Vittorio Alfieri - Opera Omnia >>  La congiura de' Pazzi




 

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[Dedica]

ALL'AMICO DEL CUORE, FRANCESCO GORI GANDELLINI, CITTADINO SANESE, MORTO.

Ombra diletta e adorata del migliore, del solo verace e caldo amico ch'io avessi, e sia per avere giammai; a te dedico questa tragedia, meno assai mia, che tua; poiché null'altro contiene, che la quintessenza (debolmente forse espressa, ma vera) del tuo forte e sublime pensare. Destinata a te vivo, non osai pur dedicartela, perché a delitto ti potea essere apposto il riceverla. Alla felice ombra tua, che me nel pianto lasciando, di tutti i lievi mondani sdegni si ride, securamente or dunque la intitolo.

Parigi, a dì 20 Decembre 1787
VITTORIO ALFIERI

PERSONAGGI

LORENZO
GIULIANO
BIANCA
GUGLIELMO
RAIMONDO
SALVIATI
Uomini d'arme

Scena, il palazzo della signoria in Firenze

ATTO I

SCENA I

GUGLIELMO, RAIMONDO

Raimondo
Soffrire, ognor soffrire? altro consiglio
darmi, o padre, non sai? Ti sei tu fatto
schiavo or così, che del medìceo giogo
non senti il peso, e i gravi oltraggi, e il danno?
Guglielmo
Tutto appien sento, o figlio; e assai più sento
il comun danno, che i privati oltraggi.
Ma pur, che far degg'io? ridotti a tale
ha il parteggiare i cittadin di Flora,
ch'ogni moto il più lieve, a noi funesto,
fia propizio ai tiranni. Infermo stato,
cangiar nol puoi (pur troppo è ver!) che in peggio.
Raimondo
Dimmi, deh! dove ora è lo stato? o se havvi,
come peggior si fa? Viviam noi forse?
Vivon costor, che di paura pieni,
e di sospetto, e di viltà, lor giorni
stentati e infami traggono? Qual danno
nascere omai ne può? che in vece forse
del vergognoso inefficace pianto,
ora il sangue si spanda? E che? tu chiami
un tal danno il peggior? tu, che gli antichi
tempi, ben mille volte, a me fanciullo
con nobil gioia rimembravi, e i nostri
deplorando, piangevi; al giogo, al pari
d'ogni uom del volgo, or la cervice inchini?
Guglielmo
Tempo già fu, nol niego, ov'io pien d'ira,
d'insofferenza, e d'alti spirti, avrei
posto in non cal ricchezze, onori, e vita,
per abbassar nuovi tiranni insorti
su la comun rovina: al giovenile
bollor tutto par lieve; e tale io m'era.
Ma, il trovar pochi, o mal fedeli amici
ai gran disegni; e il vie più sempre salda
d'uno in altr'anno veder radicarsi
la tirannide fera; e l'esser padre;
tutto volger mi fea pensiero ad arti,
men grandi, ma più certe. Io de' tiranni
stato sarei debol nemico, e invano:
quindi men fea congiunto. Allor ti diedi
la lor sorella in sposa. Omai securi
di libertà più non viveasi all'ombra;
quindi te volli, e i tuoi venturi figli,
sotto le audaci spaziose penne
delle tiranniche ali in salvo porre.
Raimondo
Schermo infame, e mal certo. A me non duole
Bianca, abbenché sia dei tiranni suora;
cara la tengo, e i figli ch'ella diemmi,
benché nipoti dei tiranni, ho cari.
Non dei fratelli la consorte incolpo;
te solo incolpo, o padre, di aver misto
al loro sangue il nostro. Io non ti volli
disobbedire in ciò: ma, vedi or frutto
di tal viltà: possanza e onor sperasti
cor da tal nodo; e infamia e oltraggi e scherno
ne abbiam noi colto. Il cittadin ci abborre,
e a dritto il fa; siamo al tiranno affini:
non ci odian più, ci sprezzano i tiranni;
e il mertiam noi, che cittadin non fummo.
Guglielmo
Sprone ad eccelso oprar, non fren mi avresti,
in altra terra, o figlio. Or, quanto costi
al mio non basso cor premer lo sdegno,
e colorirlo d'amistà mendace,
tu per te stesso il pensa. È ver, ch'io scorsi
d'impaziente libertade i semi
fin dall'infanzia in te: talor, nol niego,
io men compiacqui; ma più spesso assai
piansi fra me, nel poi vederti un'alma
libera ed alta troppo. Indi mi parve,
che a rattemprare il tuo bollor, non poco
atta sarebbe la somma dolcezza
di Bianca: al fin padre tu fosti; e il sei,
come il son io pur troppo... Ah! così stato
nol fossi io mai! visto per lei mi avrebbe
la mia patria morire, o in un con essa.
Raimondo
E, dove l'esser padre esser fa servo,
farmi padre tu osavi?
Guglielmo
Era per anco
dubbio allora il servaggio...
Raimondo
Era men dubbia
la viltà nostra allora...
Guglielmo
È ver; sperai,
che tardo essendo ogni rimedio e vano
al comun danno omai, tu fra gli affetti
di marito e di padre, il viver queto...
Raimondo
Ma, se pur nato da null'altro io fossi,
marito qui securamente e padre,
uomo esser può? Non nacqui io certo a queste
vane insegne d'inutil magistrato,
che fan parer, chi l'ultim'è, primiero.
Oggi han perciò forse i tiranni impreso
di torle a me: tanto più vili insegne,
che a simulata libertà son manto.
Fu il vestirmele infamia; e infamia al pari
lo spogliarmele or fia: mira destino.
Guglielmo
Fama ne corre, anch'io l'udii; ma pure
nol credo io, no...
Raimondo
Perché nol credi? Oltraggi
non ci fero più gravi? I tolti averi
più non rammenti, e le mutate leggi,
sol per ferirne? Ingiuriati fummo
noi vie più sempre, da che a lor congiunti
noi vilmente ci femmo.
Guglielmo
Odimi, o figlio:
ed al bianco mio crine, ed alla lunga
esperienza or credi. Il giusto fiele,
che serbo forse anch'io nel cor profondo,
non lo sparger tu invano: ancor ben puossi
soffrire: e mai non credo abbianti a torre
donato onor, qual sia. ? Ma, se ogni meta
essi pur varcan, taci: all'opre è tolto
dalle minacce il loco. Alta vendetta,
d'alto silenzio è figlia. A te dan norma,
come odiar si debba, i blandi aspetti
de' tiranni con noi. Per ora, o figlio,
io soltanto a soffrir ti esorto e insegno...
Non sdegnerò, se poi fia d'uopo un giorno,
da te imparar, come ferir si debba.

SCENA II

RAIMONDO

Raimondo
... Non oso in lui fidarmi... A queste rive
torni Salviati pria. ? De' miei disegni
nulla il padre penètra: ei non sa, ch'oggi,
più che placargli, inacerbir mi giova
questi oppressori. ? Ahi padre! a me tu mastro
or del soffrir ti fai? Se' tu quel desso,
di cui non ebbe il difensor più ardente
la patria un dì? Quanto in servir fa dotto
la gelida vecchiezza! ? Ah! se null'altro,
che tremare, obbedir, soffrir, tacersi,
col più viver s'impara; acerba morte,
pria che apparar arte sì infame, io scelgo.

SCENA III

BIANCA, RAIMONDO

Bianca
Sposo, al fin ti ritrovo. Ah! con chi stai,
s'anco me sfuggi?
Raimondo
Io favellai qui a lungo
dianzi col padre: ma non ho pur quindi
tratto sollievo a' mali miei.
Bianca
Buon padre,
sovra ogni cosa, egli è: per sé non trema;
sol pe' suoi figli ei trema. In petto l'ira,
per noi, raffrena il generoso vecchio:
non creder, no, spento il valor, né doma
la sua fierezza in lui: ch'io tel ridica,
deh! soffri; egli è buon padre.
Raimondo
Oh! dirmi forse
vuoi tu, ch'io tal non sono? Il sai, se nulla
valse a frenar mio sdegno, ognor tuoi prieghi
valsero, o Bianca, a ciò; tuoi soli prieghi,
l'amor tuo casto, e il tuo materno pianto.
Dolce compagna io t'estimai, non suora
de' miei nemici... Ma, ti par fors'oggi,
ch'io tacer debba ancora? oggi, che tolta,
senza ragion, stammi per esser questa
mia popolare dignità? che in bando
irne dovrem da questo ostel, già sacro
di libertade pubblica ricetto?
Bianca
Possenti sono; a che inasprir co' detti
chi non risponde, ed opra? Assai può meglio,
che tue minacce, il tuo tacer placarli.
Raimondo
E placarli vogl'io?... ? Ma, nulla vale
a placargli oramai...
Bianca
Nulla? d'un sangue
non io con loro?...
Raimondo
Il so; duolmene; taci;
nol rimembrare.
Bianca
E che? men caro forse
mi fosti, o sei, perciò? Non sono io presta,
ove soffrir gl'imperi lor non vogli,
a seguirti dovunque? o, se l'altera
alma tua non disdegna aver di pace
stromento in me, son io per te men presta
a favellar, pianger, pregare, ed anco
a far, se il deggio, a' miei fratelli forza?
Raimondo
Per me pregare? e chi pregar? tiranni? ?
tu il pensi, o donna? e ch'io il consenta, speri?
Bianca
Possanza hai tu, ricchezze, armi, seguaci,
onde a lor far tu apertamente fronte?...
Raimondo
Pari a lor odio, in petto io l'odio nutro;
maggior d'assai l'ardire.
Bianca
Oimè! che parli?
tenteresti tu forse?... Ah! perder puoi
e padre, e moglie, e figli, e onore, e vita...
e che acquistar puoi tu? Lusinga in core
non accogliere omai: desio verace
di prisca intera libertà non entra
in questo popol vile: a me tu il credi.
Credi a me; nata, ed allevata io in grembo
di nascente tirannide, i sostegni
io ne so tutti. A mille a mille i servi
tu troverai, nel lor parlar feroci,
vili all'oprar, nulli al periglio; od atti
solo a tradirti. Io, snaturata e cruda
tanto non son, che i miei fratelli abborra;
ma gli ho men cari assai, da che li veggo
a te sì duri; e i lor superbi modi
spiaccionmi assai. Se alla funesta scelta
fra loro e te mi sforzi; a te son moglie,
per te son madre, oppresso sei; non posso,
né vacillar degg'io. Ma tu, per ora,
deh! non risolver nulla: a me la impresa
di farti almen, se lieto no, securo,
lasciala a me; ch'io 'l tenti almen. Io forse
appien non so, come a tiranno debba
di un cittadino favellar la sposa?
fors'io non so, fin dove alle non lievi
ragioni unir non bassi preghi io possa?
Son madre, e moglie, e suora; in chi ti affidi,
se in me non fidi?
Raimondo
Oh cielo! il parlar tuo
mi accora, o donna. Anch'io pace vorrei;
ma, con infamia, no. Che dir potresti
per me ai fratelli? ch'io non merto oltraggi?
Ben essi il san; quindi mi oltraggian essi:
ch'io non soffro le ingiurie? a che far noto
ciò che dal sol mio labro saper denno?
Bianca
Ah!... Se a loro tu parli,... oimè!...
Raimondo
Che temi?
Cangiarmi, è vero, io l'alma omai non posso;
ma so tacer, se il voglio. In mente ho sempre
te, Bianca amata, e i figli miei: s'io nacqui
impetuoso, intollerante, audace,
non perciò mai motto né cenno a caso
io fo: ti acqueta; anch'io vo' pace.
Bianca
Eppure
ti leggo in volto da fera tempesta
sbattuto il core... Ah! non vegg'io forieri
di pace in te.
Raimondo
Lieto non son; ma crudi
disegni in me non sospettare.
Bianca
Io tremo;
né so perché...
Raimondo
Perché tu m'ami.
Bianca
Oh cielo!
e di che amore!... A vera gloria il campo,
deh, concesso or ti fosse!... Ma, corrotta
età viviam: gloria è il servir; virtude,
l'amar se stesso. Or, che vuoi tu? cangiarci
uom sol non puote; e altr'uom che te, non conti.
Raimondo
Perciò mi rodo, e perciò... taccio.
Bianca
Or vieni;
volgiamo altrove il piede: in queste stanze
porre tal volta il seggio lor son usi
miei fratelli...
Raimondo
Il so: quest'è il recesso,
ove l'orecchio a menzognere lodi
s'apre, ed il core alla pietà si serra.
Bianca
Vieni or dunque; al velen, ch'ogni tua vena
infesto scorre, alcun dolce pur mesci.
Oggi abbracciati i nostri figli ancora
non hai. Deh! vieni: a te il diranno anch'essi
con gl'innocenti taciti lor baci,
meglio ch'io col parlar, che pur sei padre.
Raimondo
Deh, potessi così, com'io rammento
di padre il nome, oggi obbliar quel d'uomo! ?
Ma, andianne omai. ? Se a me sien cari i figli,
tu il vedrai poscia. ? Ah! tu non sai (deh, fia
che mai nol sappi!) a qual funesta stretta
traggano i figli un vero padre; e come,
il troppo amargli a perderli lo tragga.

ATTO II

SCENA I

GIULIANO, LORENZO

Lorenzo
Fratel, che giova? in me finor credesti:
a te par forse, che possanza in noi
scemi o per me? Tu di tener favelli
uomini a freno: e il son costor? se tali
fossero, di'; ciò che siam noi, saremmo?
Giuliano
Lorenzo, è ver, benigna stella splende
finor su noi. Fortuna al crescer nostro
ebbe gran parte; ma più assai degli avi
gli alti consigli. Cosmo ebbe lo stato,
ma sotto aspetto di privato il tenne.
Non è pur tanto ancor perfetto il giogo,
che noi tenerlo in principesco aspetto
possiam securi. Ai più, che son gli stolti,
di lor perduta libertà le vane
apparenze lasciamo. Il poter sommo
più si rafferma, quanto men lo mostri.
Lorenzo
Giunti all'apice ancor, Giulian, non siamo:
tempo è d'ardir, non di pesare. Acchiuse
già Cosmo in sé la patria tutta, e funne
gridato padre ad una. O nulla, o poco,
Pier nostro padre alla tessuta tela
aggiunse: avverso fato i pochi ed egri
suoi dì, che al padre ei sopravvisse, tosto
troncò: poco v'aggiunse, è ver; ma intanto
ei succedendo a Cosmo, e a Piero noi,
si ottenne assai nell'avvezzar gli sguardi
dei cittadini a ereditario dritto.
Dispersi poscia, affievoliti, o spenti
nemici ogni dì; sforzati, e avvezzi
ad obbedir gli amici; or, che omai tutto
di Cosmo a compier la magnanim'opra
c'invita, inciampo or ne faria viltade?
Giuliano
Saggi a fin trarla, il dobbiam noi; ma in vista
moderati ed umani. Ove dolcezza
basti al bisogno, lentamente dolci;
e all'uopo ancor, ma parcamente, crudi.
Fratello, il credi; ad estirpar que' semi
di libertà, che in cor d'ogni uomo ha posto
natura, oltre i molti anni, arte e maneggio
vuolsi adoprar, non poco: il sangue sparso
non gli estingue, li preme; e assai più feri
rigermoglian talor dal sangue...
Lorenzo
E il sangue
di costoro vogl'io? La scure in Roma
Silla adoprò; ma qui, la verga è troppo:
a far tremarli, della voce io basto.
Giuliano
Cieca fiducia! Or non sai tu, ch'uom servo
temer si dee più ch'altro? Inerme Silla
si fea, né spento era perciò; ma cinti
di satelliti e d'armi e di sospetto,
Caio, e Nerone, e Domiziano, e tanti
altri assoluti imperator di schiavi,
da lor svenati caddero vilmente. ?
Perché irritar chi già obbedisce? Ottieni
altrimenti il tuo fine. È ver, del tutto
liberi mai non fur costor; ma servi
neppur di un solo. ? Intorpidir dei pria
gli animi loro; il cor snervare affatto;
ogni dritto pensier svolger con arte;
spegner virtude (ove pur n'abbia), o farla
scherno alle genti; i men feroci averti
tra' famigliari; e i falsamente alteri
avvilire, onorandoli. Clemenza,
e patria, e gloria, e leggi, e cittadini
alto suonar; più d'ogni cosa, uguale
fingerti a' tuoi minori. ? Ecco i gran mezzi,
onde in ciascun si cangi a poco a poco
prima il pensar, poi gli usi, indi le leggi;
il modo poscia di chi regna; e in fine,
quel che riman solo a cangiarsi, il nome.
Lorenzo
Ciò tutto già felicemente in opra
posero gli avi nostri: alla catena
se anello manca, or denno esserne il fabro
dei cittadin le stolte gare istesse.
Apertamente, in somma, un sol si attenta
di resisterci, un solo; e temer dessi?
Giuliano
Feroce figlio di mal fido padre,
da temersi è Raimondo...
Lorenzo
Ambo si denno
schernire, e a ciò mi appresto: è dolce anch'ella
cotal vendetta...
Giuliano
E mal sicura.
Lorenzo
In mente,
tant'è, fermo ho così. Quel giovin fero
vo' tor di grado; e a suo piacer lasciarlo
spargere invan sediziosi detti:
così vedrassi, in che vil conto io 'l tenga.
Giuliano
Nemico offeso, e non ucciso? oh! quale,
qual di triplice ferro armato petto
può non tremarne? Ingiuriar debb'egli,
chi spegner puote? A intorbidar lo stato
perché così dargli tu stesso, incauto,
pretesti tanti? instigatore e capo
farlo così dei mal contenti? E sono
molti; più assai, che tu non pensi. Aperta
forza non han? credere il vo': ma il tergo
dal tradimento, or chi cel guarda? basta
a ciò il sospetto? a tor quiete ei basta,
non a dar sicurezza.
Lorenzo
Ardir cel guarda:
ardir, che ai forti è brando, e mente, e scudo.
Farei, tacendo, a nuove offese invito
al baldanzoso giovine rubello.
Ma ingiuriato, e, da chi 'l può, non spento,
fia ludibrio dei molti a chi il fai capo.

SCENA II

LORENZO, GIULIANO, GUGLIELMO, RAIMONDO

Guglielmo
Sieguimi, o figlio; e ch'io qui sol favelli
lascia, ten prego. ? O voi, (che ancor ben noto
non m'è qual nome vi si deggia e onore)
me già implacabil vostro aspro nemico,
or supplichevol voi mirate in atto.
Meglio, il so, meglio a mia cadente etade
liberi detti, e liberissime opre
si converriano, è ver; né le servili,
bench'io le adopri, piaccionmi. Ma solo
non son io del mio sangue; onde, è gran tempo,
alla fortuna vostra e a ria crudele
necessità soggiacqui. In voi me poscia,
la mia vita, il mio aver, l'onore, e i figli,
tutto affidai; né ad obbedir restìo,
più ch'altri fui. Ciò che si sparge or dunque,
creder nol posso; che a oltraggiar Raimondo,
e in lui me pur d'immeritato oltraggio,
voi vi apprestiate. Ma, se ciò fia vero,
chiederne lice a voi ragion pur anco?
Giuliano
Perché al tuo figlio pria ragion non chiedi
del suo parlar, dell'opre sue?...
Raimondo
Non niego
io di renderla a lui: né più graditi
testimoni poss'io mai de' miei sensi
trovar di voi...
Lorenzo
Son noti a me i tuoi sensi. ?
Ma, vo' insegnarti, che ad urtar coi forti
pari vuolsi all'invidia aver l'ardire;
e, non men pari all'alto ardir, la forza.
Di'; tal sei tu?
Guglielmo
Di nostra stirpe il capo
finora pur son io; né muover passo
fia chi s'attenti, ov'io nol muova. Io parlo
dell'opre. E che? giudici voi già forse
de' pensieri anco siete? o i vani detti
son capital delitto? oltre siam tanto? ?
Ma se tal dritto è in voi, perch'uomo impari
meglio a temer; che siete or voi? vel chieggo.
Raimondo
Che son essi? e tu il chiedi? In suon tremendo
tacitamente imperiosi e crudi
non tel dicon lor volti? ? Essi son tutto;
e nulla noi.
Giuliano
Siam delle sacre leggi
noi l'impavido scudo; a' rei tuoi pari
fuoco del ciel distruggitor siam noi;
sole ai buoni benefico ridente.
Lorenzo
Tali siam noi da te sprezzare in somma.
Già un voler nostro il gonfalon ti dava;
altro nostro voler, più giusto, il toglie.
D'immeritato onor per noi vestito,
dimmi, a qual dritto ei ti si diè, chiedesti?
Raimondo
Chi nol sapea? mel dava il timor vostro;
mel toglie il timor vostro: a voi regale
norma e Nume, il timore. A voi qual manca
pregio di re? voi l'arti crude, e i fieri
vizi, e i raggiri infami, e il public'odio,
tutto ne avete già. Le generose
vie degli avi calcate: a piene vele,
fin che l'aura è seconda, itene, o prodi.
Non che gli averi, a chi vi spiace tolta
sia la vita e l'onor: lo sparso sangue
dritto è sublime al principato, e solo.
Ardite omai: fatevi pari ai tanti
tiranni, ond'è la serva Italia infetta...
Guglielmo
Figlio, tu il modo eccedi. È ver, che lice,
finché costor di cittadini il nome
tratto non s'hanno, a ciascun uomo esporre
il suo pensier; ma noi...
Lorenzo
Tardi sei cauto:
di frenarlo, in mal punto ora ti avvisi.
Non ten doler; suoi detti, opra son tua.
Lascia or ch'ei dica: ognor sta in noi l'udirlo.
Giuliano
Giovine audace, or l'innasprir che giova
gli animi già non ben disposti? Il meglio
per te sarà, se tu spontaneo lasci
il gonfalon, che ad onta nostra invano
serbar vorresti; il vedi...
Raimondo
Io vil, d'oltraggi
degno farmi in tal guisa? Odi: queste arti,
per comandar, ponno adoprarsi forse;
ma per servir, non mai. S'io ceder debbo,
ceder voglio alla forza. Onor si acquista
anco tal volta in soggiacer, se a nulla
si cede pur, che all'assoluta e cruda
necessità. ? Mi piacque i sensi vostri
udito aver, come a voi detto i miei.
Or, nuovi mezzi a violenza nuova
vedere attendo, e sia che vuole: io 'l giuro;
esser vo' di tirannide crescente
vittima sì, ma non stromento io mai.

SCENA III

LORENZO, GIULIANO, GUGLIELMO

Lorenzo
Va'; se il figlio ti cal, seguilo: ai tempi
fa' ch'ei meglio si adatti; e a ciò gli giova
coll'esemplo tuo stesso. Al par di lui
tu pur ci abborri, e a noi cedesti, e cedi:
dotto il fa' del tuo senno. Io non pretendo
amor da voi; mal fingereste; e nulla
io 'l curo: odiate, ma obbedite; ed anco
obbedendo, tremate. Or vanne, e narra
a codesto tuo finto picciol Bruto,
che il vero Bruto invan con Roma ei cadde.
Guglielmo
Incauto è il figlio, il veggio. Eppur di padre
ognor con lui le sagge parti adopro;
soffrir gl'insegno; ei non l'impara. Antica
non è fra noi molto quest'arte ancora:
degno è di scusa il giovenil fallire;
si ammenderà. ? Ma tu, Giulian, che alquanto
sei di fortuna e di poter men ebro,
tu il fratello rattempra: e a lui pur narra,
che se un Bruto non fea riviver Roma,
pria di Roma e di Bruto altri pur cadde.

SCENA IV

LORENZO, GIULIANO

Giuliano
Odi tu come a noi favellan?...
Lorenzo
Odo.
Favellan molto, indi ognor men li temo.
Giuliano
Tramar può ognun...
Lorenzo
Pochi eseguir...
Giuliano
Quell'uno
esser potria Raimondo.
Lorenzo
Anzi, ch'ei sia
quell'uno, io spero. Io ne conosco appieno
l'ardir, le forze, i mezzi: ei tentar puote,
ma riuscir non mai: ch'altro chiegg'io?
Da lui ne aspetto ad inoltrarmi il cenno.
Ei tenti; oprerem noi. Poter ne accresce,
e largo ci apre alla vendetta il campo,
ogni ardir de' nemici. In tranquilla onda
poco innante si va: di nostra altezza
fia il periglio primier l'ultima meta.
Giuliano
Il voler tutto a un tempo, a un tempo spesso
fea perder tutto. Ogni periglio è dubbio;
né mai, chi ha regno, de' suoi schiavi in mente
lasciar cader pur dee, ch'altri il potrebbe
assalir mai. L'opinion del volgo
che il nostro petto invulnerabil crede,
il nostro petto invulnerabil rende.
Guai, se alla punta del ribelle acciaro
la via del core anco tralucer lasci;
giorno vien poscia, ove ei penètra, e strada
infino all'elsa fassi. Oggi, deh! credi,
fratello, a me; deh no, non porre a prova
né il poter nostro, né l'altrui vendetta.
A me ti arrendi.
Lorenzo
Alla ragion mi soglio
arrender sempre; e di provartel spero. ?
Ma lagrimosa a noi vien Bianca: oh quanto
mi è duro udir suoi pianti!... e udirgli è forza.

SCENA V

BIANCA, LORENZO, GIULIANO

Bianca
E fia vero, o fratelli? a me pur anco,
essere a me signori aspri vi piace,
pria che fratelli? Eppur, sì cara io v'era
già un dì; sorella ognor vi sono; e voi
a Raimondo mi deste: ed or voi primi
l'oltraggiate così?
Lorenzo
Nemica tanto,
Bianca, or sei tu del sangue tuo, che il dritto
più non discerni? Hai con Raimondo appreso
ad abborrirci tanto, che omai noto
il nostro cor più non ti sia? Null'altro
far vogliam noi, che prevenir gli effetti
del suo livore. Ad ovviar più danno,
benigni assai, più ch'ei nol merta, i mezzi
da noi si adopran; credilo.
Bianca
Fratelli,
cari a me siete; ed ei mi è caro: io tutto
per la pace farei. Ma, perché darmi
in moglie a lui, se v'era ei già nemico;
perché oltraggiarlo, se a lui poi mi deste?
Giuliano
Che alla baldanza sua freno saresti
sperammo noi...
Lorenzo
Ma invan: tale è Raimondo,
da potersi pria spegner che cangiarlo.
Bianca
Ma voi, que' modi onde si cangia un core
libero, invitto, usaste voi mai seco?
Se il non essere amati a voi pur duole,
chi vel contende, altri che voi?
Lorenzo
Deh! come
quel traditore ha in te trasfuso intero
il suo veleno! Egli da noi ribella
te nostra suora; or, se opreran suoi detti
in cor d'altrui, tu il pensa.
Bianca
A grado io forse
il regnar vostro avrei, se un uom vedessi
dalla feroce oppression di tutti
esente, un solo; e l'un, Raimondo fosse:
Raimondo, a cui d'indissolubil nodo
voi mi allacciaste; in cui già da molti anni
inseparabil vivo, e ingiurie mille
seco divido e soffro; a cui d'eterna
fede e d'amor (misera madre!) io diedi
cara pur troppo e numerosa prole: ?
Raimondo, a cui tutto a donar son presta.
Giuliano
Torgli il suo ufficio, altro non è che il torgli
di perder sé, più che di offender noi.
Anzi, tu prima indurlo ora dovresti
a rinunziarlo...
Bianca
Ah! ben mi avveggio or come
per vie diverse ad un sol fin si corra.
Vittima fui di vostre mire; io il mezzo
fui, non di pace, d'indugio a vendetta.
Oh! ben sapeste in un la possa e l'alma
assumer voi di re. Fra i pari vostri,
ogni vincol di sangue è tolto a giuoco...
Ahi lassa me, ch'or me n'avveggo io tardi!
Perché nol seppi (oimè!) pria d'esser madre?...
Ma in somma il sono; e sposa, e amante io sono...
Lorenzo
Biasmar non posso il tuo dolor;... ma udirlo
più non possiamo. ? Ove il dover ci appella,
fratello, andianne. ? E tu, che in cor tiranni
reputi noi, non ciò che a lui vien tolto,
mira ciò ch'ei, nulla mertando, or serba.

SCENA VI

BIANCA

Bianca
... Ecco i doni di principe; il non torre. ?
Presso a costor vano è il mio pianto: usbergo
han di adamante al core. Al piè si rieda
di Raimondo infelice: ei non si sdegna
almen del pianger mio. Chi sa? più lieve
forse da lui... Che forse? esser può dubbio?
Sagrificar pe' figli suoi se stesso
ogni padre vedrem, pria ch'un sol prence
sagrificar, non che di suora al pianto,
di tutti al pianto una sua scarsa voglia.

ATTO III

SCENA I

RAIMONDO, SALVIATI

Salviati
Eccomi: è questo il dì prefisso: io riedo;
e meco vien quant'io promisi. In armi
già d'Etruria al confin gente si appressa;
re Fernando l'assolda, il roman Sisto
la benedice; a più inoltrarsi, aspetta
da noi di sangue il cenno. Or dimmi, hai presta
fra queste mura ogni promessa cosa?
Raimondo
Presto il mio braccio è da gran tempo: ed altri
ne ho presti, assai: ma, chi ferir, né dove,
come, o quando, non san; né saper denno.
Manca a tant'opra il più: l'antico padre,
Guglielmo, quei che avvalorar l'impresa
sol può, la ignora: alla vendetta chiuso
tiene ei l'orecchio; e ancor parlar l'udresti
di sofferenza. Il mio pensier gli è noto;
che mal lo ascondo; altro ei non sa: non volli
della congiura a lui rivelar nulla,
se tu pria non giungevi.
Salviati
Oh! che mi narri?
nulla Guglielmo sa? Ciò ch'ei pur debbe
compiere al nuovo sol, ti par ch'ei l'abbia
ad ignorare, al sol cadente?
Raimondo
E pensi,
che un tanto arcano avventurar si deggia?
che ad uom, (nato feroce, è ver) ma fatto
debol per gli anni, ad accordar pur s'abbia
una notte ai pensieri? Oltre a poche ore
bollor non dura entro alle vuote vene;
tosto riede prudenza; indi incertezza,
e lo indugiare, e il vacillare, e il trarre
gli altri in temenza; e fra i timori e i dubbi
l'impresa, il tempo si consuma, e l'ira,
per poi restar con ria vergogna oppressi.
Salviati
Ma che? non odia ei pur l'orribil giogo?
non entra a parte dei comuni oltraggi?...
Raimondo
Egli odia assai, ma assai più teme; indi erra
infra sdegno e temenza incerto sempre.
Or l'ira ei preme, e miglior sorte ei prega,
e attende, e spera; or, da funesto lampo
all'alma sua smarrita il ver traluce,
e il fero incarco de' suoi lacci ei sente;
ma scuoterlo non osa. Assai pur mosso
l'ebbe or dianzi l'oltraggio ultimo, ch'io
volli a ogni costo procacciarmi. Ottenga
altri l'inutil gonfalon, che tolto
a me vien oggi. A mel ritorre, io stesso,
con molti oltraggi replicati, ho spinto
i tiranni. Suonarne alte querele
pur fea; dolor della cercata offesa
grave fingendo. ? Or, tempi, e luoghi mira,
ove a virtù mescer lo inganno è forza! ?
Già, con quest'arti, al mio volere alquanto
piegai tacitamente il cor del padre.
Tu giungi al fin: tu il pontificio sdegno,
del re la possa, e i concertati mezzi,
tutto esporrai. Qui lo aspettiam; ch'io soglio
qui favellargli.
Salviati
E dei tiranni stanza
anco talvolta non è questa?
Raimondo
Omai
starvi securo puoi: già pria di terza
han mal compiuto qui lor pubblic'opra.
Del dì l'avanzo, essi in bagordi e in sozza
gioia il trarran, mentre piangiam noi volgo.
Perciò venire io qui ti feci; e il padre
pur v'invitai. Stupore avrà da pria
nel vederti: l'ardir, la rabbia poscia,
e l'immutabil fero alto proposto,
o di dar morte o di morir, ch'è in noi;
io ciò tutto dirogli: a me si aspetta
d'infiammarlo. Ma intanto, egli oda a un punto,
che può farsi, e che fatta è la congiura.
Salviati
Ben ti avvisi: più t'odo, e più ti stimo
degno stromento a libertà. Tu nato
sei difensor, come oppressor son essi.
Fia di gran peso a indur Guglielmo il sacro
voler di Roma: in cor senil possenti
que' pensier primi, che col latte ei bevve,
son vie più sempre. Ognor dagli avi nostri
Roma creduta, a suo piacer nefande
nomò le imprese a lei dannose; e sante,
quai che si fosser, l'utili. Ci giovi,
se saggi siam, l'antico error: poich'oggi,
non com'ei suole, il successor di Piero
dei tiranni è nemico, oggi ne vaglia,
pria d'ogni altr'arme, il successor di Piero.
Raimondo
Duolmi, e il dico a te sol; non poco duolmi,
mezzo usar vile a generosa impresa:
la via sgombrar di libertà, col nome
di Roma, or stanza del più rio servaggio:
eppur, colpa non mia, de' tempi colpa!
Duolmi altresì, che alla comun vendetta
far velo io deggio di private offese.
Di basso sdegno il volgo crederammi
acceso; ed anco, invidioso forse
del poter dei tiranni. ? O ciel, tu il sai...
Salviati
Nulla il braccio ti arresti; in breve poscia
dalle nostr'opre tratto fia d'inganno
il volgo stolto.
Raimondo
Ah! mi spaventa, ed empie
di fera doglia or l'avvenire! Al giogo
han fatto il callo: il natural lor dritto
posto in oblio, non san d'esser fra ceppi;
non che bramar di uscirne. Ai servi pare
da natura il servir; più forza è d'uopo,
più che a stringergli, a sciorli.
Salviati
Indi più degna
fia l'impresa di te. Liberi spirti
tornare in Grecia a libertade, o in Roma,
laudevol era, e non difficil opra:
ma vili morti schiavi, a vita a un tempo
e a libertà tornar, ben fia codesto,
ben altro ardire.
Raimondo
È vero: anco il tentarlo,
fama promette. Ah! così fossi io certo,
come del braccio e del cor mio, del core
de' cittadini miei! ma, il sol tiranno
s'odia, e non la tirannide, dai servi.

SCENA II

GUGLIELMO, SALVIATI, RAIMONDO

Guglielmo
Tu qui, Salviati? Io ti credea sul Tebro
tuttor mercando onori.
Salviati
Al suol natìo
cura maggior mi torna.
Guglielmo
E tu mal giungi
in suol, cui meglio è l'obliar. Qual folle
pensiero a noi ti guida? In salvo, lunge
dai tiranni ti stavi, e al carcer torni?
Or, qual estranea mai lontana terra
(e selvaggia ed inospita pur sia)
increscer puote, a chi la propria vede
schiava di crude ed assolute voglie?
Ti sia esemplo il mio figlio, se omai dessi
da medìcei signori attender altro,
che oltraggi e scorni. Invano, invan ti veste
Roma del sacro ministero: il solo
lor supremo volere è omai qui sacro.
Raimondo
Padre, e il sai tu, s'egli or qui venga armato
di sofferenza, o di men vile usbergo?
Salviati
Vengo di fera e d'implacabil ira
aspro ministro: apportator di certa
vendetta intera, ancor che tarda, io vengo.
Dall'infame letargo, in cui sepolti
tutti giacete, o neghittosi schiavi,
spero destarvi, or che con me, col mio
furor, di Sisto il furor santo io reco.
Guglielmo
Arme inutile appieno: in noi non manca
il furor no; forza ne manca; e forza
or ci abbisogna, o sofferenza.
Salviati
E forza
or abbiam noi, quanta più mai se n'ebbe.
Io parole non reco. ? Odi, che esporti
mi tocca in brevi e forti detti il tutto.
V'ha chi m'impon di ritornarti in mente,
ove tu possa rimembrarla ancora,
la tua prisca fierezza e i tempi antichi:
ove no; mi fia d'uopo addurti innanzi
l'altrui presente e in un la tua viltade.
S'entro alle vene tue sangue hai che basti
contr'essa, da noi lungi or non son l'armi:
già d'Etruria alle porte ondeggia al vento
roman vessillo; e, assai più saldo aiuto,
di Ferdinando la regal bandiera,
cui le migliaia di affilati brandi
sieguon di pugna impazienti, e presti
a imprender tutto a un lieve sol tuo cenno.
Ormai sta in te degli oppressor la vita,
il tuo onor, quel del figlio, e di noi tutti
la libertà. Ciò che ottener dal brando,
ciò che viltà toglier ti puote; i dubbi,
le speranze, i timori, e l'onte, e i danni,
tutto ben libra; e al fin risolvi.
Guglielmo
Oh! quali
cose a me narri? Or fé poss'io prestarti?
Chi tanto ottenne a nostro pro? Finora
larghi soltanto di promesse vuote,
lenti amici ne fur Fernando e Sisto:
or chi li muove? chi?...
Raimondo
Tu il chiedi? Hai posto
dunque in oblio tu già, che al Tebro, e al lito
di Partenope fui? ch'io v'ebbi stanza
ben sette lune, e sette? Ove poss'io
portare il piè, che sdegno e rabbia sempre
meco non venga? Infra qual gente io trarre
posso i miei dì, ch'io non le infonda in petto
l'ira mia tutta; e in un di me, de' miei
non le inspiri pietade? Omai, chi sordo
resta ai lamenti miei? ? Per onta nostra,
tu sol rimani, o padre; ove dovresti
più d'ogni altro sentir s'ei pesa il giogo:
tu, che a me padre, al par di me nimico
sei de' tiranni; e da lor vilipeso
più assai di me: tu cittadin fra' buoni
ottimo già; per lo tuo troppo e stolto
soffrire, omai tu pessimo fra' rei.
Col tuo vile rifiuto, a noi perenni
fa' i ceppi, e a te l'infamia; ognun ci scorga
ben di servir, ma non di viver, degni.
Finché non sia più tempo, aspetta tempo:
quei crin canuti a nuove ingiurie serba;
e di falsa pietà per me, ch'io abborro,
la obbrobriosa tua temenza adombra.
Guglielmo
... Figlio mio; tal ben sei: di te non meno
fervido d'ira e giovinezza, io pure
così tuonai; ma passò tempo; ed ora
non io son vil, né tu che il dici, il credi;
ma, più non opro a caso.
Raimondo
Ogni tuo giorno
tu vivi a caso; e tu non opri a caso?
Che sei? che siamo? Ogni più dubbia spene
di vendetta, non fia cosa più certa,
che il dubbio stato irrequieto, in cui
viviam tremanti?
Guglielmo
Il sai, per me non tremo...
Raimondo
Per me, vuoi dir? d'ogni paterna cura
per me ti assolvo. Or cittadini entrambi,
null'altro siamo: e a me più a perder resta,
più assai che a te. Di mia giornata appena
giungo al meriggio, e tu se' giunto a sera:
hai figli, ed io son padre; e numerosa
prole ho pur troppo, e in quella etade appunto
atta a nulla per sé, fuorché a pietate
destar nel core. Altri, ben altri or sono,
che i tuoi legami, i miei. Dolce consorte,
parte di me miglior, sempre piangente
trovomi al fianco: a me più figli intorno
piangon, veggendo lagrimar la madre,
e il lor destin non sanno. Il pianger loro
il cor mi squarcia; e piango anch'io di furto... ?
Ma, d'ogni dolce affetto il cor mi sgombra
tosto il pensar, che disconviensi a schiavo
l'amar cose non sue. Non mia la sposa,
non mia la prole, infin che l'aure io lascio
spirar di vita a qual ch'ei sia tiranno.
Legame altro per me non resta al mondo,
tranne il solenne inesorabil giuro,
di estirpar la tirannide, e i tiranni.
Guglielmo
Due, ne torrai: mancan tiranni a schiavi?
Raimondo
Manca ai liberi il ferro? Insorgan mille,
mille cadranno; od io cadrò.
Guglielmo
Tuo forte
volere al mio fa forza. Io, non indegno
d'esserti padre, affiderei non poco
nel tuo nobile sdegno, ove di nostre,
non d'armi altrui ti avvalorassi. Io veggio
non per noi, no, Roma e Fernando armarsi;
ma de' Medici a danno. In queste mura
li porrem noi; ma, e chi cacciarli poscia
di qui potrà? Di libertà non parmi
nunzia, d'un re la mercenaria gente.
Salviati
Io ti rispondo a ciò. Del re la fede,
né di Roma la fede, io non ti adduco:
darla e sciorla a vicenda, è di chi regna
solito ufficio. Il lor comun sospetto,
lor reciproca invidia, e ciò che suolsi
ragion nomar di stato, oggi ti affidi.
Signoreggiar ben ne vorriano entrambi;
ma l'uno all'altro il vieta. In lor non entra
pietà di noi; né ciò diss'io: ma lunga
esperienza, ad onta nostra, dotti
li fea, che il vario popolar governo,
e l'indiscreto parteggiar, ci fanno
più fiacchi e lenti e inefficaci all'opre.
Teme ciascun di lor, che insorga un solo
tosco signor sulle rovine tosche,
che all'un di loro a contrastar poi basti,
s'ei fassi all'altro amico. Eccoti sciolto
il regio intrico: in lor vantaggio, amici
si fan di noi. S'altro motor v'avesse,
dirti oserei giammai, che in re ti affidi?
Raimondo
E s'altro fosse, al mio furor che in petto
serrai tanti anni, or credi tu, ch'io il freno
allenterei sconsideratamente?
Infiammate parole a te pur dianzi
non mossi a caso; e a caso non mi udisti
vie più inasprir co' miei pungenti detti
contro di me i tiranni. A lungo io tacqui;
fin che giovò; ma l'imprudente altero
mio dir, che loro a ingiuriarmi ha spinto,
prudenza ell'era. Ai vili miei conservi
addotto invan comuni offese avrei;
sol le private, infra corrotti schiavi,
dritto all'offender danno. A mia vendetta
compagni io trovo, se di me sol parlo;
se della patria parlo, un sol non trovo:
quindi, (ahi silenzio obbrobrioso e duro,
ma necessario pure!) io non mi attento
nomarla mai. Ma, a te, che non sei volgo,
poss'io tacerla? Ah! no. ? Metà dell'opra
sta in trucidare i due tiranni: incerta,
e maggior l'altra, nel rifar possente,
libera, intera, e di virtù capace
la oppressa città nostra. Or, ti par questa
alta congiura? Io ne son capo, io solo;
n'è parte ei solo; e tu, se il vuoi. Gran mezzi
abbiam, tu il vedi; e ancor più ardir che mezzi:
sublime il fin, degno è di noi. Tu, padre,
di cotant'opra or tu minor saresti?
Dammi, dammi il tuo assenso; altro non manca.
Già in alto stan gli ignudi ferri: accenna,
accenna sol: già nei devoti petti
piombar li vedi, e a libertà dar via.
Guglielmo
... Grande hai l'animo tu. ? Nobil vergogna,
maraviglia, furor, vendetta, speme,
tutto hai ridesto in me. Canuto senno,
viril virtude, giovenil bollore
e che non hai? Tu a me maestro, e duce,
e Nume or sei. ? L'onor di tanta impresa
tutto fia tuo; con te divider soli
ne vo' i perigli. A compierla non manca,
che il mio nome, tu di'? tu il nome mio
spendi a tua posta omai: disponi, eleggi,
togli chi vuoi dai congiurati. Un ferro
serba al padre, e non più: qual posto io deggia
tener, qual ferir colpo, il tutto poscia
m'insegnerai, quando fia presto il tutto.
In te, nell'ira tua dotta mi affido.
Raimondo
Ma, il punto,... assai, più che nol credi,... è presso.
Già tu pensier non cangi?
Guglielmo
A te son padre:
il cangi tu?
Raimondo
Dunque il tuo stile arruota,
che al nuovo dì... Ma chi mai viene? Oh! Bianca!
Sfuggiamla, amico. A ordir l'ultime fila
della gran tela andiamo. A te fra poco,
io riedo, padre, e il tutto allor saprai.

SCENA III

GUGLIELMO, BIANCA

Bianca
Raimondo io cerco; ed ei mi sfugge? O padre,
dimmi, e perché? con chi sen va? ? Che veggio?
tu fuor di te sei quasi? Or, qual t'ingombra
alto pensiero? oimè! parla: sovrasta
sventura forse?... A qual di noi?...
Guglielmo
Se angoscia
grave mi siede sul pallido volto,
qual maraviglia? io tremo, e n'ho l'aspetto:
e chi non trema? Il mio squallore istesso,
se intorno miri, in ciascun volto è pinto.
Bianca
Ma, di tremar qual cagion nuova?
Guglielmo
O figlia,
nuova non è.
Bianca
Ma imperturbabil sempre
io finora ti vidi: or temi? e il dici?...
E il tuo figliuol, che impetuoso turbo
di violenti discordanti affetti
era finor, sembianza or d'uom tranquillo
vestir gli veggio? Ei mi movea parole
poc'anzi, tutte pace: ei, per natura,
d'ogni indugiar nemico, egli dal tempo
dice aspettar sollievo: ed or mi sfugge
con uno ignoto? e tu, commosso resti?...
Ah! sì; pur troppo havvi un arcano:... e il celi,
a me tu il celi? Il padre mio, lo sposo
mi deludono a prova? Il ciel, deh! voglia...
Guglielmo
Dal pianto or cessa, e dai sospetti: è vano,
ch'io, paventando, a non temer ti esorti.
Temi, ma non di noi. ? Ben disse il figlio,
che sol recarne può sollievo il tempo.
Torna ai figli frattanto: a noi più grata
cosa non fai, che il custodir tuoi figli,
e ben amargli, e alla virtù nutrirli. ?
Util consiglio, se da me nol sdegni,
fia, che tu sempre alto silenzio serbi,
ove il parlar non giovi... O Bianca, avrai
tu il cor così di tutti noi: dei crudi
fratelli, a un tempo, schiverai tu l'ira.

ATTO IV

SCENA I

GIULIANO, un uomo d'arme

Giuliano
Olà; qui tosto a me Guglielmo adduci. ?

SCENA II

GIULIANO

Giuliano
Riede all'Arno Salviati? Or, perché muove
costui di Roma? e in queste soglie il piede
come osa porre? Egli in non cale or dunque
tiene il nostr'odio, e il poter nostro, e noi? ?
Ma pur, s'ei torna, in lui l'audacia nasce
certo da forza;... e da accattata forza. ?
Or sì, che ogni arte al prevenir fia d'uopo
ciò, ch'emendare invan vorriasi. In prima
Guglielmo udiam, s'ei, per età men forte,
coglier di detti lusinghieri all'esca
da me potrassi. Or, che si aggiunge ad essi,
apportator della romana fraude,
Salviati, or vuolsi invigilare; or larghe
parole dar, mezzi acquistando e tempo.

SCENA III

GUGLIELMO, GIULIANO

Giuliano
Guglielmo, o tu, che esperienza, ed anni,
e senno hai più che altr'uom; tu, che i presenti
dritti, e i passati, della patria nostra
conosci, intendi, e scerni; or deh! mi ascolta. ?
Già, per poter ch'io m'abbia, io non son cieco,
né dato a iniqua oblivione ho il nome
di cittadino: io so, quanto sien brevi,
e dubbi i doni della instabil sorte:
so...
Guglielmo
Qual tu sii, chi 'l sa? Vero è, ti mostri
più mite assai, che il fratel tuo; ma tanto
del volgo schiavo è il giudicar corrotto,
ch'ei men non t'odia, ancor ch'ei men ti tema.
Forse a popol ben servo è assai più a grado
chi lo sforza a obbedir, che chi nel prega.
Giuliano
Cauto non è, quale il vorrei, Lorenzo;
ma, né quanto sel tien, Raimondo è invitto:
parliam, più umani, noi. ? Tu sai, che istrutto
il cittadin dalla licenza antica,
e sbigottito, in nostra man depose
di libertà il soverchio; onde poi fosse
la miglior parte eternamente intatta...
Guglielmo
Quai tessi ad arte parolette accorte,
di senso vuote? Ha servitù il suo nome.
Chiama il servir, servaggio.
Giuliano
E la licenza,
tu libertade appella: io qui non venni
a disputar tai cose...
Guglielmo
È ver, che sempre
mal sen contende in detti.
Giuliano
Odimi or dunque,
pria che co' fatti io il mostri. Alta ira bolle
nel tuo Raimondo: assai Lorenzo è caldo
di giovinezza e di possanza: uscirne
di te, del figlio, e di tua stirpe intera
può la rovina: ma può uscirne ancora,
a tradimento, la rovina nostra.
Non di Lorenzo, qual fratello, io parlo;
né tu, qual padre, del figliuol favella:
siam cittadini, e tu il migliore. Or dimmi;
forte adoprarci in risparmiar tumulti,
scandali, e sangue, or nol dobbiamo a prova?
Tu tanto or più, che in vie maggior periglio
ti stai? ? Tu, ch'osi nominar servaggio
il serbar leggi, il vedi; infra novelli
torbidi, a voi si puote accrescer carco
più che scemarsi, assai. Padre ad un tempo
e cittadin sii tu: piega il tuo figlio
alquanto; e sol, che a noi minor si dica,
ne fia pago Lorenzo. Ogni alto danno
con un tuo detto antivenir t'è dato.
Guglielmo
Chi può piegar Raimondo? e degg'io farlo,
s'anco il potessi?
Giuliano
Or via, tu stesso dimmi:
se ti trovassi in seggio, e il poter tuo
tolto a scherno da noi, com'egli ha il nostro,
vedessi tu; che allor di noi faresti?
Guglielmo
Io stimerei di tanto altrui pur sempre
far maggior scherno in occupar lo stato,
che ogni scherno a me fatto avrei per lieve.
Di libertà qual minor parte puossi
lasciar, che il dire, a chi del far vien tolta?
Ogni uom parlare a senno suo potrebbe,
s'io fossi in voi; ma oprar, soltanto al mio.
Da temersi è chi tace: al sir non nuoce
dischiuso tosco. ? Io schietto ora ti parlo:
d'audace impresa il mio figliuol non stimo
capace mai: così il foss'ei! vilmente
me non udreste or favellar; né visto
tremar mi avreste, ed obbedire. ? Incontro
a nemici, quai siamo, (è ver pur troppo!)
arme bastante è il ben usato sprezzo. ?
Ecco, ch'io non tiranno, assai ben, parmi,
di tirannide a te l'arti, le leggi
prescrivo, e l'opre, e la ragion sublime.
Giuliano
Che vuoi tu dirmi? e nol conosco io forse
al par di te, questo tuo figlio?
Guglielmo
E il temi?
Giuliano
Temuto, io temo. ? Il simular fia vano.
Fra noi si taccia ogni fallace nome;
non patria omai, non libertà, non leggi:
dal solo amor di sé, dall'util certo,
dalla temenza dei futuri danni,
più vera prenda ognun di noi sua norma.
Lorenzo in sé tutti rinserra i pregi,
onde stato novel si accresce e tiene,
men l'indugio, e il timore: a me natura
diede altra tempra; e ciò che manca in lui,
in me soverchio è forse: ma, tremante
non stai tu più di me? non veggo io sculta
la tua temenza in tuoi più menomi atti?
So, che non è più saldo in onda scoglio,
di quel che sieno in lor proposto immoti
e Lorenzo e Raimondo: han pari l'alma;
la forza no: ma pari è il temer nostro.
Qual io mi adopro or col fratel, ti adopra
col figlio tu: forse vedremo ancora
altri tempi. Pochi anni hai tu di vita;
ma questa (il sai) benché affannosa, e grave,
pur viver brami; e sopportata l'hai...
Vuoi tu serbarla? di'.
Guglielmo
Timor di padre,
e timor di tiranno in lance porre,
altri nol puote che un tiranno e padre.
Il mio timore, io il sento; il tuo, tu solo
sentirlo puoi. ? Ma, vinca oggi il paterno,
che più scusabil è. Per quanto io valga,
mi adoprerò, perché spontaneo esiglio
scelga Raimondo; e fia il miglior; che in queste
mura abborrite a nuovi oltraggi io 'l veggo,
non a vendetta, rimaner; pur troppo!

SCENA IV

LORENZO, GIULIANO, GUGLIELMO

Lorenzo
Giulian, che fai? Spendi in parole il tempo,
quando altri in opre?...
Giuliano
Alla evidente forza
del mio parlare omai costui si arrende:
duolti la pace, anzi che ferma io l'abbia?
Lorenzo
Che pace omai? D'ogni discordia il seme,
d'ogni raggiro il rio motor, Salviati
giunge...
Giuliano
Il so; ma frattanto...
Lorenzo
E sai, che muove
ver noi dall'austro armata gente? in vero
non belligera gente; a cui mostrarci
noi dovrem pure, e sol mostrarci. Al primo
folgoreggiar de' nostri scudi, sciolta
fia lor nebbia palustre. Ardir qual altro
può Roma aver, fuor che l'altrui temenza?
Guglielmo
Signor, ma che? può insospettirti il solo
ripatriar di un cittadino inerme,
ch'or dal Tebro ritorna? e a danno vostro
or si armerebbe Roma, che sì rado
l'armi, e sì mal, solo a difesa, impugna?
Lorenzo
La schiatta infida dei roman pastori
fea tremar più d'un prode. Il tosco, il ferro
celan fra gigli e rose. È ver, che nulla
fia il ferro lor, se antiveduto viene. ?
Voi, di Roma satelliti, qui lascio:
tramate voi, finch'io ritorni. Andiamo,
fratello, andiam: ripiglierem noi poscia
con costoro a trattar; ma pria dispersi,
o presi, od arsi, o nel vil fango avvolti
cadan per noi que' pavidi vessilli,
che all'aura spiegan le mentite chiavi.
Pria dobbiam noi crollare alquanto il tronco
putrido annoso, a cui si appoggia fraude;
poiché del tutto svellerlo si aspetta
a più rimota etade. ? Andiam. ? Di gioia
mi balza il cor nell'impugnarti, o brando,
contro aperto nemico. A me sol duole,
che, se a fuggiasca gente il tergo sdegni
ferir, di sangue or tornerai digiuno.

SCENA V

GUGLIELMO

Guglielmo
D'alti sensi è costui; non degno quasi
d'esser tiranno. Ei regnerà, se ai nostri
colpi non cade; ei regnerà. ? Ma regna,
regna a tua posta; al rio fratel simìle
tosto sarai: timido, astuto, crudo:
quale in somma esser debbe, ed è, chi regna. ?
Or, già si annotta; e a me non torna il figlio;
né Salviati. ? Ma, come udia Lorenzo
delle romane ancor non mosse schiere?
Non lieve al certo è la tramata impresa;
e dubbia è assai: ma pur, l'odio e la rabbia
e il senno in un del mio figliuol mi affida.
Di lui si cerchi... Eccolo appunto.

SCENA VI

RAIMONDO, SALVIATI, GUGLIELMO

Guglielmo
Oh! dimmi,
a che ne siamo?
Raimondo
Al compier, quasi.
Salviati
A noi
arride il ciel: mai non sperava io tanto.
Guglielmo
Presto, più ch'io non l'era, e a più vendetta,
voi mi trovate. Udite ardir: qui meco
finor Giuliano a patteggiar togliea
dell'onta nostra; e vi si aggiunse poscia
fero Lorenzo, e minaccioso. Io diedi
parole, or dubbie, or risentite, or finte;
le più, ravvolte entro a servile scorza,
grata ai tiranni tanto: ogni delitto
stiman minor del non temerli. In essi
di me sospetto generar non volli;
pien di timor mi credono. ? Ma, dimmi;
come già in parte or traspirò l'arcano
dell'armi estrane? È ver, che a scherno mostra
Lorenzo averle, e inefficace frutto
par riputarle dei maneggi nostri.
Tal securtà ne giova; e benché accenni
Giulian ch'ei teme anco i privati sdegni,
già non cred'ei certa e vicina, e tanta
la vendetta, quant'è. Ditemi, certa
fia dunque appien? qual feritor, qual'armi,
quai mezzi, dove, quando?...
Raimondo
Odine il tutto.
Ma frattanto, stupore a te non rechi
ciò che or Lorenzo sa. Noi primi, ad arte,
per divertir lor forze, il grido demmo
che il nemico venìa. Ma in armi Roma
suona or nel volgo sola: «A trarre i Toschi
dal servaggio novel, manda il buon Sisto
poca sua gente». ? Ecco la voce, ond'io
sperai, che scarsa, ma palese forza
tiranni aspettando, ogni pensiero
rivolgerian contr'essa; e ben mi apposi.
Al nuovo dì corre Lorenzo al campo;
ma, sorgerà pur troppo a lui quel sole,
ch'esser gli debbe estremo. Entrambi spenti
fian domani. All'impresa io pochi ho scelti,
ma d'ira alti e di core. Alberto, Anselmo,
Napoleon, Bandìni, e il figliuol tuo.
Rinato vil, di nostra stirpe ad onta,
d'esser niegommi del bel numer uno.
Guglielmo
Codardo! E s'egli or ci tradisse?
Raimondo
Oh, fosse
pur ei da tanto! ma, di vizi scevro,
virtù non ha: più non sen parli. ? Anselmo
preste a ogni cenno tien sue genti d'arme;
ma il perché, nol sann'essi: a un punto vuolsi
da noi ferire, ed occupar da lui
il maggior foro, ed il palagio, e quante
vie là fan capo; indi appellar la plebe
a libertà: noi giungeremo intanto...
Guglielmo
Ma, in un sol loco, e ad una morte trarli,
pensastel voi? Guai se l'un colpo all'altro
tardo succede, anco d'un punto.
Raimondo
All'alba,
pria che di queste mura escano in campo,
al tempio entrambi ad implorare aiuto
all'armi lor tiranniche ne andranno:
là fien morti.
Guglielmo
Che ascolto? Oimè! nel sacro?...
Salviati
Nel tempio, sì. Qual più gradita al cielo
vittima offrir, che il rio tiranno estinto?
Primo ei forse non è, che a scherno iniquo
l'uom, le leggi, e natura, e Iddio si prende?
Guglielmo
Vero parli; ma pur,... di umano sangue
contaminar gli altari...
Salviati
Umano sangue
quel de' tiranni? Essi di sangue umano
si pascon, essi. E a cotai mostri asilo
santo v'avrà? l'iniquità secura
starsi, ove ha seggio la giustizia eterna?
Non io l'acciaro tratterrei, se avvinti
fosser del Nume al simulacro entrambi.
Guglielmo
Noi scellerati irriverenti mostri,
ad alta voce griderà la plebe,
che ciò mira d'altr'occhio. O torne il frutto,
o rovinar l'impresa or può quest'una
universale opinion...
Raimondo
Quest'una
giovarne può: non è soverchio il tempo:
o doman gli uccidiamo, o non più mai.
Ciò che rileva, è lo accertare i colpi;
né loco v'ha più ad accertargli adatto. ?
Del popol pensi? ei dalle nuove cose
stupor, più ch'ira, tragge. Ordine demmo,
che al punto stesso, in cui trarremo il ferro,
di Roma eccheggi entro il gran tempio il nome. ?
Guglielmo
Può molto, è ver, fra noi di Roma il nome.
Ma, qual di voi l'onor del ferir primo
ottiene? a me qual si riserba incarco?
Impeto, sdegno, ardir, non bastan soli;
anzi, può assai, la voglia ardente troppo,
nuocere a ciò. ? Freddo valor feroce,
man pronta e ferma, imperturbabil volto,
tacito labbro, e cor nel sangue avvezzo;
tale esser vuolsi a trucidar tiranni. ?
Inopportuno un moto, un cenno, un guardo,
anco un pensier, può torre al sir fidanza,
tempo all'impresa, e al feritor coraggio.
Raimondo
I primi colpi abbiam noi scelto: il mio
fia il primo primo: a disbramar lor sete
men forti verran co' ferri poscia,
tosto che a terra nel sangue stramazzino,
pregando vita, i codardi tiranni.
Padre, udito il segnal, se in armi corri
dove fia Anselmo, gioverai non poco,
più che nel tempio assai; da cui scagliarci
fuori vogliam, vibrato il colpo appena.
Duolmi, ch'io solo a un tempo trucidarli
ambi non posso. ? Oh! che dicesti, o padre?
man pronta e ferma? Il ferro pria verranne
manco doman, che a me la destra e il core.
Guglielmo
Teco a gara ferir, che non poss'io?
Vero è, pur troppo, che per molta etade
potria tremulo il braccio, il non tremante
mio cor smentire. ? A dileguar mie' dubbi
raggio del ciel mi sei: ben tu pensasti,
ben provvedesti a tutto; e invano io parlo.
Piacemi assai, che a voi soltanto abbiate
fidato i primi colpi. Oh quanta io porto
invidia a voi! ? Sol dubitai, che in queste
vittime impure insanguinar tua destra
sacerdotal tu negheresti...
Salviati
Oh quanto
mal mi conosci! Ecco il mio stile; il vedi?
sacro è non men, che la mia man che il tratta:
mel diè il gran Sisto, e il benedisse pria. ?
La mano stessa il pastorale e il brando
strinse più volte: e, ad annullar tiranni
o popoli empi, ai sacerdoti santi
il gran Dio degli eserciti la destra
terribil sempre, e non fallevol mai,
armava ei stesso. Appenderassi in voto
questa, ch'io stringo, arme omicida e santa
a questi altari un dì. Furor m'incende,
più assai che umano: e, ancor ch'io nuovo al sangue
il braccio arrechi, oggi dal ciel fia scorto
dentro al cor empio, che a trafigger scelsi.
Guglielmo
E scelto hai tu?...
Salviati
Lorenzo.
Guglielmo
Il più feroce?
Raimondo
Io 'l volli in ciò pur compiacer, bench'io
prescelto avrei d'uccidere il più forte.
Ma pur pensai, che al certo il vil Giuliano
di ascosa maglia il suo timor vestiva;
onde accettai, come più scabra impresa,
io di svenarlo. Avrai Lorenzo; avrommi
io 'l reo Giulian: già il tengo: entro quel petto,
nido di fraude e tradimento, il ferro
già tutto ascondo. ? A sguainar fia cenno,
ed al ferire, il sacro punto, in cui,
tratto dal ciel misteriosamente
dai susurrati carmi, il figliuol Dio
fra le sacerdotali dita scende. ?
Or, tutto sai: del sacro bronzo al primo
squillo uscirai repente; e allora pensa
ch'ella è perfetta, o che fallita è l'opra.
Guglielmo
Tutto farò. ? Sciogliamci; omai n'è tempo. ?
Notte, o tu, che la estrema esser ne dei
di servaggio, o di vita, il corso affretta! ?
Tu intanto, o figlio, assai, ma assai, diffida
di Bianca: in cor di donna è scaltro amore.
E tu, bada, o Salviati, che se a vuoto
cade il colpo tuo primo, è tal Lorenzo,
da non lasciar, che tu il secondo vibri.

ATTO V

SCENA I

RAIMONDO, BIANCA

Raimondo
Or via, che vuoi? Torna a tue stanze, torna:
lasciami; tosto io riedo.
Bianca
Ed io non posso
teco venirne?
Raimondo
No.
Bianca
Perché?...
Raimondo
Nol puoi.
Bianca
Di poco amor, me così tratti? O dolci
passati tempi, ove ne andaste? Al fianco
non mi sdegnavi allora; né mai passo
movevi allor, ch'io nol movessi accanto! ?
Perché ti spiaccio? in che ti offendo? Or sfuggi,
ed or (che è peggio) anco mi scacci. Il suono
dunque di questa mia voce non giunge,
più non penètra entro il tuo core? Ahi lassa!...
pur ti vogl'io seguir, da lungi almeno...
Raimondo
Ma, di che temi? o che supponi?...
Bianca
Il sai.
Raimondo
So, che tu m'ami, e ch'io pur t'amo; e t'amo
più che nol credi, assai. Tel tace il labro;
ma il cor tel dice, e il volto, e il guardo, e ogni atto
in me tel dice. Or, s'io ti scaccio o sfuggo,
il fo, perché d'ogni mio affanno a parte
men ti vorrei:... qual puoi sollievo darmi?
Bianca
Pianger non posso io teco?
Raimondo
Il duol mi addoppia
vederti in pianto consumar tua vita;
e in pianto vano. Ogni uomo io sfuggo, il vedi;
ed a me stesso incresco.
Bianca
Altro ben veggio;
pur troppo io veggio, che di me diffidi.
Raimondo
Ogni mio male io non ti narro?...
Bianca
Ah! tutti
mali, sì; non i rimedi. In core
tu covi alto disegno. A me non stimi,
che a dir tu l'abbi? e tacilo. Ti chieggo
sol di seguirti; e il nieghi? Io forse posso
a te giovar; ma nuocerti, non mai.
Raimondo
... Che vai dicendo?... In cor, nulla rinserro,...
tranne l'antica al par che inutil rabbia.
Bianca
Ma pur la lunga e intera notte, questa
cui non ben fuga ancor l'alba sorgente,
diversa, oh quanto, da tutt'altre notti
era per te! Sovra il tuo ciglio il sonno
né un sol momento scese. Ad ingannarmi
chiudevi i lumi; ma il frequente e grave
alitar del tuo petto, i tuoi repressi
sospiri a forza, ed a vicenda il volto
tinto or di fuoco, ora di morte;... ah! tutto,
tutto osservai, che meco amor vegliava:
e non m'inganno, e invan ti ascondi...
Raimondo
E invano
vaneggi tu. ? Pieno, e quieto il sonno
non stese, è ver, sovra il mio capo l'ali;
ma spesso avviemmi. E chi placide notti
sotto a' tiranni dorme? Ognor dall'alto
su le schiave cervici ignudo pende
da lieve filo un ferro. Altr'uom non dorme
qui, che lo stolto.
Bianca
Or, che dirai del tuo
sorger sì ratto dalle piume? è questa
forse tua solit'ora? Ancor del tutto
dense eran l'ombre, e tu già in piè balzavi,
com'uom, cui stringe inusitata cura.
È ver me poscia, sospirando, gli occhi
non ti vedea rivolgere pietosi?
E ad uno ad un non ti vid'io i tuoi figli,
sorto appena, abbracciar? che dico? al seno
ben mille volte stringergli, e di caldi
baci empiendogli, in atto doloroso
inondar loro i tenerelli petti
di un largo fiume di pianto paterno...
tu, sì feroce già? tu, quel dal ciglio
asciutto ognora?... E crederò, che cosa
or d'altissimo affare in cor non serri?
Raimondo
... Io piansi?...
Bianca
E il nieghi?
Raimondo
... Io piansi?...
Bianca
E pregne ancora
di pianto hai le pupille. Ah! se nol versi
in questo sen, dove?...
Raimondo
Sul ciglio mio
lagrima no, non siede:... e, s'io pur piansi,...
piansi il destin degli infelici figli
di un oltraggiato padre. Il nascer loro,
e il viver lor poss'io non pianger sempre? ?
O pargoletti miseri, qual fato
in questa morte, che nomiam noi vita,
a voi sovrasta! de' tiranni a un tempo
schiavi e nipoti, per più infamia, voi...
Mai non vi abbraccio, ch'io di ciò non pianga...
Sposa, deh! tu, dell'amor nostro i pegni,
amali tu; perch'io d'amore gli amo
diverso troppo dal tuo amore, e omai
troppo lontan da' miei corrotti tempi.
Piangi tu pure il lor destino;... e al padre
fa che non sien simìli, se a te giova,
più che a virtude, a servitù serbarli.
Bianca
Oh ciel!... quai detti!... I figli... oimè!... in periglio?...
Raimondo
Ove periglio sorga, a te gli affido.
S'uopo mai fosse, dei tiranni all'ira
pensa a sottrarli tu.
Bianca
Me lassa! Or veggio,
ora intendo, or son certa. O giorno infausto,
giunto pur sei; maturo è il gran disegno:
tu vuoi cangiar lo stato.
Raimondo
... E s'io il volessi,
ho in me forza da tanto? Il vorrei forse;
ma, sogni son d'infermo...
Bianca
Ah! mal tu fingi:
uso a mentir meco non è il tuo labro.
Grand'opra imprendi, il mio terror mel dice;
e quei, che al volto alternamente in folla
ti si affaccian tremendi e vari affetti;
disperato dolor, furor, pietade,
odio, vendetta, amore. Ah! per quei figli,
che tu mal grado tuo pur cotanto ami,
non per me, no; nulla son io; pel tuo
maggior fanciul, dolce crescente nostra
comune speme, io ti scongiuro; almeno
schiudimi in parte il tuo pensier; te scevro
fa' ch'io sol veggia da mortal periglio
e in ciò mi acqueto: o, se in periglio vivi,
lasciami al fianco tuo. Deh! come deggio
salvar tuoi figli, s'io del tutto ignoro
qual danno a lor sovrasti? A' piedi tuoi
prostrata io cado; e me non vedrai sorta,
finché non parli. Se di me diffidi,
svenami; se in me credi, ah! perché taci?
Son moglie a te; null'altro io son: deh! parla.
Raimondo
... Donna,... deh! sorgi. Il tuo timor ti pinge
entro all'accesa fantasia perigli
per or lontani assai. Sorgi; ritorna,
e statti ai figli appresso: a lor tra breve
anch'io verrò: lasciami.
Bianca
Ah! no...
Raimondo
Mi lascia;
io tel comando.
Bianca
Abbandonarti? Ah! pria
svenami tu: da me in null'altra guisa
sciolto ne andrai...
Raimondo
Cessa.
Bianca
Deh!...
Raimondo
Cessa; o ch'io...
Bianca
Ti seguirò.
Raimondo
Me misero! ecco il padre;
ecco il padre.

SCENA II

GUGLIELMO, RAIMONDO, BIANCA

Guglielmo
Che fai? v'ha chi t'aspetta
al tempio; e intanto inutil qui?...
Raimondo
L'udisti?
al tempio vo; che havvi a temer? deh! resta.
Padre, trattienla: io volo, e tosto riedo. ?
Bianca, se m'ami, io t'accomando i figli.

SCENA III

GUGLIELMO, BIANCA

Bianca
Oh parole! Ahi me misera, che a morte
ei corre! E a me tu di seguirlo vieti?
crudo...
Guglielmo
Arrestati; placati; fra breve
ei tornerà.
Bianca
Crudel; così ti prende
pietà del figlio tuo? Solo tu il lasci
incontro a morte andarne, e tu sei padre?
Se tu il puoi, l'abbandona; ma i miei passi
non rattener; mi lascia, irne vogl'io...
Guglielmo
Fora il tuo andare intempestivo, e tardo.
Bianca
Tardo? oimè! Dunque è ver, ch'ei tenta?... Ah! narra...
o parla, o andar mi lascia... Ove corre egli?
A dubbia impresa, il so; ma udir non debbo
ciò che a sì viva parte di me spetta?
Ah! voi pur troppo di qual sangue io nasca,
più di me il rimembrate. Ah! parla: io sono
fatta or del sangue vostro: i miei fratelli
non odio, è ver; ma solo amo Raimondo;
l'amo quant'oltre puossi; e per lui tremo,
che pria ch'a lor non tolga egli lo stato,
non tolgan essi a lui la vita.
Guglielmo
Or, s'altro
non temi; e poiché pur tant'oltre sai;
men dubbia, or sappi, è dell'altrui, sua vita.
Bianca
Oh ciel! di vita anco in periglio stanno
i fratelli?...
Guglielmo
I tiranni ognor vi stanno.
Bianca
Che ascolto? oimè!...
Guglielmo
Ti par, che tor lo stato
altrui si possa, e non la vita?
Bianca
Il mio
consorte or dunque,... a tradimento,... i miei?
Guglielmo
A tradimento, sì, versar lor sangue
dobbiam noi pria, che il nostro a tradimento
si bevan essi: e al duro passo, a forza,
essi ci han tratti. A te il marito e i figli
tolti eran, sì, tolti a momenti: ah! d'uopo
n'era pur prevenir lor crudi sdegni.
Io stesso, il vedi, a secondar la impresa,
oggi all'antico fianco il ferro io cingo
da tanti anni deposto.
Bianca
Alme feroci!
cor simulati! io non credea che tale...
Guglielmo
Figlia, che vuoi? necessità ne sprona.
Più non è tempo or di ritrarci. Al cielo
porgi quai voti a te più piace: intanto
lo uscir di qui non ti si dà: custodi
hai molt'uomini d'arme. ? Or, se pur madre
più ch'altro sei, torna a' tuoi figli, ah! torna...
Ma il sacro squillo del bronzo lugùbre
udir già parmi... ah! non m'inganno. Oh figlio!...
io corro, io volo a libertade, o a morte.

SCENA IV

BIANCA, uomini d'arme

Bianca
Odimi... Oh come ei fugge! Ed io qui deggio
starmi? Deh! per pietà, schiudete il passo:
questo fia il petto, che colà frapposto
può il sangue risparmiar... Barbari; in voi
nulla può la pietà? ? Nefande, infami,
esecrabili nozze! io ben dovea
antiveder, che sol potean col sangue
finir questi odi smisurati. Or veggo
perché tacea Raimondo: in ver, ben festi
di a me celar sì abbominevol opra:
d'alta vendetta io ti credea capace;
non mai di un vile tradimento, mai...
Ma, qual odo tumulto?... Oh ciel!... quai grida?...
Par che tremi la terra!... Oh di quale alto
fremito l'aria rimbomba!... distinto,
di libertà, di libertade il nome
suonami...[1] Oimè! già i miei fratelli a morte
forse... Or chi veggio? Oh ciel! Raimondo?...

SCENA V

RAIMONDO, BIANCA

Bianca
Iniquo,
che festi? parla. A me, perfido, torni
col reo pugnal grondante del mio sangue?
Chi mai ti avrebbe traditor creduto?
Che miro? oimè! dallo stesso tuo fianco
spiccia il sangue a gran gorghi?... Ah! sposo...
Raimondo
... Appena...
mi reggo... O donna mia,... sostiemmi... Vedi?
quello, che gronda dal mio ferro, è il sangue
del tiranno; ma...
Bianca
Oimè!...
Raimondo
Questo è mio sangue;...
io... nel mio fianco...
Bianca
Oh! piaga immensa...
Raimondo
Immensa,
sì; di mia man me la feci io, per troppa
gran rabbia cieco... Su Giuliano io caddi:
lo empiei di tante e di tante ferite,
che d'una... io stesso... il mio fianco... trafissi.
Bianca
Oh rio furore!... Oh mortal colpo!... Oh quanti
ne uccidi a un tratto!
Raimondo
A te nol dissi, o sposa...
deh! mel perdona: io dir non tel dovea;
né udirlo tu, pria che il complessi:... e farlo
ad ogni costo era pur forza... Duolmi,
che a compier l'opra ogni mia lena or manca...
S'ei fu delitto, ad espiarlo io vengo
agli occhi tuoi, col sangue mio... Ma, sento
libertade eccheggiar vieppiù dintorno?
E oprar non posso!...
Bianca
Oh cielo! E... cadde... anch'egli...
Lorenzo?...
Raimondo
Almeno al feritore io norma
certa ne diedi... Assai felice io moro,
se in libertà lascio, e securi,... il padre,...
la sposa,... i figli,... i cittadini miei...
Bianca
Me lasci al pianto... Ma, restar vogl'io?
Dammi il tuo ferro...
Raimondo
O Bianca... O dolce sposa...
parte di me;... rimembra, che sei madre...
Viver tu dei pe' nostri figli; ai nostri
figli or ti serba,... se mi amasti...
Bianca
Oh figli!...
Ma il fragor cresce?...
Raimondo
E più si appressa;... e parmi
udir le grida variare... Ah! corri
ai pargoletti, e non lasciarli: ah! vola
al fianco loro. ? Omai,... per me... non resta...
speme. ? Tu il vedi,... che... a momenti... io passo.
Bianca
Che mai farò?... Presso a chi star?... Che ascolto?
«Al traditore, al traditor; si uccida».
Qual traditore?...
Raimondo
Il traditor,... fia... il vinto.

SCENA VI

LORENZO, GUGLIELMO, BIANCA, RAIMONDO, altri uomini d'arme

Lorenzo
Si uccida.
Raimondo
Oh vista!
Bianca
O fratel mio, tu vivi?
Abbi pietà...
Lorenzo
Qui ricovrò l'infame;
infra le braccia di sua donna ei fugge;
ma invan. Svelgasi a forza...
Bianca
Il mio consorte!...
figli miei!...
Raimondo
Tu in ferrei lacci, o padre?...
Guglielmo
E tu piagato?
Lorenzo
Oh! che vegg'io? dal fianco
versi il tuo sangue infido? Or, chi 'l mio braccio
prevenne?
Raimondo
Il mio; ma errò: quest'era un colpo
vibrato al cor del fratel tuo. Ma, ei n'ebbe
da me molti altri.
Lorenzo
Il mio fratello è spento;
ma vivo io, vivo; e, a uccider me, ben altra
alma era d'uopo, che un codardo e rio
sacerdote inesperto. Estinto cadde
Salviati; e seco estinti gli altri: il padre
sol ti serbai, perché in veder tua morte,
pria d'ottener la sua, doppia abbia pena.
Bianca
L'incrudelir che vale? a morte presso
ei langue...
Lorenzo
E semivivo, anco mi giova...
Bianca
Pena ha con sé del fallir suo.
Lorenzo
Che veggio!
lo abbracci tinto del fraterno sangue?
Bianca
Ei m'è consorte;... ei muore...
Raimondo
Or,... di che il preghi? ?
Se a me commessa era tua morte, mira,
se tu vivresti.[2]
Bianca
Oh ciel! che fai?...
Raimondo
Non fero
invano... io... mai.
Guglielmo
Figlio!...
Raimondo
M'imìta, o padre.
Ecco il ferro.
Bianca
A me il dona...
Lorenzo
Io 'l voglio.[3] ? O ferro,
trucidator del fratel mio, quant'altre
morti darai!
Raimondo
Sposa,... per sempre... addio.
Bianca
Ed io vivrò?...
Guglielmo
Terribil vista! ? Or tosto,
fammi svenar: che più m'indugi?
Lorenzo
Al tuo
supplizio infame or or n'andrai. ? Ma intanto,
si stacchi a forza la dolente donna
dal collo indegno. Alleviar suo duolo,
può solo il tempo. ? E avverar sol può il tempo
me non tiranno, e traditor costoro.






Vittorio Alfieri - Opera Omnia  -  a cura de ilVignettificio  -  Privacy & cookie  -   SITI AMICI: Cinesint

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