oh! che mai fia? sei quasi
fuor di te stesso... Ah! parla; al dolor tuo
mi avrai compagno. ? Ma, tu taci? Al fianco
non ti crebb'io da' tuoi piú teneri anni?
Amico ognor non mi nomasti?...

CARLO - Ed osi
in questa reggia profferir tal nome?
Nome ognor dalle corti empie proscritto,
bench'ei spesso vi s'oda. A te funesta,
a me non util, fora omai tua fede.
Cedi, cedi al torrente; e tu pur segui
la mobil turba; e all'idolo sovrano
porgi con essa utili incensi e voti.

PEREZ - Deh! no, cosí non mi avvilir: me scevra
dalla fallace turba: io... Ma che vale
giurar qui fe? qui, dove ogni uom la giura,
e la tradisce ogni uomo. Il cor, la mano
poni a piú certa prova. Or di'; qual debbo
per te affrontar periglio? ov'è il nemico
che piú ti offende? parla.

CARLO - Altro nemico
non ho, che il padre; che onorar di un tanto
nome i suoi vili or non vogl'io, né il deggio.
Silenzio al padre, agli altri sprezzo oppongo.

PEREZ - Ma, non sa il vero il re: non giusto sdegno
contro a te quindi in lui si accende; e ad arte
altri vel desta. In alto suono, io primo,
io gliel dirò per te...

CARLO - Perez, che parli?
Piú che non credi, il re sa il ver; lo abborre
piú ch'ei nol sa: né in mio favore egli ode
voce nessuna...

PEREZ - Ah! di natura è forza,
ch'ei l'oda.

CARLO - Chiuso inaccessibil core
di ferro egli ha. Le mie difese lascia
alla innocenza; al ciel, che pur talvolta
degnarla suol di alcun benigno sguardo.
Intercessor, s'io fossi reo, te solo
non sdegnerei: qual di amistade prova
darti maggior poss'io?

PEREZ - Del tuo destino
(e sia qual vuolsi) entrar deh! fammi a parte;
tant'io chieggo, e non piú: qual altro resta
illustre incarco in cosí orribil reggia?

CARLO - Ma il mio destin, (qual ch'egli sia) nol sai,
ch'esser non può mai lieto?

PEREZ - Amico tuo,
non di ventura, io sono. Ah! s'è pur vero,
che il duol diviso scemi, avrai compagno
inseparabil me d'ogni tuo pianto.

CARLO - Duol, che a morir mi mena, in cor rinserro;
alto dolor, che pur mi è caro. Ahi lasso!...
Che non tel posso io dire?... Ah! no, non cerco,
né v'ha di te piú generoso amico:
e darti pur di amistá vera un pegno,
coll'aprirti il mio core, oh ciel! nol posso.
Or va; di tanta, e sí mal posta fede,
che ne trarresti? Io non la merto: ancora
tel ridico, mi lascia. Atroce fallo
non sai, ch'è il serbar fede ad uom, cui serba
odio il suo re?

PEREZ - Ma, tu non sai, qual sia
gloria, a dispetto d'ogni re, il serbarla.
Ben mi trafiggi, ma non cangi il core,
col dubitar di me. Tu dentro al petto
mortal dolor, che non puoi dirmi, ascondi?
Saper nol vo'. Ma s'io ti chieggio, e bramo,
che a morir teco il tuo dolor mi tragga,
duramente negarmelo potresti?

CARLO - Tu il vuoi, tu dunque? ecco mia destra; infausto
pegno a te dono di amistade infausta.
Te compiango; ma omai del mio destino
piú non mi dolgo; e non del ciel, che largo
m'è di sí raro amico. Oh quanto io sono,
quanto infelice io men di te, Filippo!
Tu, di pietá piú che d'invidia degno,
tra pompe vane e adulazion mendace,
santa amistá non conoscesti mai.



ATTO SECONDO


SCENA PRIMA

Filippo, Gomez.


FILIPPO - Gomez, qual cosa sovra ogni altra al mondo
in pregio hai tu?

GOMEZ - La grazia tua.

FILIPPO - Qual mezzo
stimi a serbarla?...

GOMEZ - Il mezzo, ond'io la ottenni;
obbedirti, e tacermi.

FILIPPO - Oggi tu dunque
far l'uno e l'altro dei.

GOMEZ - Novello incarco
non m'è: sai, ch'io...

FILIPPO - Tu fosti, il so, finora
il piú fedel tra i fidi miei: ma in questo
giorno, in cui volgo un gran pensiero in mente,
forse affidarti sí importante e nuova
cura dovrò, che il tuo dover mi piacque
in brevi detti or rammentarti pria.

GOMEZ - Meglio dunque potrammi il gran Filippo
conoscer oggi.

FILIPPO - A te per or fia lieve
ciò ch'io t'impongo; ed a te sol fia lieve,
non ad altr'uom giammai. ? Vien la regina
qui fra momenti; e favellare a lungo
mi udrai con essa: ogni piú picciol moto
nel di lei volto osserva intanto, e nota:
affiggi in lei l'indagator tuo sguardo;
quello, per cui nel piú segreto petto
del tuo re spesso anco i voler piú ascosi
legger sapesti, e tacendo eseguirli.


SCENA SECONDA

Filippo, Isabella, Gomez.


ISABELLA - Signor, io vengo ai cenni tuoi.

FILIPPO - Regina,
alta cagion vuol ch'io ti appelli.

ISABELLA - Oh! quale?...

FILIPPO - Tosto la udrai. ? Da te sperar poss'io?...
Ma, qual v'ha dubbio? imparzial consiglio
chi piú di te potria sincero darmi?

ISABELLA - Io, consigliarti?...

FILIPPO - Sí: piú il parer tuo
pregio che ogni altro: e se finor le cure
non dividevi del mio imperio meco,
né al poco amor del tuo consorte il dei
ascriver tu; né al diffidar tampoco
del re tu il dei: solo ai pensier di stato,
gravi al tuo sesso troppo, ognor sottrarti
io volli appieno. Ma, per mia sventura,
giunto è il giorno, in cui veggo insorger caso
ove frammista alla ragion di stato
la ragion del mio sangue anco è pur tanto,
che tu il mio primo consiglier sei fatta. ?
Ma udir da te, pria di parlar, mi giova,
se piú tremendo, venerabil, sacro
di padre il nome, o quel di re, tu stimi.

ISABELLA - Del par son sacri; e chi nol sa?...

FILIPPO - Tal, forse,
tal, che saper piú ch'altri sel dovrebbe. ?
Ma, dimmi inoltre, anzi che il fatto io narri,
e dimmi il ver: Carlo, il mio figlio,... l'ami?...
o l'odj tu?...

ISABELLA - ... Signor...

FILIPPO - Ben giá t'intendo.
Se del tuo cor gli affetti, e non le voci
di tua virtude ascolti, a lui tu senti
d'esser... madrigna.

ISABELLA - Ah! no; t'inganni: il prence...

FILIPPO - Ti è caro dunque: in te virtude adunque
cotanta hai tu, che di Filippo sposa,
pur di Filippo il figlio ami d'amore...
materno.

ISABELLA - ... A' miei pensier tu sol sei norma.
Tu l'ami,... o il credo almeno; ... e in simil guisa
anch'io... l'amo.

FILIPPO - Poi ch'entro il tuo ben nato
gran cor non cape il madrignal talento,
né il cieco amor senti di madre, io voglio
giudice te del mio figliuol...

ISABELLA - Ch'io?...

FILIPPO - M'odi. ?
Carlo d'ogni mia speme unico oggetto
molti anni fu; pria che, ritorto il piede
dal sentier di virtude, ogni alta mia
speme ei tradisse. Oh! quante volte io poscia
paterne scuse ai replicati falli
del mal docile figlio in me cercava!
Ma giá il suo ardire temerario insano
giunge oggi al sommo; e violenti mezzi
usar pur troppo ora degg'io. Delitto
cotal si aggiunge ai suoi delitti tanti;
tale, appo cui tutt'altro è nulla; tale,
ch'ogni mio dir vien manco. Oltraggio ei fammi,
che par non ha; tal, che da un figlio il padre
mai non l'attende; tal, che agli occhi miei
giá non piú figlio il fa... Ma che? tu stessa
pria di saperlo fremi?... Odilo, e fremi
ben altramente poi. ? Giá piú d'un lustro,
dell'oceán lá sul sepolto lido,
povero stuolo, in paludosa terra,
sai che far fronte al mio poter si attenta.
A Dio non men, che al proprio re, rubelli,
fan dell'una perfidia all'altra schermo.
Sai quant'oro e sudore e sangue indarno
a questo impero omai tal guerra costi;
quindi, perder dovessi e trono e vita,
non baldanzosa, né impunita ir mai
io lascierò del suo delitto atroce
quella vil gente. Al ciel vittima giuro
immolar l'empia schiatta: e a lor ben forza
sarà il morir, poiché obbedir non sanno. ?
Or, chi a me il crederia? che a sí feroci
nemici felli, il proprio figlio, il solo
mio figlio, ahi lasso! aggiunger deggia...

ISABELLA - Il prence?...

FILIPPO - Il prence, sí: molti intercetti fogli,
e segreti messaggi, e aperte altere
sediziose voci sue, pur troppo!
certo men fanno. Ah! per te stessa il pensa;
di re tradito, e d'infelice padre,
qual sia lo stato; e a sí colpevol figlio
qual sorte a giusto dritto omai si aspetti,
per me tu il di'.

ISABELLA - ... Misera me!... Vuoi, ch'io
del tuo figlio il destino?...

FILIPPO - Arbitra omai
tu, sí, ne sei; né il re temer, né il padre
dei lusingar: pronunzia.

ISABELLA - Altro non temo,
che di offendere il giusto. Innanzi al trono
spesso indistinti e l'innocente e il reo...

FILIPPO - Ma, dubitar di quanto il re ti afferma
puoi tu? Chi piú di me non reo lo brama?
Deh, pur mentisser le inaudite accuse!

ISABELLA - Giá convinto l'hai dunque?...

FILIPPO - Ah! chi 'l potrebbe
convincer mai? Fero, superbo, ei sdegna,
non che ragioni, anco pretesti opporre
a chiare prove. A lui parlar non volli
di questo suo novello tradimento,
se pria temprato alquanto in cor lo sdegno
dal bollor primo io non avea: ma fredda
ragion di stato, perché taccia l'ira,
in me non tace... Oh ciel! ma voce anch'odo
di padre in me...

ISABELLA - Deh! tu l'ascolta: è voce,
cui nulla agguaglia. Ei forse è assai men reo;...
anzi impossibil par, che in questo il sia:
ma, qual ch'ei sia, lo ascolta oggi tu stesso:
intercessor farsi pel figlio al padre,
chi piú del figlio il può? Se altero egli era
talor con gente al ver non sempre amica,
teco ei per certo altier non fia: tu schiudi
a lui l'orecchio, e il cor disserra ai dolci
paterni affetti. A te non mai tu il chiami,
e non mai gli favelli. Ei, pieno sempre
di mista tema, a te si appressa; e in duro
fatal silenzio il diffidar si accresce,
e l'amor scema. La virtú sua prima
ridesta in lui, se pure è in lui sopita;
ch'esser non puote, in chi t'è figlio, estinta:
né altrui fidar le paterne tue cure.
Di padre a lui mostra l'aspetto, e agli altri
serba di re la maestà severa.
Che non si ottien con generosi modi
da generoso core? Ei d'alcun fallo
reo ti par? (chi non erra?) allor tu solo
l'ira tua giusta a lui solo dimostra.
Dolce è l'ira di un padre; eppur, qual figlio
può non tremarne? Un sol tuo detto, un detto
di vero padre, in suo gran cor piú debbe
destar rimorsi, e men rancor lasciarvi,
che cento altrui, malignamente ad arte
aspri, oltraggiosi. Oda tua reggia intera,
ch'ami ed apprezzi il figlio tuo; che degno
di biasmo, e in un di scusa, il giovanile
suo ardir tu stimi; e udrai repente allora
la reggia intorno risuonar sue laudi.
Dal cor ti svelli il sospettar non tuo:
basso terror di tradimento infame,
a re, che merti esser tradito, il lascia.

FILIPPO - ... Opra tua degna, e di te sola, è questa;
il far che ascolti di natura il grido
un cor paterno: ah! nol fan gli altri. Oh trista
sorte dei re! del proprio cor gli affetti,
non che seguir, né pur spiegar, ne lice.
Spiegar? che dico? né accennar: tacerli,
dissimularli, le piú volte è forza. ?
Ma, vien poi tempo, che diam loro il varco
libero, intero. ? Assai, piú che nol pensi,
chiara ogni cosa il tuo dir fammi... Ah! quasi
innocente ei mi par, poiché innocente
credi tu il prence. ? Ei tosto, o Gomez, venga.


SCENA TERZA

Filippo, Isabella.


FILIPPO - Or vedrai, ch'io so padre anco mostrarmi;
piú che a lui mi dorria, se un dí dovessi
in maestà di offeso re mostrarmi.

ISABELLA - Ben tel credo. Ma ei vien: soffri, che il piede
altrove io porti.

FILIPPO - Anzi, rimani.

ISABELLA - Esporti
osava il pensier mio, perché il volevi:
a che rimango omai? testimon vano
tra il figlio e il padre una madrigna fora...

FILIPPO - Vano? ah! t'inganni: testimon mi sei
qui necessario. Hai di madrigna il nome
soltanto; e il nome, anche obbliare il puoi. ?
Gli fia grato il tuo aspetto. Eccolo: ei sappia,
che ti fai tu mallevador dell'alta
sua virtú, della fe, dell'amor suo.


SCENA QUARTA

Filippo, Isabella, Carlo, Gomez.


FILIPPO - Prence, ti appressa. ? Or, di'; quando fia il giorno,
in cui del dolce nome di figliuolo
io ti possa appellare? In me vedresti
(deh tu il volessi!) ognor confusi i nomi
e di padre e di re: ma, perché almeno,
da che il padre non ami, il re non temi?

CARLO - Signor; nuova m'è sempre, ancor ch'io l'abbia
udita spesso, la mortal rampogna.
Nuovo cosí non m'è il tacer; che s'io
reo pur ti appajo, al certo io reo mi sono.
Vero è, che in cor non giá rimorso io sento,
ma duol profondo, che tu reo mi estimi.
Deh! potess'io cosí di mie sventure,
o, se a te piace piú, de' falli miei,
saper la cagion vera!

FILIPPO - Amor,... che poco
hai per la patria tua, nulla pel padre;
e il troppo udir lusingatori astuti;...
non cercar de' tuoi falli altra cagione.

CARLO - Piacemi almen, che a natural perversa
indole ascritto in me non l'abbi. Io dunque
far posso ancora del passato ammenda;
patria apprender cos'è; come ella s'ami;
e quanto amare io deggia un padre; e il mezzo
con cui sbandir gli adulator, che tanti
te insidian piú, quanto hai di me piú possa.

FILIPPO - Giovin tu sei: nel cor, negli atti, in volto,
ben ti si legge, che di te presumi
oltre al dover non poco. In te degli anni
colpa il terrei; ma, col venir degli anni,
scemare io 'l senno, anzi che accrescer, veggio.
L'error tuo d'oggi, un giovanil trascorso
io 'l nomerò, benché attempata mostri
malizia forse...

CARLO - Error!... ma quale?...

FILIPPO - E il chiedi? ?
Or, nol sai tu, che i tuoi pensier pur anco,
non che l'opre tue incaute, i tuoi pensieri,
e i piú nascosi, io so? ? Regina, il vedi;
non l'esser, no, ma il non sentirsi ei reo,
fia il peggio in lui.

CARLO - Padre, ma trammi al fine
di dubbio: or che fec'io?

FILIPPO - Delitti hai tanti,
ch'or tu non sai di quale io parli? ? Ascolta. ?
Lá dove piú sedizíosa bolle
empia d'error fucina, ivi non hai
pratiche tu segrete? Entro mia reggia,...
furtivamente,... anzi che il dí sorgesse,...
all'orator dei Batavi ribelli
lunga udíenza, e rea, non desti forse?
A quel malvagio, che, se ai detti credi,
viene a mercé; ma in cor, perfidia arreca,
e d'impunito tradimento speme.

CARLO - Padre, e fia che a delitto in me si ascriva
ogni mia menom'opra? È ver, che a lungo
all'orator parlai; compiansi, è vero,
seco di que' tuoi sudditi il destino;
e ciò ardirei pur fare a te davanti:
né forse dal compiangerli tu stesso
lunge saresti, ove a te noto appieno
fosse il ferreo regnar, per cui tanti anni
gemono oppressi da ministri crudi,
superbi, avari, timidi, inesperti,
ed impuniti. In cor pietade io sento
de' lor mali; nol niego: e tu, vorresti
ch'io, di Filippo figlio, alma volgare
avessi, o cruda, o vile? In me la speme
di riaprirti alla pietade il core,
col dirti intero il ver, forse oggi troppo
ardita fu: ma come offendo io 'l padre,
nel reputarlo di pietá capace?
Se del rettor del cielo immagin vera
in terra sei, che ti pareggia ad esso,
se non è la pietá? ? Ma pur, s'io reo
in ciò ti appajo, o sono, arbitro sei
del mio gastigo. Altro da te non chieggo,
che di non esser traditor nomato.

FILIPPO - ... Nobil fierezza ogni tuo detto spira...
Ma del tuo re mal penetrar puoi l'alte
ragioni tu, né il dei. Nel giovin petto
quindi frenar quel tuo bollor t'è d'uopo,
e quella audace impazíente brama
di, non richiesto, consigliar; di esporre,
quasi gran senno, il pensier tuo. Se il mondo
veder ti debbe, e venerarti un giorno
sovra il maggior di quanti ha seggi Europa,
ad esser cauto apprendi. Ora in te piace
quella baldanza, onde trarresti allora
biasmo non lieve. Omai, ben parmi, è tempo,
di cangiar stile. ? In me pietá cercasti,
e pietá trovi; ma di te: non tutti
degni ne son: dell'opre mie me solo
giudice lascia. ? A favor tuo parlommi
or dianzi a lungo, e non parlommi indarno,
la regina: te degno ancor cred'ella
del mio non men, che del suo amore... A lei,
piú che a me, devi il mio perdono;... a lei.
Sperar frattanto d'oggi in poi mi giova,
che tu saprai meglio stimare, e meglio
meritar la mia grazia. ? Or vedi, o donna,
che a te mi arrendo; e che da te ne imparo,
non che a scusare, a ben amar mio figlio.

ISABELLA - ... Signor...

FILIPPO - Tel deggio, ed a te sola io 'l deggio.
Per te il mio sdegno oggi ho represso, e in suono
dolce di padre, ho il mio figliuol garrito.
Pur ch'io pentir mai non men debba! ? O figlio,
a non tradir sua speme, a vie piú sempre
grato a lei farti, pensa. E tu, regina,
perché piú ognor di bene in meglio ei vada,
piú spesso il vedi,... e a lui favella,... e il guida. ?
E tu, la udrai, senza sfuggirla. ? Io 'l voglio.

CARLO - Oh quanto il nome di perdon mi è duro!
Ma, se accettarlo pur dal padre or debbo,
e tu per me, donna, ottenerlo, ah! voglia
il mio destin (ch'è il sol mio fallo) a tale
vergogna piú non mi far scender mai.

FILIPPO - Non di ottenerlo, abbi miglior vergogna
di mertar tu dal genitor perdono.
Ma basti omai: va; del mio dir fa' senno. ?
Riedi, o regina, alle tue stanze intanto;
me rivedrai colá fra breve: or deggio
dar pochi istanti ad altre cure gravi.


SCENA QUINTA

Filippo, Gomez.


FILIPPO - Udisti?

GOMEZ - Udii.

FILIPPO - Vedesti?

GOMEZ - Io vidi.

FILIPPO - Oh rabbia!
Dunque il sospetto?...

GOMEZ - ... È omai certezza...

FILIPPO - E inulto
Filippo è ancor?

GOMEZ - Pensa...

FILIPPO - Pensai. ? Mi segui.



ATTO TERZO


SCENA PRIMA

Carlo, Isabella.


CARLO - Scusa, deh! scusa l'ardir mio novello:
s'io richieder ti fea breve udíenza
dalla tua Elvira in ora tarda e strana,
alta cagion mi vi stringea.

ISABELLA - Che vuoi?...
Perché a me non mi lasci? a che piú tormi,
la pace ch'io non ho?... Perché venn'io?

CARLO - Deh! non sdegnarti; or or ti lascio; ahi sorte!
Ti lascio, e torno all'usato mio pianto.
Odimi. Or dianzi al genitor tu ardisti
qui favellare a favor mio: gran fallo
tu festi; a dirtel vengo; e al ciel deh piaccia,
ch'io sol n'abbia la pena! Ei di severa
pietá fea pompa; ed il perdon mi dava,
pegno in lui sempre di piú atroce sdegno.
Grave oltraggio al tiranno è un cor pietoso:
ottima tu, non tel pensavi allora;
a rimembrartel vengo: a dirti a un tempo,
che in lui foriera è d'ogni mal pietade.
Terror, che in me mai non conobbi io prima,
da quell'istante il cor m'invase: oh cielo!...
Non so: nuovo linguaggio ei mi tenea;
mostrava affetto insolito. Deh! mai,
mai piú di me non gli parlare.

ISABELLA - Ei primo
menzion mi fea di te; quasi a risposta
ei mi sforzava: ma, placarsi appieno
parve a' miei detti il suo furore. E or dianzi,
allor che appunto favellato ei t'ebbe,
teneramente di paterno amore
pianse, e laudotti in faccia mia. Ti è padre,
ti è padre in somma: e fia giammai ch'io creda,
ch'unico figlio, il genitor non l'ami?
L'ira ti accieca; un odio in lui supponi,
che allignar non vi può... Cagion son io,
misera me! che tu non l'ami.

CARLO - Oh donna!
mal ci conosci entrambi; è ver ch'io fremo,
ma pur, non l'odio: invido son di un bene,
ch'ei mi ha tolto, e nol merta; e il pregio raro,
no, non ne sente. Ah, fossi tu felice!
Men mi dorrei.

ISABELLA - Vedi: ai lamenti usati
torni, malgrado tuo. Prence, ti lascio.
Vivi securo omai, ch'ogni mio detto,
ogni mio cenno io peserò ben pria,
che di te m'oda favellar Filippo.
Temo anch'io,... ma piú il figlio assai, che il padre.


SCENA SECONDA

Carlo.


CARLO - Oh nobil core! In diffidar mal dotta,
ove sei tratta?... Ma, chi vien?...


SCENA TERZA

Gomez, Carlo.


CARLO - Che vuoi?

GOMEZ - Aspetto il re: qui viene egli a momenti. ?
Deh, prence, intanto entrar mi lascia a parte
della giusta letizia, onde ti colma
la racquistata al fin grazia del padre.
Per quanto io vaglio appresso lui, ti accerta,
per te sempre parlai; piú ancor son presto...


SCENA QUARTA

Gomez.


GOMEZ - ... Superbo molto;... ma, piú incauto assai.


SCENA QUINTA

Filippo, Leonardo, Perez, Gomez,
Consiglieri, Guardie.


FILIPPO - Nessuno, olá, qui d'inoltrarsi ardisca. ?
Pochi, ma giusti e fidi, oggi vi aduno
a insolito consiglio... Ognun mi ascolti. ?
Ma, quale orror pria di parlar m'ingombra!
Qual gel mi scorre entro ogni vena! Il pianto
mi sta sul ciglio, e la debil mia voce,
quasi del core i sensi esprimer nieghi,
tremula ondeggia... E il debbo io pur? sí, il debbo;
la patria il vuol, non io. ? Chi 'l crederia?
Accusatore oggi fra voi mi seggo;
giudice no, ch'esser nol posso: e, ov'io
accusator di cotal reo non fossi,
qual di voi lo ardiria? ? Giá fremer veggio,
giá inorridir ciascun... Che fia poi, quando
di Carlo il nome profferir mi udrete?

LEONARDO - L'unico figlio tuo?

PEREZ - Di che mai reo?..

FILIPPO - Da un figlio ingrato a me la pace è tolta;
quella, che in sen di sua famiglia gode
ciscun di voi, piú assai di me felice.
Clemenza invano adoprai seco, invano
dolce rigore, ed a vicenda caldi
sproni a virtú: sordo agli esempj e ai preghi,
e vie piú sordo alle minacce, all'uno
l'altro delitto, e a' rei delitti aggiugne
l'insano ardir; sí, ch'oggi ei giunge al colmo
d'ogni piú fero eccesso. Oggi, sí, mentre
non dubbie prove a lui novelle io dava
di mia troppa dolcezza, oggi ei mi dava
d'inaudita empietá l'ultime prove.
Appena l'astro apportator del giorno,
lucido testimon d'ogni opra mia,
gli altri miei regni a rischiarar sen giva,
che giá coll'ombre della notte, amiche
ai traditor, sorgea nel cor di Carlo
atro orribil pensiero. A far vendetta
dei perdonati falli ei muove il piede
ver le mie stanze tacito. La destra
d'un parricida acciaro armarsi egli osa.
A me da tergo ei giá si appressa. Il ferro
giá innalza; entro al paterno inerme fianco
giá quasi il vibra... Ecco, da opposta parte
inaspettatamente uscirne un grido:
« bada, Filippo, bada ». Era Rodrigo,
che a me venía. Mi sento a un tempo un moto
come di colpo, che lambendo striscia:
volgo addietro lo sguardo; al piè mi veggo
nudo un ferro; nell'ombra incerta lungi
veggio in rapida fuga andarne il figlio. ?
Tutto narrai. Se v'ha tra voi chi il possa
d'altro fallo accusar; se v'ha chi vaglia
a discolparlo anche di questo, ah! parli
arditamente libero. V'inspiri
a tanto il cielo. Opra tremenda è questa;
ben libratela, o giudici: da voi
del figlio io chieggo,... e in un di me, sentenza.

GOMEZ - ... Che ne domandi, o re? Tradir Filippo,
tradir noi stessi, il potrem noi? Ma in core
di un padre immerger potrem noi l'acciaro?
Deh! non ci trarre al fero passo.

LEONARDO - Il giorno
può sorger forse, o re, che udito il vero
troppo t'incresca; e a noi, che a te il dicemmo,
farlo tu vogli increscer anco.

PEREZ - Il vero
nuocer non de'. Chiesto n'è il ver; si dica.

FILIPPO - Qui non vi ascolta il padre; il re qui v'ode.

GOMEZ - Io parlerò dunque primiero; io primo
l'ira di un padre affronterò; che padre
tu sei pur sempre; e nel severo ad arte,
turbato piú che minaccevol volto,
ben ti si legge che se Carlo accusi,
tu il figlio assolvi: e annoverar del figlio
non vuoi, né sai, forse i delitti tutti. ?
Patti in voce proporre ai ribellanti
Batavi, a Carlo un lieve error parea:
or ecco un foglio a lui sottratto; iniquo
foglio, dove ei patteggia in un la nostra
rovina e l'onta sua. Co' Franchi egli osa
trattare ei, sí, cogli abborriti Franchi:
qui di Navarra, Catalogna, e d'altre
ricche provincie al trono ispano aggiunte
dal valor de' nostri avi, indi serbate
da noi col sangue e sudor nostro, infame
qui leggerete un mercimonio farsi.
Prezzo esecrando di esecrando ajuto
prestato al figlio incontro al padre, andranne
parte sí grande di cotanto regno
dei Franchi preda; e impunemente oppressa
sarà poi l'altra dal fallace figlio
di un re, il cui senno, il cui valor potria
regger sol, non che parte, intero il mondo.
Ecco qual sorte a noi sovrasta. ? Ah! cari,
e necessarj, e sacri, i giorni tuoi
ci sono, o re; ma necessaria, e sacra
non men la gloria dello ispano impero.
Del re, del padre insidíar la vita,
misfatto orrendo: ma il tradire a un tempo
il proprio onor, vender la patria, (soffri
ch'io 'l dica) orrendo è forse al pari. Il primo
puoi perdonar, che spetta a te: ma l'altro?...
E perdonarlo anco tu puoi: ? ma, dove
aggiunto io 'l veggo a sí inauditi eccessi,
che pronunziare altro poss'io, che morte?

PEREZ - Morte! Che ascolto?

FILIPPO - Oh ciel!...

LEONARDO - Chi 'l crederebbe,
ch'io pur potessi agli esecrati nomi
di parricida, traditor, ribelle,
aggiungern'altri? E ne riman pur uno,
troppo esecrabil piú; tal ch'uom non l'osa
profferir quasi.

FILIPPO - Ed è?

LEONARDO - Del giusto cielo
disprezzator sacrilego mendace. ?
Onnipossente Iddio, di me tuo vile
ma fido servo espressamente or sciogli
tu la verace lingua. È giunto il giorno,
l'ora, il momento è giunto, in cui d'un solo
folgoreggiante tuo sguardo tremendo
chi lungamente insuperbí ne atterri.
Me sorger fai, me difensor dell'alta
tua maestade offesa: a me tu spiri
nel caldo petto un sovrumano ardire;
ardir pari alla causa. ? O della terra
tu re, pel labbro mio ciò che a te dice
il Re dei re, pien di terrore, ascolta.
Il prence, quegli, ch'io tant'empio estimo,
che nomar figlio del mio re non l'oso;
il prence orridi spregi, onde non meno
che i ministri del ciel, il ciel si oltraggia,
dalla impura sua bocca ei mai non resta
di versar, mai. Le rie profane grida
perfino al tempio ardimentose innalza:
biasma il culto degli avi; applaude al nuovo;
e, s'egli regna un dí, vedremo a terra
i sacri altari, e calpestar nel limo
dal sacrilego piè quanto or d'incensi,
e di voti onoriam: vedrem... Che dico? ?
Se tanto pur la fulminante spada
di Dio tardasse, io nol vedrò; vedrallo
chi pria morir non ardirà. Non io
vedrò strappare il sacro vel, che al volgo
adombra il ver, ch'ei non intende, e crede:
né il tribunal, che in terra raffigura
la giustizia del cielo, e a noi piú mite
la rende poscia, andar vedrò sossopra,
come ei giurava; il tribunal, che illesa
pura la fede, ad onta altrui, ci serba.
Sperda il ciel l'empio voto: invan lo speri
l'orrido inferno. ? Al Re sovrano innalza,
Filippo, il guardo: onori, impero, vita,
tutto hai da lui; tutto ei può tor: se offeso
egli è, ti è figlio l'offensore? In lui,
in lui sta scritta la fatal sentenza:
leggila; e omai, non la indugiar... Ritorce
le sue vendette in chi le sturba, il cielo.

PEREZ - Liberi sensi a rio servaggio in seno
lieve il trovar non è: libero sempre
non è il pensier liberamente espresso,
e talor anco la viltà si veste
di finta audacia. ? Odimi, o re; vedrai
qual sia il libero dir: m'odi, e ben altro
ardir vedrai. ? Supposto è il foglio; e troppo
discordi son tra lor le accuse. O il prence
di propria mano al parricidio infame
si appresta; e allor co' Batavi ribelli
a che l'inetto patteggiar? dei Franchi
a che i soccorsi? a che con lor diviso
il paterno retaggio? a che smembrato
il proprio regno? ? Ma, se pur piú mite
far con questi empi mezzi a se il destino
ei spera, allora il parricidio orrendo
perché tentar? perché cosí tentarlo?
Imprender tanto, e rimanersi a mezzo;
vinto, da che? ? S'ei lo tentò in tal guisa,
piú che colpevol, forsennato io 'l tengo.
Ei sapea, che in difesa dei re sempre
(anco odiandoli) a gara veglian quelli,
che da lor traggon lustro, oro, e possanza.
Tu il figlio hai visto, che fuggiasi? ah! forse
visto non l'hai, fuorché con gli occhi altrui.
Ei venga; ei s'oda; ei sue ragion ne adduca.
Ch'ei non t'insidia i giorni, io 'l giuro intanto.
Sovra il mio capo il giuro; ove non basti,
su l'onor mio; di cui né il re, né il cielo,
arbitri d'ogni cosa, arbitri sono. ?
Or, che dirò della empietade, ond'osa
pietá mentita, in suon di santo sdegno,
incolparlo? Dirò... Che val ch'io dica,
che sotto un velo sagrosanto ognora,
religion chiamato, havvi tal gente
che rei disegni ammanta; indi, con arte,
alla celeste la privata causa
frammischiando, si attenta anco ministra
farla d'inganni orribili, e di sangue?
Chi omai nol sa? ? Dirò ben io, che il prence,
giovine ognor d'umano core e d'alti
sensi mostrossi; all'avvenente aspetto
conformi sensi; e che speranza ei dolce
crescea del padre, dai piú teneri anni:
e tu il dicevi, e tel credea ciascuno.
Io 'l credo ancora: perch'uom mai non giunse
di cotanta empietade a un tratto al colmo.
Dirò, che ai tanti replicati oltraggi
null'altro ei mai che pazíenza oppose,
silenzio, ossequio, e pianto. ? È ver, che il pianto
anco è delitto spesso; havvi chi tragge
dall'altrui pianto l'ira... Ah! tu sei padre;
non adirarten, ma al suo pianger piangi;
ch'ei reo non è, ben infelice è molto. ?
Ma, se pur mille volte anche piú reo,
che ognun qui 'l grida, ei fosse; a morte il figlio
mai condannar nol può, né il debbe, un padre.

FILIPPO - ... Pietade al fine in un di voi ritrovo,
e pietá seguo. Ah! padre io sono; e ai moti
di padre io cedo. Il regno mio, me stesso,
tutto abbandono all'arbitra suprema
imperscrutabil volontá del cielo.
Dell'ire forse di lassú ministro
Carlo esser debbe in me: pera il mio regno,
pera Filippo pria, ma il figlio viva;
lo assolvo io giá.

GOMEZ - Tu delle leggi adunque
maggior ti fai? Perché appellarci? Solo
tu ben puoi romper senza noi le leggi.
Assolvi, assolvi; ma, se un dí funesta
la pietá poi ti fosse...

PEREZ - In ver, funesta
fia la pietá; ché assai novella io veggio
sorger pietade... Ma, qual sia l'evento,
non è consiglio questo, ov'io sedermi
ardisca omai: mi è cara ancor la fama,
la vita no. Ch'io non bagnai mie mani
nell'innocente sangue, il sappia il mondo:
qui rimanga chi 'l vuole. ? Al cielo io pure
miei voti innalzo: al ciel palese appieno
è il ver... Ma che dich'io? soltanto al cielo?...
S'io volgo intento a me dattorno il guardo,
non vegg'io che ciascuno appien sa il vero?
che il tace ognuno? e che l'udirlo, e il dirlo,
qui da gran tempo è capital delitto?

FILIPPO - A chi favelli tu?

PEREZ - Di Carlo al padre...

FILIPPO - Ed al tuo re.

LEONARDO - Tu sei di Carlo il padre:
e chi 'l dolor di un disperato padre
non vede in te? Ma, tu sei padre ancora
de' tuoi sudditi; e in pregio hann'essi il nome
di figli tuoi, quanto in non cale ei l'abbia.
Sol uno è il prence; innumerabil stuolo
son essi; ei salvo, altri in periglio resta;
colpevol ei, gli altri innocenti tutti:
fra il salvar uno, o tutti, incerto stai?

FILIPPO - In cor lo stile a replicati colpi
non mi s'immerga omai; cessate: ah! forza
piú di udirvi non ho. Fuor del mio aspetto
nuovo consiglio or si raduni; ed anco
i sacerdoti segganvi, in cui muti
sono i mondani affetti: il ver rifulga
per loro mezzo; e sol si ascolti il vero. ?
Itene dunque, e sentenziate. Al dritto
nuocer potrebbe or mia presenza troppo;...
o troppo forse a mia virtú costarne.


SCENA SESTA

Filippo.


FILIPPO - ... Oh!... quanti sono i traditori? audace
Perez fia tanto? Penetrato ei forse
il cor mi avesse?... Ah! no... Ma pur, quai sensi!
Quale orgoglio bollente! ? Alma sí fatta,
nasce ov'io regno? ? e dov'io regno, ha vita?



ATTO QUARTO


SCENA PRIMA

Carlo.


CARLO - Tenebre, o voi del chiaro dí piú assai
conveníenti a questa orribil reggia,
quanto mi aggrada il tornar vostro! In tregua
non ch'io per voi ponga il mio duol; ma tanti
vili ed iniqui aspetti almen non veggio. ?
Qui favellarmi d'Isabella in nome
vuol la sua fida Elvira: or, che dirammi?...
Oh qual silenzio!... Infra i rimorsi adunque,
fra le torbide cure, e i rei sospetti
placido scende ad ingombrar le ciglia
de' traditori e de' tiranni il sonno?
Quel, che ognor sfugge l'innocente oppresso? ?
Ma, duro a me non è il vegliare: io stommi
co' miei pensieri, e colla immagin cara
d'ogni beltá, d'ogni virtú: mi è grato
qui ritornar, dov'io la vidi, e intesi
parole (oimè!) che vita a un tempo e morte
m'erano. Ah! sí; da quel fatale istante
meno alquanto infelice esser mi avviso,
ma piú reo ch'io non era... Or, donde nasce
in me il timor d'orror frammisto? è forse
al delitto il timor dovuta pena?...
Pena? ma qual commisi io mai delitto?
Non tacqui: e chi potea l'immenso amore
tacer, chi mai? ? Gente si appressa. Elvira
sarà;... ma no: qual odo fragor cupo?...
Qual gente vien? qual balenar di luce?
Armati a me? Via, traditori...


SCENA SECONDA

Soldati con armi e fiaccole.
Filippo, Carlo.


CARLO - Oh cielo!
Da tante spade preceduto il padre?

FILIPPO - Di notte, solo, in queste stanze, in armi,
che fai, che pensi tu? gl'incerti passi
ove porti? Favella.

CARLO - ... E che direi?...
L'armi, ch'io strinsi all'appressar d'armati
audaci sgherri, al tuo paterno aspetto
cadonmi: a lor duce tu sei?... tu, padre? ?
Di me disponi a piacer tuo. Ma dimmi;
pretesti usar, t'era egli d'uopo? e quali!...
Ah padre! indegni son di un re i pretesti; ?
ma le discolpe son di me piú indegne.

FILIPPO - L'ardir v'aggiungi? Aggiungil pur, ch'è ognora
all'alte scelleraggini compagno:
fa di finto rispetto infame velo
all'alma infida, ambizíosa, atroce;
giá non ti escusi tu: meglio, è che il varco
tu schiuda intero alla tua rabbia: or versa
il mortal tosco che in tuo cor rinserri;
audacemente ogni pensier tuo fello,
degno di te, magnanimo confessa.

CARLO - Che confessar degg'io? Risparmia, o padre,
i vani oltraggi: ogni piú cruda pena
dammi; giusta ella fia, se a te fia grata.

FILIPPO - In cosí acerba età, deh! come giunto
sei di perfidia al piú eminente grado?
D'iniquità dove imparata hai l'arte,
che, dal tuo re colto in sí orribil fallo,
neppur di aspetto cangi?

CARLO - Ove l'appresi?
Nato in tua reggia...

FILIPPO - Il sei, fellon, per mia
sventura ed onta...

CARLO - Ad emendar tal onta,
che tardi or piú? che non ti fai felice
col versar tu del proprio figlio il sangue?

FILIPPO - Mio figlio tu?

CARLO - Ma, che fec'io?

FILIPPO - Mel chiedi?
Tu il chiedi a me? Non ti flagella dunque
rimorso nullo?... Ah! no; giá da gran tempo
nullo piú ne conosci; o il sol che senti,
del non compiuto parricidio il senti.

CARLO - Parricidio! Che ascolto? Io parricida?
Ma, né tu stesso il credi, no. ? Qual prova,
quale indizio, o sospetto?...

FILIPPO - Indizio, prova,
certezza, io tutto dal livor tuo traggo.

CARLO - Non mi sforzar, deh! padre, al fero eccesso
di oltrepassar quella terribil meta,
che tra suddito e re, tra figlio e padre,
le leggi, il cielo, e la natura, han posto.

FILIPPO - Con sacrilego piè tu la varcasti,
gran tempo è giá. Che dico? ignota sempre
ti fu. D'aspra virtú gli alteri sensi
lascia, che mal ti stan; qual sei, favella:
svela del par gli orditi, e i giá perfetti
tuoi tradimenti tanti... Or via, che temi?
Ch'io sia men grande, che non sei tu iniquo?
Se il vero parli, e nulla ascondi, spera;
se il taci, o ammanti, trema.

CARLO - Il vero io parlo;
tu mi vi sforzi. ? Me conosco io troppo,
perch'io mai tremi; e troppo io te conosco,
perch'io mai speri. Infausto don, mia vita
ripiglia tu, ch'ella è ben tua; ma mio
egli è il mio onor, né il togli tu, né il dai.
Ben reo sarei, se a confessarmi reo
mi traesse viltà. ? L'ultimo fiato
qui spirar mi vedrai: lunga, crudele,
obbrobriosa apprestami la morte:
morte non v'ha, che ad avvilir me vaglia.
Te sol, te sol, non me compiango, o padre.

FILIPPO - Temerario, in tal guisa al signor tuo
ragion de' tuoi misfatti render osi?

CARLO - Ragion? ? Tu m'odj; ecco il mio sol misfatto:
sete hai di sangue; ecco ogni mia discolpa:
tuo dritto solo, è l'assoluto regno.

FILIPPO - Guardie, si arresti; olá.

CARLO - Risposta sola
di re tiranno è questa. Ecco, le braccia
alle catene io porgo: eccoti ignudo
al ferro il petto. A che indugiar? fors'oggi
a incrudelir cominci tu soltanto?
Il tuo regnar, giorno per giorno, in note
atre di sangue è scritto giá...

FILIPPO - Si tolga
dagli occhi miei. Della qui annessa torre
entro al piú nero carcere si chiuda.
Guai, se pietade alcun di voi ne sente.

CARLO - Ciò non temer, che in crudeltà son pari
i tuoi ministri a te.

FILIPPO - Si strappi a forza
dal mio cospetto; a viva forza...


SCENA TERZA

Isabella, Filippo.


ISABELLA - Oh cielo!
Che miro? oimè!...

FILIPPO - Donna, che fia?

ISABELLA - La reggia
tutta di meste grida dolorose
udía dintorno risuonare...

FILIPPO - Udisti
flebile suono; è ver...

ISABELLA - Dal tuo cospetto
non vidi io il prence strascinato a forza?

FILIPPO - Tu ben vedesti; è desso.

ISABELLA - Il figliuol tuo?...

FILIPPO - La mia consorte impallidisce, e trema,
nel veder trarre?...

ISABELLA - Io tremo?

FILIPPO - E n'hai ben donde. ?
Il tuo tremar... dell'amor tuo... non lieve
indizio m'è... Pel tuo... consorte or tremi:
ma, riconforta il cor; svaní il periglio.

ISABELLA - Periglio!... e quale?

FILIPPO - Alto periglio io corsi:
ma omai mia vita in securtà...

ISABELLA - Tua vita?...

FILIPPO - A te sí cara e necessaria, è in salvo.

ISABELLA - Ma il traditor?...

FILIPPO - Del tradimento pena
dovuta avrà. Piú non temer, ch'io mai
per lui riapra a pietá stolta il core.
Passò stagione; or di giustizia il solo
terribil grido ascolterò.

ISABELLA - Ma quale,
qual trama?...

FILIPPO - Oh ciel! contro a me sol non era
forse ordita la trama. A chi del padre
il sangue vuol, (s'ei la madrigna abborre
del padre al par) nulla parrebbe il sangue
versar della madrigna...

ISABELLA - In me?... Che parli?...
Ahi lassa!... Il prence...

FILIPPO - Ingrato, i tuoi non meno,
che i miei cotanti beneficj obblia. ?
Ma tu, in te stessa torna;... e lieta vivi;...
e a me sol fida la importante cura
di assicurar la tua con la mia pace.


SCENA QUARTA

Isabella.


ISABELLA - ... Oh detti!... oh sguardi!... A gran pena ripiglio
i sensi miei. Che mai diss'egli? avrebbe
forse il mio amor?... ma no; racchiuso stammi
nel piú addentro del core... Eppur, quegli occhi
d'ira avvampanti, ed in me fitti... Ahi lassa!...
Poi di madrigna favellò... Che disse
della mia pace?... Oh cielo! e che risposi?
Nomato ho il prence? Oh! di qual freddo orrore
sento agghiacciarmi! Ove corr'egli... ahi! dove?
A che si appresta? ed io, che fo? ? Seguirlo
voglio;... ma il piè manca, e il vigor...


SCENA QUINTA

Gomez, Isabella.


GOMEZ - Perdona
l'ardir mio troppo; io teco il re pur anco
stimava.

ISABELLA - ... Or dianzi ei mi lasciò.

GOMEZ - Cercarne
dunque m'è forza altrove. Impazíente
per certo ei sta di udir l'evento alfine...

ISABELLA - L'evento?... Arresta il piè: dimmi...

GOMEZ - Se a lui
tu favellasti, esposta avratti appieno
l'espettazion sua dubbia della estrema
sentenza...

ISABELLA - No: di un tradimento in foschi
ambigui detti a me parlò; ma...

GOMEZ - Il nome
del traditor non ti dicea?

ISABELLA - Del prence...

GOMEZ - Tutto sai dunque. Io del consiglio arreco...

ISABELLA - Di qual consiglio? Oimè! che rechi?

GOMEZ - A lungo
l'alto affar discuteasi; e al fin conchiuso
ad una s'è...

ISABELLA - Che mai? Parla.

GOMEZ - Sta scritta
in questo foglio la sentenza: ad essa
null'altro manca, che del re l'assenso.

ISABELLA - E il tenor n'è?

GOMEZ - Morte pronunzia.

ISABELLA - Morte?
Iniqui! morte? E qual delitto è in lui?

GOMEZ - Tel tacque il re?

ISABELLA - Mel tacque, sí.

GOMEZ - ... Tentato
ha il parricidio.

ISABELLA - Oh ciel! Carlo?...

GOMEZ - Lo accusa
il padre stesso; e prove...

ISABELLA - Il padre?... E quali
prove ne dà?... mentite prove. ? Ah! certo
altra ragion, che a me si asconde, avravvi.
Deh! mi appalesa il suo vero delitto.

GOMEZ - Il suo delitto vero? ? E dirtel posso,
se tu nol sai?... Può il dirtelo costarmi
la vita.

ISABELLA - Oh! che di' tu? Ma che? paventi
ch'io tradire ti possa?

GOMEZ - Il re tradisco,
s'io nulla dico; il re. ? Ma, qual ti punge
stimol sí caldo ad indagarne il vero?

ISABELLA - Io?... Sol mi punge curíosa brama.

GOMEZ - A te ciò in somma or che rileva? ? Il prence
sta in gran periglio, e soggiacervi forse
dovrá: ma ch'altro a lui, fuorché madrigna,
al fin sei tu?... Giá il suo morir non nuoce
a te; potrebbe anzi la via del trono
ai figli, che uscir denno dal tuo fianco,
sgombrar cosí. Credi; la origin vera
dei misfatti di Carlo, è in parte, amore...

ISABELLA - Che parli?

GOMEZ - Amor, che il re ti porta. Ei lieto
piú fora assai di un successor tuo figlio,
che non di Carlo sia per l'esser mai.

ISABELLA - Respiro. ? In me quai basse mire inique
supporre ardisci?

GOMEZ - Del mio re ti ardisco
dire i pensier; non son, no, tali i miei;
ma...

ISABELLA - Vero è dunque, è ver, ciò ch'io finora
mai non credea; che il padre, il padre stesso,
il proprio figlio abborre...

GOMEZ - Oh quanto, o donna,
io ti compiango, se finor conosci
sí poco il re!

ISABELLA - Ma, in chi cred'io? Tu pure...

GOMEZ - Io pure, sí, poiché non dubbia or trovo
in te pietá, l'atro silenzio io rompo,
che il cor mi opprime. È ver pur troppo, il prence
(misero!) non è reo d'altro delitto,
che d'esser figlio di un orribil padre.

ISABELLA - Raccapricciar mi fai.

GOMEZ - Di te non meno
inorridisco anch'io. Sai, donde nasce
lo snaturato odio paterno? Il muove
vile invidia: in veder virtú verace
tanta nel figlio, la virtú mentita
del rio padre si adira: a se pur troppo
ei dissimile il vede; ed, empio, ei vuole
pria spento il figlio, che di se maggiore.

ISABELLA - Oh non mai visto padre! Ma, piú iniquo
il consiglio che il re, perché condanna
un innocente a morte?

GOMEZ - E qual consiglio
si opporrebbe a un tal re? Lo accusa ei stesso:
falsa è l'accusa; ognun lo sa: ma ognuno,
per se tremante, tacendo l'afferma.
Ricade in noi di ria sentenza l'onta;
ministri vili al suo furor siam noi;
fremendo il siam; ma invan: chi lo negasse,
del suo furor cadria vittima tosto.

ISABELLA - E fia ver ciò che ascolto?... Io di stupore
muta rimango... E non resta piú speme?
Ingiustamente ei perirà?

GOMEZ - Filippo,
nel simular, sovra ogni cosa, è dotto.
Dubbio parer vorrà da pria; gran mostra
farà di duolo e di pietá; fors'anco
indugierà pria di risolver: folle
chi 'l duolo in lui, chi la pietá credesse;
o che in quel cor, per indugiar di tempo,
l'ira profonda scemasse mai dramma.

ISABELLA - Deh! se tu nei delitti al par di lui
l'alma indurata ancor non hai, deh! senti,
Gomez, pietade...

GOMEZ - E che poss'io?

ISABELLA - Tu, forse...

GOMEZ - Di vano pianto, e ben celato, io posso
onorar la memoria di quel giusto:
null'altro io posso.

ISABELLA - Oh! chi udí mai, chi vide
sí atroce caso?

GOMEZ - A perder io me stesso
presto sarei, purché salvare il prence
potessi; e sallo il cielo. Io, dai rimorsi,
cui seco tragge di cotal tiranno
la funesta amistà, roder giá sento,
giá strazíarmi il cor; ma...

ISABELLA - Se il rimorso
sincero è in te, giovar gli puoi non poco;
sí, il puoi; né d'uopo t'è perder te stesso.
Sospetto al re non sei; puoi, di nascosto,
mezzi al fuggir prestargli: e chi scoprirti
vorria? ? Chi sa? fors'anco un dí Filippo,
in se tornando, il generoso ardire
d'uom, che sua gloria a lui salvò col figlio,
premiar potrebbe.

GOMEZ - E, se ciò ardissi io pure,
Carlo il vorrà? quant'egli è altero, il sai?
Giá il suo furor ravviso, in udir solo
di fuga il nome, e di sentenza. Ah! vano
ad atterrire quella indomit'alma
ogni annunzio è di morte; anzi, giá il veggo
ostinarsi a perire. Aggiungi, ch'ogni
mio consiglio od ajuto, a lui sospetto
e odíoso sarebbe. Al re simile
crede egli me.

ISABELLA - Null'altro ostacol havvi?
Fa' pur ch'io il vegga; al carcer suo mi guida:
ivi hai l'accesso al certo: io mi lusingo
di risolverlo a fuga. Or, deh! tant'alto
favor non mi negare. Avanzan molte
ore di notte: al suo fuggire i mezzi
appresta intanto; e di arrecar sospendi
fatal sentenza, che sí tosto forse
non si aspetta dal re. Vedi,... ten priego;
andiamo; il cielo avrai propizio ognora:
io ti scongiuro, andiamvi...

GOMEZ - E chi potrebbe
opra negar cosí pietosa? Io voglio
a ogni costo tentarla. Andiamvi. ? Il cielo
perir non lasci chi perir non merta.



ATTO QUINTO


SCENA PRIMA

Carlo.


CARLO - Ch'altro a temer, ch'altro a sperar mi resta,
che morte omai? Scevra d'infamia almeno
l'avessi!... Ah! deggio dal crudel Filippo
piena d'infamia attenderla. ? Un sol dubbio,
e peggior d'ogni morte, il cor mi punge.
Forse ei sa l'amor mio: nei fiammeggianti
torvi suoi sguardi un non so qual novello
furor, mal grado suo, tralucer vidi...
e il suo parlar colla regina or dianzi...
e l'appellarmi; e l'osservar... Che fia...
(oh ciel!) che fia, se a lui sospetta a un tempo
la consorte diventa? Oimè! giá forse
punisce in lei la incerta colpa il crudo;
che del tiranno la vendetta sempre
suol prevenir l'offesa... Ma, se a tutti
il nostro amor, ed a noi quasi, è ignoto,
donde il sapria?... me forse avrian tradito
i sospir miei? Che dico? a rio tiranno
noti i sospir d'amore?... A un cotal padre
penetrare il mio amor mestier fors'era,
per farsi atroce, e snaturato? Al colmo
l'odio era in lui, né piú indugiar potea.
Ben venga il dí, ben venga, ov'io far pago
della mia testa il posso. ? Ahi menzognera
turba di amici della sorte lieta!
Dove or sei tu? nulla da voi, che un brando,
vorrei; ma un brando, onde all'infamia tormi,
nessun di voi mel porgerà... Qual sento
stridor?... la ferrea porta si disserra!
Che mi s'arreca? udiam... Chi fia?


SCENA SECONDA

Isabella, Carlo.


CARLO - Chi veggio?
Regina, tu? Chi ti fu scorta? Oh! quale
ragion ti mena? amor, dover, pietade?
Come l'accesso avesti?

ISABELLA - Ah! tutto ancora
non sai l'orror del tuo feral destino:
tacciato sei di parricida; il padre
ti accusa ei stesso; un rio consiglio a morte
ti danna; ed altro all'eseguir non manca,
che l'assenso del re.

CARLO - S'altro non manca,
eseguirassi tosto.

ISABELLA - E che? non fremi?

CARLO - Gran tempo è giá, ch'io di morir sol bramo.
E il sai ben tu, da cui null'altro io chiesi,
che di lasciarmi morire ove sei.
Mi è dura, sí, l'orrida taccia; è dura,
ma inaspettata no. Morir m'è forza;
fremerne posso, ove tu a me lo annunzi?

ISABELLA - Deh! non parlarmi di morte, se m'ami.
Cedi per poco all'impeto...

CARLO - Ch'io ceda?
Or, ben mi avveggo; hai di avvilirmi assunto
il crudo incarco; il genitore iniquo
a te il commette...

ISABELLA - E il puoi tu creder, prence?
Ministra all'ire io di Filippo?...

CARLO - A tanto
potria sforzarti, anco ingannarti ei forse.
Ma, come or dunque a me venirne in questo
carcer ti lascia?

ISABELLA - E il sa Filippo? Oh cielo!
guai, se il sapesse!...

CARLO - Oh! che di' tu? Filippo
qui tutto sa: chi mai rompere i duri
comandi suoi?...

ISABELLA - Gomez.

CARLO - Che ascolto? Oh! quale,
qual profferisti abbominevol nome,
terribile, funesto!...

ISABELLA - A te nemico
non è, qual pensi...

CARLO - Oh ciel! s'io a me il credessi
amico mai, piú di vergogna in volto
avvamperei, che d'ira.

ISABELLA - Ed ei pur solo
sente or di te pietá. L'atroce trama
ei del padre svelommi.

CARLO - Incauta! ahi troppo
credula tu! che festi? ah! perché fede
prestavi a tal pietá? Se il ver ti disse
dell'empio re l'empissimo ministro,
ei col ver t'ingannò.

ISABELLA - Ma il dir, che giova?
Di sua pietá non dubbj effetti or tosto
provar potrai, se a' preghi miei ti arrendi.
Ei qui mi trasse di soppiatto; e i mezzi
giá di tua fuga appresta: io ve l'indussi.
Deh! non tardar, t'invola: il padre sfuggi,
la morte, e me.

CARLO - Fin che n'hai tempo, ah! lungi
da me tu stessa involati; che a caso
Gomez pietá non finge. In qual cadesti
insidíoso laccio! Or sí, ch'io fremo
davvero: omai, qual dubbio avanza? appieno,
Filippo appien giá penetrò l'arcano
dell'amor nostro...

ISABELLA - Ah! no. Poc'anzi io il vidi,
mentre dal suo cospetto a viva forza
eri strappato: ei d'ira orrenda ardea:
io tremante ascoltavalo; e lo stesso
tuo sospetto agitavami. Ma poscia,
in me tornata, il suo parlar rammento;
e certa io son, che ogni altra cosa ei pensa,
fuor che questa, di te... Perfin sovviemmi,
ch'ei ti tacciò d'insidíar fors'anco,
oltre i suoi giorni, i miei.

CARLO - Mestier sarebbe
che al par di lui, di lui piú vile, io fossi,
a penetrar tutte le ascose vie
dell'intricato infame laberinto.
Ma, certo è pur, che orribil fraude asconde
questo inviarti a me: ciò ch'ei soltanto
finor sospetta, or di chiarire imprende.
Ma, sia che vuol, tu prontamente i passi
volgi da questo infausto loco: indarno
tu credi, o speri, che adoprarsi voglia
Gomez per me: piú indarno ancor tu speri,
s'anco egli il vuol, che gliel consenta io mai.

ISABELLA - E fia pur ver, ch'infra tal gente io tragga
gl'infelici miei dí?

CARLO - Vero, ah pur troppo! ?
Non indugiar piú omai: lasciami; trammi
d'angoscia mortalissima... Mi offende
pietade in te, se di te non la senti...
Va', se hai cara la vita...

ISABELLA - A me la vita
cara?...

CARLO - Il mio onor, dunque, e la fama tua.

ISABELLA - Ch'io t'abbandoni in tal periglio?

CARLO - A tale
periglio esporti? a che varria? Te stessa
tu perdi, e me non salvi. Un sol sospetto
virtude macchia. Deh! la iniqua gioia
togli al tiranno di poter tacciarti
del sol pensier pur rea. Va': cela il pianto;
premi i sospir nel petto: a ciglio asciutto,
con intrepida fronte udir t'è forza
del mio morire. Alla virtú fian sacri
quei tristi dí, che a me sopravvivrai...
E, se pur cerchi al tuo dolor sollievo,
fra tanti rei, sol uno ottimo resta;
Perez, cui ben conosci: ei pianger teco
potrà di furto;... e tu, con lui talvolta
di me parlar potrai... Ma intanto, vanne;
esci;... fa' ch'io non pianga,... a brano a brano
deh non squarciarmi il cuore! ultimo addio
prendi,... e mi lascia;... va: tutta or m'è d'uopo
la mia virtude; or, che fatal si appressa
l'ora di morte...


SCENA TERZA

Filippo, Isabella, Carlo.


FILIPPO - Ora di morte è giunta:
perfido, è giunta: io te l'arreco.

ISABELLA - Oh vista!
oh tradimento!...

CARLO - Ed io son presto a morte:
dammela tu.

FILIPPO - Morrai, fellon: ma pria,
miei terribili accenti udrete pria
voi, scellerata coppia. ? Infami; io tutto,
sí, tutto io so: quella, che voi d'amore,
me di furor consuma, orrida fiamma,
m'è da gran tempo nota. Oh quai di rabbia
repressi moti! oh qual silenzio lungo!...
Ma entrambi al fin nelle mie man cadeste.
A che dolermi? usar degg'io querele?
Vendetta vuolsi; e avrolla io tosto; e piena,
e inaudita l'avrò. ? Mi giova intanto
goder qui di vostr'onta. Iniqua donna,
nol creder giá, che amata io t'abbia mai;
né, che gelosa rabbia al cor mi desse
martíro mai. Filippo, in basso loco,
qual è il tuo cor, l'alto amor suo non pone;
né il può tradir donna che il merti. Offeso
in me il tuo re, non il tuo amante, hai dunque.
Di mia consorte il nome, il sacro nome,
contaminato hai tu. Mai non mi calse
del tuo amor; ma albergare in te sí immenso
dovea il tremor del signor tuo, che tolto
d'ogni altro amor ti fosse anco il pensiero. ?
Tu seduttor, tu vile;... a te non parlo;
nulla in te inaspettato; era il misfatto
di te sol degno. ? Indubitate prove
m'eran (pur troppo!) ancor che ascosi, i vostri
rei sospiri; e il silenzio, e i moti, e il duolo,
che ne' vostri empj cori al par racchiuso
vedeva, e veggo. ? Or, che piú parlo? eguale
fu in voi la colpa; ugual fia in voi la pena.

CARLO - Che ascolto? In lei colpa non è: che dico?
Colpa? né l'ombra pur di colpa è in lei.
Puro il suo cor, mai di sí iniqua fiamma
non arse, io 'l giuro: appena ella il mio amore
seppe, il dannò...

FILIPPO - Fin dove ognun di voi
giungesse, io 'l so; so, che innalzato ancora
tu non avevi al talamo paterno
l'audace empio pensiere; ov'altro fosse,
vivresti or tu?... Ma, dalla impura tua
bocca ne uscí d'orrido amor parola;
essa l'udía; ciò basta.

CARLO - Io sol ti offesi;
né il niego: a me lieve di speme un raggio
sul ciglio balenò: ma il dileguava
la sua virtude tosto: ella mi udiva,
ma sol per mia vergogna; e sol, per trarmi
la rea malnata passíon dal petto...
Malnata, sí; tale or, pur troppo! ed era
giá legittima un dí: mia sposa ell'era,
mia sposa, il sai; tu me la davi; e darla
meglio potevi, che ritorla... Io sono
a ogni modo pur reo: sí, l'amo; e tolta
m'era da te;... che puoi tu tormi omai?
Saziati, su, nel sangue mio; disbrama
la rabbia in me del tuo geloso orgoglio:
ma lei risparmia; ella innocente appieno...

FILIPPO - Ella? in ardir, non in fallir, ti cede. ?
Taci, o donna, a tua posta; anche lo stesso
tuo tacer ti convince: in sen tu pure
(né val che il nieghi) ardi d'orribil foco:
ben mel dicesti; assai, troppo il dicesti,
quand'io parlava di costui poc'anzi
teco ad arte: membrando a che mi andavi,
ch'ei m'era figlio? che tuo amante egli era,
perfida, dir tu non l'osavi. In cuore
men di lui forse il tuo dover tradisti,
l'onor, le leggi?

ISABELLA - ... In me il silenzio nasce,
di timor no; stupore alto m'ingombra
del non credibil tuo doppio, feroce,
rabido cor. ? Ripiglio al fin, ripiglio
gli attoniti miei spirti... Il grave fallo
d'esserti moglie, è al fin dover ch'io ammendi. ?
Io finor non ti offesi: al cielo in faccia,
in faccia al prence, io non son rea: nel mio
petto bensí...

CARLO - Pietà di me fallace
muove i suoi detti: ah! non udirla...

ISABELLA - Indarno
salvarmi tenti: ogni tuo dire è punta,
che in lui piú innaspra la superba piaga.
Tempo non è, non piú, di scuse; omai
è da sfuggir l'aspetto suo, cui nullo
tormento agguaglia. ? Ove al tiranno fosse
dato il sentir pur mai di amor la forza,
re, ti direi, che tu fra noi stringevi
nodi d'amore: io ti direi, che volto
ogni pensiero a lui fin da' primi anni
avea; che in lui posta ogni speme, io seco
trar disegnato avea miei dí felici.
Virtude m'era, e tuo comando a un tempo,
l'amarlo allor: chi 'l fea delitto poscia?
Tu, col disciorre i nodi santi, il festi.
Sciorgli era lieve ad assoluta voglia;
ma il cor, cosí si cangia? Addentro in core
forte ei mi stava: ma non pria tua sposa
fui, che repressa in me tal fiamma tacque.
Agli anni poscia, a mia virtude, e forse
a te spettava lo estirparla...

FILIPPO - Io dunque,
quanto non fer, né tua virtú, né gli anni,
ben io il farò: sí, nel tuo sangue infido
io spegnerò la impura fiamma...

ISABELLA - Ognora
sangue versare, e ognor versar piú sangue,
è il sol tuo pregio; ma, fia pregio, ond'io
il mio amore a lui tolto a te mai dessi?
A te, dissimil dal tuo figlio, quanto
dalla virtude è il vizio. ? Uso a vedermi
tremar tu sei; ma, piú non tremo; io tacqui
finor la iniqua passion, che tale
la riputava in me: palese or sia,
or ch'io te scorgo assai piú ch'essa iniquo.

FILIPPO - Degno è di te costui; di lui tu degna. ?
Resta a veder, se nel morir voi sete
forti, quanto in parlar...


SCENA QUARTA

Gomez, Filippo, Isabella, Carlo.


FILIPPO - Gomez; compiuti
mie' cenni hai tu? Quant'io t'ho imposto arrechi?

GOMEZ - Perez trafitto muore: ecco l'acciaro,
che gronda ancor del suo sangue fumante.

CARLO - Oh vista!

FILIPPO - In lui dei traditor la schiatta
spenta pur non è tutta... Ma tu, intanto,
mira qual merto a' tuoi fedeli io serbo.

CARLO - Quante (oimè!) quante morti veder deggio,
pria di morir? Perez, tu pure?... Oh rabbia!
Giá giá ti seguo. Ov'è, dov'è quel ferro,
che spetta a me? via, mi s'arrechi. Oh! possa
mio sangue sol spegner la sete ardente
di questo tigre!

ISABELLA - Oh! saziar io sola
potessi, io sola, il suo furor malnato!

FILIPPO - Cessi la infame gara. Eccovi, a scelta
quel pugnale, o quel nappo. O tu, di morte
dispregiator, scegli tu primo.

CARLO - Oh ferro!...
Te caldo ancora d'innocente sangue,
liberator te scelgo. ? O tu, infelice
donna, troppo dicesti: a te null'altro
riman, che morte: ma il velen deh! scegli;
men dolorosa fia... D'amor infausto
quest'è il consiglio estremo: in te raccogli
tutto il coraggio tuo: ? mirami...( () Si ferisce.) Io moro...
Segui il mio esempio. ? Il fatal nappo afferra...
non indugiare...

ISABELLA - Ah! sí; ti seguo. O morte,
tu mi sei gioja; in te...

FILIPPO - Vivrai tu dunque;
mal tuo grado vivrai.

ISABELLA - Lasciami... Oh reo
supplizio! ei muore; ed io?...

FILIPPO - Da lui disgiunta,
sí, tu vivrai; giorni vivrai di pianto:
mi fia sollievo il tuo lungo dolore.
Quando poi, scevra dell'amor tuo infame,
viver vorrai, darotti allora io morte.

ISABELLA - Viverti al fianco?... io sopportar tua vista?...
Non fia mai, no... Morir vogl'io... Supplisca
al tolto nappo...( () Rapidissimamente avventatasi al pugnale di Filippo, se ne trafigge.) il tuo pugnal...

FILIPPO - T'arresta...

ISABELLA - Io moro...

FILIPPO - Oh ciel! che veggio?

ISABELLA - ... Morir vedi...
la sposa,... e il figlio,... ambo innocenti,... ed ambo
per mano tua... ? Ti sieguo, amato Carlo...

FILIPPO - Scorre di sangue (e di qual sangue!) un rio...
Ecco, piena vendetta orrida ottengo;...
ma, felice son io?... ? Gomez, si asconda
l'atroce caso a ogni uomo. ? A me la fama,
a te, se il taci, salverai la vita.








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